Gli Stati Uniti d'America sono diventati, sostanzialmente, un’economia di guerra 'in itinere'. Secondo una statistica facilmente reperibile in rete, gli Stati Uniti, per mantenere gli equilibri e/o gli squilibri geopolitici - e soprattutto per finanziare la propria economia - hanno partecipato, direttamente o indirettamente, a numerosi conflitti militari. A partire dagli anni '40 del secolo scorso, con l’entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale (1941-1945), l’economia statunitense ha conosciuto un vero e proprio periodo florido. Di lì a poco, gli Usa sono intervenuti militarmente sia nella guerra di Corea (1950–1953), sia in quella del Vietnam (1955–1975), con il pretesto di fermare l'espansione del comunismo nel sud-est asiatico. Obiettivo cardine della Guerra Fredda - termine che stava a indicare la contrapposizione 'non militare' tra Usa e Urss – sarà quella di ostacolare regimi o governi vicini a politiche di sinistra o apertamente comuniste.
La guerra al terrore: dal Golfo ai Talebani, tutto cambia per non cambiare nulla
Dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) e la fine della Guerra Fredda, gli Usa hanno sponsorizzato una sorta di guerra al terrore grazie a nuovi 'casus belli' forniti dalla prima Guerra del Golfo (1990–1991) e dalla seconda Guerra del Golfo in Iraq (2003–2011). Con l’invasione dell'Iraq, giustificata dall'esistenza di armi di distruzione di massa poi rivelatasi infondata, l’ultima fase seconda Guerra del Golfo ha portato alla caduta del regime di Saddam Hussein. Dopo anni di morte e distruzione, nel 2011 gli Usa hanno ritirato le loro truppe dalla Mesopotamia. E il risultato del 'change regime' è un Iraq allo sbando. Ma secondo fronte di guerra si era già quando gli Usa invasero l'Afghanistan nel 2001, con l'obiettivo di rovesciare il regime dei Talebani e distruggere al-Qaeda dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001. Risultato: un ventennio di morte e distruzione, anche in questo caso culminato con il ritorno dei Talebani a Kabul nell'estate del 2021. Infine, nel panorama della 'destabilizzazione dei regimi', gli Usa partecipano alla guerra guerra in Libia del 2011 e hanno avuto un 'ruolo-chiave' nel rovesciare il regime di Muammar Gheddafi durante la conseguente guerra civile libica, in corso ancora oggi.
Qui prodest?
L'industria bellica americana trae vasti guadagni dalle guerre, grazie a ingenti spese militari e alla vendita delle armi in tutto il mondo, con un giro d'affari globale che raggiunge le centinaia di miliardi di dollari, in particolare attraverso grandi aziende come la Lockheed Martin. Dopo l'11 settembre 2001, infatti, questa industria è diventata un pilastro della politica estera statunitense, utilizzata per sostenere alleati e promuovere stabilità regionale, ma generando anche preoccupazioni per la sua influenza e costi esorbitanti in termini di vite e di risorse.
Spese militari massicce
Attualmente, gli Stati Uniti rappresentano una parte enorme della spesa militare globale, con cifre che superano i 900 miliardi di dollari annuali. Questo denaro alimenta l'industria bellica e, in definitiva, un’economia in forte crisi.
Vendita delle armi
L'industria americana è leader nel commercio delle armi, con un fatturato annuo che si aggira sui 500 miliardi di dollari, fornendo armamenti a oltre 100 Paesi.
Aumento post 11 settembre 2001
Dopo l'11 settembre e le suddette guerre, le vendite di armi si sono concentrate sul "contrasto al terrorismo” e sul "rafforzamento degli alleati"; un modello di business che ha generato profitti consistenti.
Costi enormi dei conflitti
Le guerre hanno implicato costi enormi. Solamente la "guerra al terrore", per esempio, è costata circa 21 mila miliardi di dollari e ha coinvolto decine di Paesi, provocando milioni di sfollati e di vittime.
Le aziende e il loro ruolo
Le principali aziende di difesa, come appunto la Lockheed Martin, hanno ricavato enormi profitti dalle guerre. L'indice di borsa, per aziende come la Lockheed Martin, ha generato significativi margini di rialzo, soprattutto dal 2001 in poi.