La nostalgia è quel 'filo rosso' che traccia una connessione tra la nostra evoluzione personale e determinati momenti della nostra vita, in un processo di stampa, codifica e archiviazione che ne consente un’intima fruizione in qualsiasi momento. Una percezione che diviene nitida, oggi, anche per i cosiddetti 'millennials', che si apprestano a varcare la soglia dei 40 anni con il loro carico di ricordi ed emozioni digitali. Sarà, infatti, la prima generazione a vantare di aver vissuto la fine del mondo analogico e gli albori di quello digitale: uno 'spartiacque' che segna una modalità inedita di vivere i ricordi. Se i nostri predecessori hanno necessariamente affidato i propri momenti di vita vissuta a polverosi e pesanti album fotografici, conservati gelosamente oppure dimenticati nei meandri di umide cantine o mansarde, ora le memorie sono sempre con noi, a portata di mano, consultabili con un 'click', rendendo, di fatto, il passato incancellabile. Una foto, un 'file' testuale, una nota vocale e, persino, un 'post' pubblicato sui social: qualsiasi documento digitale è costantemente rievocabile. Facebook propone quasi quotidianamente anniversari fotografici che mostrano chi eravamo, in un ciclo 'spaziotemporale' che appare molto meno dilatato rispetto a quello delle generazioni precedenti. Un paradigma nuovo, che rivoluziona il concetto stesso di nostalgia: possiamo definirla tale, oppure è sensato indicarla in maniera più lieve e, certamente, meno emotiva come una tiepida malinconia? Il confronto con un passato così facilmente accessibile determina un paragone perenne, che impedisce ai nostri ricordi digitali di invecchiare: un vero e proprio ‘loop’ dal quale sembra impossibile sottrarsi. Se il distacco tra oggi e ieri non sembra, dunque, così netto, è altrettanto lecito che i 'millennials' rivendichino la loro fetta di nostalgia e, dunque, un’adeguata celebrazione di un passato sicuramente più ridente e spensierato rispetto alla grigia incertezza dei tempi attuali. Una necessità emotiva e collettiva, a giudicare dal successo sui social network di canali e pagine dedicate a programmi, serie tv, film e varie icone degli anni ‘80/’90 e 2000. Un bisogno di stabilità nel quale qualcuno ha individuato un’astuta forma di business, racchiusa e compattata nella parola 'vintage': abbigliamento, tecnologia analogica e anche feste a tema, sempre più in voga per celebrare gli anni che furono (magari con la partecipazione degli idoli del tempo). Eventi che contano partecipazioni attive, con grande riscontro di un pubblico desideroso di non perdere mai la propria connessione. Viviamo in un'epoca in cui il passato non ha il permesso di morire, ma resta sospeso in uno spazio digitale che non invecchia. I 'millennials' sono la prima generazione ad aver destinato la propria memoria a un archivio pubblico, catalogato e disponibile in ogni momento. Ma se essa diventa troppo accessibile, troppo nitida, troppo presente, può assolvere il compito naturale che le spetta? Selezionare, sfumare, reinterpretare fatti ed emozioni e, all’occorrenza, anche gettare il tutto nell’oblio: il rischio è di ritrovarsi con una bulimia di ricordi dai quali potremmo divenire dipendenti, incapaci di comprendere cosa tenere e cosa lasciare. Forse, la sfida delle generazioni digitali sarà proprio questa: imparare a convivere con un passato che non scompare, ma che ci insegue — silenzioso — con il suo 'zaino' strabordante di immagini salvate, canzoni riprodotte e ricordi taggati e capire che, per andare avanti, non basta archiviare passivamente.