Ludovica Zurzolo

Dalla Tourette all’arte, dalla pittura alla poesia, Alfredo Troise è un artista che non cerca di piacere, ma di raccontare se stesso, il mondo, la ferita. Lo fa con opere visionarie, oniriche, cariche di colore e dolore trasformato. Un artista che non cerca definizioni, non ama le 'etichette'. E forse, proprio per questo, riesce a parlare a tanti. La sua arte è un’esperienza: un grido che diventa canto. In un mondo che ha ancora paura della fragilità, questo artista mostra che è proprio lì, nella ferita, che può nascere la vera bellezza. In occasione della mostra ‘L’occhio dell’artista: l’arte contro i pregiudizi’, presentata in Campidoglio lo scorso 9 ottobre 2025, lo abbiamo incontrato. Ne è nata una conversazione sincera, emotiva, libera da ogni 'etichetta'.

Alfredo Troise, nel suo sito lei scrive “dipingo il pregiudizio”: cosa significa questa frase?
“Significa che tutto quello che mi ha ferito, che mi ha messo ai margini, che mi ha fatto sentire ‘sbagliato’, io l’ho trasformato in colore. Il pregiudizio è un peso, ma se lo guardi in faccia e lo riporti sulla tela, non ti domina più e lo trasformi. Diventa arte, comunicazione, forma di liberazione”.

La sua è un’arte molto emotiva, infatti: quanto incide la sindrome di Tourette nel tuo processo creativo?
“Totalmente: la Tourette è parte di me. Non la nascondo, bensì l’ascolto: I tic, le esplosioni improvvise sono anche gesti pittorici. Sono impulsi che traduco in movimento, in segno. E’ una forma di espressione autentica. La mia arte non sarebbe la stessa senza questa parte di me”.

Cosa ha rappresentato per lei esporre in Campidoglio, in un luogo così istituzionale?
“È stato emozionante. Trovarmi in uno dei luoghi simbolo della cultura è stato un segnale forte. Non tanto per me, ma per chi si sente invisibile. E’ stato un modo per dire: “Esistiamo e abbiamo qualcosa da dire”. La mostra è stata anche un invito a guardare con occhi diversi”.

Oltre alla pittura, lei scrive poesie: cosa la spinge verso la parola?
“La parola è un’altra forma di urgenza. Le mie poesie non seguono regole: arrivano come lampi. Sono percezioni, ferite, verità. Quando il colore non basta, uso le parole. Anche se, alla fine, tutto è parte dello stesso bisogno: comunicare”.

Lei parla spesso di “sguardo diverso”: cosa deve cambiare nel nostro modo di vedere l’Altro?
“Deve cambiare tutto. Spesso, si vede l’Altro come ‘diverso’ e questo genera distanza, paura. Ma se ci alleniamo a vedere la fragilità e la bellezza nascosta, allora negli altri possiamo riconoscerci. L’arte serve a creare ponti, a farci specchiare. Per me, ogni opera è una domanda rivolta allo spettatore: “Riesci a vedermi davvero”?

Cosa direbbe a un giovane artista che si sente ‘fuori posto’?
“Gli direi: “Resta fuori posto”. E’ lì che nasce l’arte: un’arma potentissima, che non serve a colpire, ma a farsi sentire. A creare bellezza dove prima c’era solo rumore”.

Qual è il suo sogno oggi?
“Continuare a creare. Continuare a essere utile. E un giorno, magari, vedere più arte nei luoghi della cura: ospedali, carceri, scuole. Perché l’arte può guarire, anche dove sembra impossibile”.
 


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