La mitica poetessa ed ex docente di Storia, amatissima dai romani dei quartieri Prati e Trionfale, questa volta ci sorprende con un saggio divulgativo-culturale: un tributo affettuoso alla ricchezza delle Isole Canarie tramite il connubio perfetto fra mito e realtà
Mapi, alias Maria Pia Alfonsi, poetessa romana stabilitasi da tempo alle isole Canarie, è di nuovo in libreria questa volta con un saggio: ‘Isole Canarie: tra storia e leggenda’, edito dalla casa editrice 'Le Mezzelane'. Un lavoro che scava tra le leggende di un arcipelago di isole meravigliose, alla ricerca dell’antica Atlantide. Un viaggio affascinante, senza pretese scientifiche particolari: solo il gusto di trasmettere un amore autentico nei confronti di un luogo in cui Storia e mitologia si sono incrociate molto spesso, esattamente come a Roma. Una dimensione culturale che rende le Canarie forse il luogo migliore per fuggire dallo stress di una capitale d’Italia stracolma di problemi, dopo una vita dedicata all’insegnamento. L’autrice, questa volta, ha deciso di trasformarsi da poetessa riconosciuta e di livello a saggista divulgativa, raccontandoci, in totale libertà, tutte le vicende e le leggende legate a queste isole bellissime, sparse in mezzo all’Oceano Atlantico, al di là delle colonne d’Ercole. “E’ forse riemersa la docente di Epica?”, si sono chiesti in molti a Roma Nord. Noi crediamo di sì, perché questo libro, a un certo punto, decolla letteralmente, mostrando un lavoro accurato di ricerca, di testimonianze e di fonti antiche, restituendo al lettore miti e racconti che formano, ancora oggi, l’identità stessa dei popoli 'canari'.
Maria Pia Alfonsi, come nasce questo suo nuovo libro: ‘Isole Canarie: tra storia e leggenda’, edito da ‘Le Mezzelane’?
“Un giorno ero seduta in un bar di Tenerife con diversa gente, anche italiana. Tra questi, c'era una guida turistica che cominciò a parlare di ‘guanches brucas’, delle cose strane che succedevano nella laguna, di grande perdita di memoria e così via. Io mi sono incuriosita e ho cominciato a cercare la parola ‘guanches’, ovviamente su internet, ma quello che trovavo non mi soddisfaceva. Così, cominciai a frequentare le biblioteche e più scoprivo più avevo voglia di scoprire. In seguito, il giardiniere del mio residence, parlando appunto di queste isole, mi raccontò la leggenda di San Borondón: l'isola che compare e scompare. Inoltre, un amico mi aveva raccontato ‘La leggenda di Garajoney’, delle piramidi di Güímar e di tante altre cose. lla fine, la mia curiosità divenne inesauribile. Così, dalla biblioteca di ‘Los cristianos’, sono passata a quella di Santa Cruz. Qui, ho trovato la direttrice che, quando ha saputo che cercavo storie sui ‘guanches’, mi ha riempita di libri. Pur non essendo iscritta alla biblioteca, mi ha concesso di portarli a casa”.
Questo suo lavoro sembra nato quasi per divertimento o per rivolgere un omaggio agli amici ‘canari’, poi però ha cominciato a prendere una ‘piega’ divulgativa verso la ricerca scientifica: è vero o è solo un’impressione?
“No, non è solo un'impressione: ogni cosa che leggevo mi chiedeva un approfondimento; più leggevo, più conoscevo cose che mi incuriosivano; e più mi incuriosivano, più continuavo a cercare. Sì: questo libro è nato un po' per divertimento, per il mio divertimento. Poi, un giorno, parlando con la direttrice della mia casa editrice, lei mi disse: “Ma perché non raccogli tutte queste leggende e ne facciamo un libro"? In un certo senso, queste parole mi hanno dato la spinta definitiva: ci sono voluti due anni di ricerca, ma ne è valsa la pena, perché quello che ho scoperto è davvero interessante”.
Quale leggenda legata alle Canarie l’ha convinta di più? Forse quella di Platone, quando parlò dell’antica Atlantide sprofondata nell’Atlantico, lasciando in superficie solo quest’arcipelago?
“Esattamente. Quando mi sono imbattuta in Platone e nei suoi scritti su Atlantide, che secondo lui si trovava proprio sotto alle isole Canarie, la cosa si è fatta molto interessante. Questa rimembranza mi ha colpito profondamente, anche se, purtroppo, molte cose Io le ho sapute dopo la pubblicazione del libro, perché sto continuando la ricerca ancora oggi. Il ‘Krizia’, per esempio, l’ultima opera di Platone, rimasta incompiuta, doveva essere una trilogia, ma nello scrivere il primo libro, quello che tratta proprio della leggenda di Atlantide, fu preso in giro perché, secondo gli antichi, non era possibile che il mondo esistesse più di 15 mila anni fa. Platone, offeso per le critiche, non completò nemmeno il primo ‘dialogo’ del Krizia. Eppure, noi oggi scopriamo, tramite uno studio pubblicato su ‘Nature’ il 10 novembre 2015, basato sui dati del satellite giapponese ‘Palsar’, l’esistenza di un gigantesco sistema fluviale nel Sahara occidentale: la valle del fiume Tamanrasett. Questo antichissimo corso d’acqua oggi sommerso, largo fino a 90 chilometri e con una foce di 400, circondava un'isola che risponde perfettamente alla Atlantide ricordata da Platone”.
Una domanda malisiosa: non ha corso il pericolo di scambiare la Storia con la geografia?
“Veramente una domanda ‘maliziosetta’: lei dimentica che io ero un'insegnante di Storia e che non potrei mai confondere la Storia con la geografia. Anche se, a volte, ci sono andata vicino, più che altro perché dovevo illustrare la posizione di alcune isole”.
Qualche leggenda inedita o particolare che ha scoperto sul posto?
“Una leggenda che mi ha molto incuriosita e commossa è quella di Iballa. Nel mio libro compare nel capitolo intitolato ‘La grotta del Conde’. Questo testo riporta una vicenda molto radicata nella cultura locale, perché si tratta di un racconto che oscilla tra realtà storica e leggenda vera e propria. E’ un episodio molto affascinante, che ha acceso la mia immaginazione. Iballa era una donna libera e spirituale, legata alla natura, che si oppose al dominio violento e predatorio dei ‘conquistadores’ spagnoli: un conflitto tra la visione del mondo degli indigeni e quella dei colonizzatori assai ben rappresentato, che mi ha creato una tensione che ha mantenuto vivo il mio interesse. Vi dirò che, quando non ho più trovato elementi per ricostruire questa leggenda, mi è quasi dispiaciuto. La leggenda della ‘Torre del Conde’ mi ha lasciato una sensazione di malinconia e di bellezza allo stesso tempo: malinconia, perché racconta un mondo perduto e un modo di vivere più vicino alla natura represso con la violenza della conquista. Si sente il peso di qualcosa che si è spezzato, ma che cerca di sopravvivere nei ricordi dei discendenti; bellezza, perché emerge un senso di dignità, di forza femminile morale e spirituale che rimane intatto, nonostante la tragedia di Iballa. Il legame con la Terra e gli elementi naturali danno un tono quasi poetico alla vicenda, che mi ha trasmesso ulteriore curiosità: vorrei saperne di più sul passato precoloniale di questi popoli, come vivevano e cosa resta, oggi, della loro eredità. Tenete presente che tutte queste leggende non sono arrivate a noi per iscritto, ma sono state tramandate oralmente. Soltanto dopo la conquista coloniale, storici e giornalisti le hanno rielaborate, trasformandole in base ai valori occidentali. Quando mi sono accorta che queste leggende erano ‘spezzettate’ in diversi libri, ho cercato di ricostruirle, rispettando l'identità ‘guanches’. Purtroppo, non ho scoperto nuove leggende, ma qualche notizia inedita, supportata da prove e ricerche più recenti, sì. Per esempio, un articolo del giornale ‘Leggo Tenerife’ n. 37 dello scorso mese di marzo 2025, ha rivelato che sono state trovate tracce di un fuoco vicino ai corpi mummificati degli antichi popoli ‘guanches’. Una prova in più a supporto della leggenda: ‘La morte di Ache’. C'è una riscoperta di questo mondo, anche da parte di archeologi e divulgatori. E ci sono delle feste che solamente alcuni anni fa non esistevano, quasi a voler testimoniare l’esistenza di questi antichissimi popoli ancora oggi”.
Da poetessa riconosciuta a saggista: si tratta di un’evoluzione, di un cambio di rotta rispetto al passato o è solamente un episodio collaterale?
“Non è stato un cambio di rotta, ma un momento particolare: una scoperta che, in un certo senso, ha cambiato la mia visione delle isole Canarie. Io amo quell’arcipelago e adoro il loro popolo: tutto quel che riesco a scoprire su di loro continua a emozionarmi. Ma la poesia rimane sempre la mia espressione più vitale, più diretta, per comunicare le mie emozioni”.
Questo libro ha qualche intento divulgativo o turistico?
“Il testo ha un chiaro intento divulgativo e, in parte, turistico-culturale. Trasmettere la storia di Iballa Bencomo e quella di altri personaggi significa salvaguardare una parte dell'identità culturale delle Canarie e far conoscere al lettore la cultura dei ‘guanches’, spesso ignorata dalla storiografia ufficiale. Seppur in forma leggendaria, c'è inoltre il desiderio di raccontare le dinamiche dell'invasione castigliana e le sue ripercussioni sul tessuto sociale e spirituale di queste isole: un invito ai lettori a riscoprire l’arcipelago non solo con gli occhi, ma anche con la memoria e con il cuore”.
Cosa pensa del sentimento autonomista delle Canarie? Sarebbe possibile, per questo arcipelago, affrancarsi dalla Spagna e riuscire a vivere quasi esclusivamente di turismo?
“Un sentimento autonomista nelle isole Canarie è presente, ma la questione è più complessa. Le Canarie godono già oggi di uno ‘status’ di autonomia giuridica avanzata all'interno del Regno di Spagna: hanno un proprio parlamento, un regime fiscale speciale e una certa libertà legislativa. Inoltre, i movimenti che auspicano un’indipendenza piena sono una minoranza, anche se esistono forze politiche che difendono il diritto all'autodeterminazione dei popoli, spesso legandolo a rivendicazioni storiche e identitarie ben precise, come per esempio l'eredità dei ‘guanches’. Quanto alla sostenibilità di un arcipelago indipendente basato quasi esclusivamente sul turismo, bisogna fare alcune considerazioni: le Canarie sono una delle mete turistiche più visitate d'Europa, con un clima stabile tutto l'anno. Possiedono infrastrutture moderne e ottimi collegamenti aerei: già oggi, il turismo rappresenta il 35-40% del loro Pil. Tuttavia, un'indipendenza piena sarebbe rischiosa. Non per mancanza d’identità, ma per la fragilità economica e la complessa interdipendenza geopolitica. Le Canarie possono rafforzare la propria autonomia culturale e amministrativa, puntando su uno sviluppo più sostenibile e su una maggiore valorizzazione delle proprie radici storiche”.
Quindi, quella dei ‘canari’, come li chiama lei, è una pretesa pericolosa: si tratta di una mera suggestione ‘caraibica’ oppure di un’utopia irrealizzabile, in un mondo globalizzato come quello di oggi?
“Le Canarie sono profondamente integrate nella Spagna di oggi e nell'Unione europea, sia economicamente, sia politicamente. L'idea di potercela fare da sola può diventare fragile, se si scontra con le reali dinamiche globali come quelle del turismo-commerciale o ‘mordi e fuggi’. Sono inoltre interressanti, gli investimenti effettuati dal Governo di Madrid per la loro protezione ambientale”.
Alcune esperienze post coloniali, come per esempio quella di Sao Tomé e Principe, hanno dimostrato che quando si cerca l’indipendenza da tutti, spesso si finisce col dipendere da tutti, soprattutto economicamente: lei cosa ne pensa?
“Esatto: proprio l'esperienza di Sao Tomé e Principe ha dimostrato che l'indipendenza politica, se non è accompagnata da solide basi economiche, può tradursi in una nuova forma di dipendenza, più frammentata e meno controllabile. In un mondo globalizzato nessun Paese è davvero autosufficiente. E se anche le Canarie aspirassero a un'indipendenza assoluta, rischierebbero di diventare economicamente vulnerabili, dipendenti da capitali esterni e dal turismo. Più che uscire dai legami esistenti conviene rafforzare la propria autonomia all'interno di un sistema che offra più stabilità e maggiori opportunità”.
Il turismo produce solo redditi importati: quali sarebbero le risorse interne delle Canarie, in grado di aiutarla a sostenersi come arcipelago indipendente?
“Il turismo può generare reddito, ma non garantisce stabilità per sostenersi come arcipelago indipendente. Le Canarie dovrebbero puntare su un'agricoltura specializzata e sulle energia rinnovabili - di cui sono potenzialmente ricche - sulla pesca sostenibile e sulle biotecnologie marine. Non ci sono altre strade”.
Le esperienze di isolazionismo protezionista, come per esempio quella rappresentata dall’attuale presidente degli Usa, Donald Trump, appaiono poco percorribili o si sono rivelate solamente un facile slogan per prendere voti: non è ingenuo o rischioso affidarsi politicamente a qualche personaggio emergente?
“L'isolazionismo protezionista teorizzato da Donald Trump presenta diverse sfide e potenziali rischi da considerare. Il protezionismo può rendere un Paese più povero a causa delle barriere commerciali, che limitano gli scambi con le altre nazioni. L'imposizione di dazi doganali e altre barriere commerciali possono provocare ritorsioni da parte degli altri Paesi, danneggiando le esportazioni. Le politiche protezionistiche possono proteggere le industrie nascenti solo temporaneamente, ma potrebbero non garantire la loro competitività nel medio-lungo termine. L'adozione di politiche isolazioniste può influire sulla credibilità di un Paese sulla scena internazionale e nelle sue alleanze strategiche. Insomma, il protezionismo è una risposta obsoleta, per non dire arcaica: affidarsi a politiche isolazioniste può comportare rischi significativi sia per l'economia, sia per la posizione internazionale di un Paese. E’ ormai divenuto cruciale valutare attentamente le proposte dei leader emergenti e considerare le lezioni della Storia, per prendere decisioni informate”.
Perché, secondo lei, persiste questa convinzione ‘personalistica’ o ‘leaderistica’ della politica? Non è un salto nel vuoto affidarsi all’uomo ‘forte’, che il più delle volte delude?
“La ‘fissazione’ personalistica o leaderistica persiste per diverse ragioni: gli elettori hanno smesso di identificarsi con un Partito o un movimento politico e, ormai, votano in base alle proposte e all'immagine dei candidati. Ciò ha portato a una crescente spettacolarizzazione della politica, dove i leader sono diventati più importanti dei programmi. Le campagne elettorali sono delle vere e proprie operazioni di marketing, con spot e slogan che sostituiscono la presentazione di programmi coerenti e dettagliati. Ciò ha contribuito a imporre l'immagine del leader come figura centrale. E infatti, i leader sono sempre più presenti nei media, nel tentativo di creare un senso di familiarità e di fiducia tra l'elettore e l’eletto. In secondo luogo, la politica attuale è spesso caratterizzata da attacchi personali e critiche ai propri avversari, soprattutto sui social. La qual cosa, aumenta la polarizzazione e la personalizzazione. Tuttavia, affidarsi esclusivamente a un leader ‘forte’ può essere rischioso, poiché può deludere le aspettative degli elettori, portando a un’ulteriorie perdita di fiducia nella politica. La personalizzazione della politica conduce a una mancanza di riflessione e a risposte istintive, puramente di ‘pancia’, in merito alle questioni più complesse”.
Insomma, chi non possiede carisma, di certo non se lo può dare in forme autoreferenziali: è così?
“Non solo: il carisma non può essere creato artificialmente o ‘dopato’ attraverso delle strategie di comunicazione. I leader dotati di un forte carisma possono anche essere efficaci nel convincere gli elettori in campagna elettorale, ma è importante che anche gli elettori siano maggiormente consapevoli delle strategie utilizzate per creare questa immagine del leader. E qui torna in gioco la questione dei Partiti, divenuti meri oggetti di rinfrangimento dell’immagine dei leader, generando uno svuotamento della politica: una degenerazione che non produce più delle ‘squadre’ di governo realmente efficaci”.
Progetti per il futuro: intende proseguire con queste ‘scorribande’ nella ricerca divulgativa, oppure tornerà presto sui battuti sentieri della poesia?
“E’ una domanda alla quale non so rispondere: il mistero mi affascina, così come l'espressione poetica. Dove andrò, sarà il cuore a deciderlo”.