Vittorio Lussana

Il giornalismo investigativo - o d’inchiesta - è un mestiere particolare, che pretende discrezione, pazienza, segretezza delle fonti. Le quali, se scoperte, possono rischiare la vita o il proprio posto di lavoro, oppure ancora di essere trasferite in sedi remote, rendendo inutilizzabili le loro 'soffiate' per altri casi. Innanzitutto, quando s’individua una 'pista' non lo si deve dichiarare ai 4 venti. Anzi, sarebbe meglio non dire niente a nessuno, perché i colleghi di altre testate potrebbero avvalersi dello 'spunto' d’indagine e indagare anch’essi, togliendo al giornalista che ha avuto l’intuizione originaria ogni possibilità di fare lo 'scoop'. In secondo luogo, un’inchiesta di 'nera' va oltre il caso specifico di un omicidio su cui già indagano gli organi inquirenti. Se s’intende scrivere di un fatto per rivelarne il vero movente, bisogna evitare i controlli, persino quelli dello Stato. Insomma, l’attività di ricerca e di verifica di quanto accaduto è lunga e complessa: pensare che basti semplicemente produrre un video da rendere 'virale' sui social network è un errore d’ingenuità. Il grande Andrea Purgatori ci mise dieci anni a dimostrare, inoppugnabilmente, cosa era successo nei cieli di Ustica la sera del 27 giugno 1980, incontrando enormi resistenze da tutte le parti. Un buon giornalista d’inchiesta deve mantenere una visione globale delle cose e intrecciare i fatti, confrontandoli tra loro. E questo è un lavoro complesso e articolato. Spesso, un omicidio evidenzia una serie di elementi che portano a ipotizzare una ricostruzione precisa dell’accaduto, ma in seguito la realtà si rivela essere tutt’altra, anche se ci sono prove scientifiche, testimoni oculari, indizi significativi. Perché esiste una verità immediata, apparente, automatica, da evitare assolutamente. In altri casi, come durante la pandemia da Covid 19, si è partecipi di un clima di isteria generale in cui ci si lascia trascinare e si ragiona con la 'pancia', anziché con la 'testa'. Ciò può accadere anche in singoli casi in cui l’accusato può apparire piuttosto antipatico all’opinione pubblica, o risulta colpevole di altri reati: anche queste cose possono essere 'depistanti'. Una parola che significa appunto: “Allontanarsi dalla pista”. La nostra Costituzione garantisce la presunzione di innocenza. Ma il nostro procedimento penale, al contrario di quanto si possa credere, non offre certezze. Altrimenti, non si spiegherebbe per quale motivo è previsto un Pubblico ministero controllato da un Gip. In seguito, l’ipotesi di reato viene trasmessa a un Gup e, nel caso degli omicidi, si arriva prima in Corte d’Assise, poi in Corte d’appello e, infine, al ricorso in Cassazione. E certe volte, il caso non muore nemmeno lì, perché il nostro ordinamento prevede anche la possibilità di una revisione del processo. Il processo penale è solamente un rito composto di regole, per cercare di arrivare a una verità attraverso il dibattimento. Ma la 'vera regola', in realtà, è quella di non avere fretta di trovare un colpevole. Perché il vero responsabile di un delitto, spesso ha un alibi credibile e la sua colpevolezza appare inverosimile. Ma anche quando un reato appare come tale, cioè inverosimile, ciò non significa che non sia accaduto. Pertanto, bisogna concepire o includere nelle nostre ipotesi anche quello che, a prima vista, appare improbabile: ci sono moltissimi casi di persone ritenute innocenti per anni - o addirittura per decenni - solo perché la loro colpevolezza era legata all’inverosimile, salvo poi accorgersi che le cose non stavano affatto così. Infine, quanto sta emergendo in altre parti del mondo dimostra che l’Italia non è l’unico Paese ad annoverare una serie di casi misteriosi o irrisolti: quando gli inglesi conclusero che Roberto Calvi si fosse suicidato sotto il ponte dei ‘Frati neri’ commisero un errore madornale; e quando i francesi assolsero Vittorio Emanuele di Savoia dall'accusa di aver ucciso a 'fucilate' un turista mentre era in vacanza, fecero altrettanto. Per non parlare dei tanti casi americani di persone condannate a morte perché ritenute colpevoli di delitti efferati, salvo poi scoprirne, in seguito, l’innocenza. Negli Stati Uniti, i giornalisti sono soliti partecipare maggiormente alla fase pre-dibattimento e meno a quella successiva. Si ritiene, infatti, che più ampia sia la discussione, più divenga facile arrivare alla verità. Ma anche seguendo questo metodo, gli errori giudiziari si sono succeduti regolarmente, uno dietro l’altro. Oggi, il giornalismo statunitense sconfina spesso nel 'pettegolezzo' o nell’attacco personale, perché gli americani hanno perso fiducia nel fatto che il giornalismo sia il 'cane da guardia' della democrazia. Nel giornalismo investigativo bisogna raccogliere tutti gli elementi. E ci vuol tempo, per farlo. Spesso, si è costretti a indagare sotto 'mentite spoglie', al fine di poter vivere anche la 'sfera' privata di un sospettato; oppure, si è costretti a scoprire tutti gli 'altarini' all’interno di una famiglia importante. Non servono, quindi, i 'titoloni' immediati perché, soprattutto dopo l’avvento del giornalismo online, ci si illude di poter fare le cose 'a distanza', senza entrare in contatto con i fatti, oppure telefonando ad alcuni colleghi che 'passano' sempre le stesse notizie. Occorre tempo per realizzare un’indagine giornalistica, mentre oggi si vive l’illusione di poter fare tutto in 'smart working' o 'da remoto'. Ma tutto ciò è vero solo in parte. Infine, è importante verificare sempre le notizie, anche quando queste arrivano da fonti considerate autorevoli, perché spesso si crea l’effetto 'domino': quello che ha scritto il sito di 'Repubblica' può capitare che risulti inesatto e tutti gli sono 'andati dietro', replicando l’errore. Perché non è affatto vero che un giornale importante sia, per forza di cose, meglio informato. Al contrario, le più grandi 'bufale' della Storia, spesso provenivano o sono state create proprio dai cosiddetti 'giornaloni'.




Direttore responsabile di www.laici.it

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