Il presente dell’arte passa per la memoria: dove i luoghi parlano, le opere rispondono. E' questa la visione curatoriale di Riccardo Freddo, tra memoria storica, arte contemporanea e rigenerazione dei territori. Dalle installazioni nei siti simbolici d’Italia, alla residenza ‘The place of silence’: un percorso che intreccia tempo, spazio e ascolto. Da Villa Giulia alla Biennale di Venezia, passando per Perugia, Siena e Imola, l'artista Riccardo Freddo continua a creare visioni e la 'Galleria Rosenfeld' si configura sempre più come un laboratorio curatoriale diffuso, in cui l’identità dello spazio espositivo, con sede a Londra, s’intreccia a un concept sistemico: rigenerare i territori, restituire senso al gesto artistico e supportare un collezionismo che sia anche, profondamente, una scelta esistenziale.
Riccardo Freddo, ‘Rosenfeld’ è una galleria con una vocazione internazionale e una forte identità curatoriale: quali sono i progetti principali su cui sta lavorando in questo momento e come si inseriscono nel panorama attuale?
“L'estate 2025 è stata, per me, un momento straordinario di espansione progettuale e curatoriale, sia in Italia, sia all'estero. Ho aperto tre mostre in luoghi simbolici del nostro Paese, creando ‘ponti’ tra artisti contemporanei e contesti carichi di Storia. Ma è nei prossimi mesi che si concentrano alcune delle sfide più ambiziose: a ottobre mi occuperò della direzione artistica di una grande mostra al Museo nazionale di Villa Giulia a Roma; e, per la prima volta, ci sarà un'installazione site specific nel ninfeo romano appena restaurato, in un incontro tra arte contemporanea e memoria classica. A novembre, presenterò la prima personale di Teodora Axente al Museo di Santa Maria della Scala a Siena, in dialogo con la complessità stratificata di uno dei luoghi simbolo della culturale italiana. A dicembre 2025, aprirà una personale presso Palazzo Tozzoni a Imola, in cui l'architettura settecentesca del palazzo entrerà in contrasto e in risonanza con sculture contemporanee. A gennaio 2026, seguirà una mostra al Palazzo della Penna a Perugia, con un progetto pittorico di Araminta Blue nato direttamente dalla sua esperienza nella mia residenza d'artista in Umbria. Infine, a maggio 2026, durante la Biennale, l'esposizione al Museo Ca' Pesaro di Venezia esplorerà il legame tra l'antica arte giapponese e quella contemporanea. Tutti questi progetti condividono una visione comune: portare l'arte contemporanea dentro luoghi carichi di memoria e innescare nuovi significati attraverso il tempo, lo spazio e la materia. In un mondo sempre più frenetico e superficiale, credo nel valore di un'arte che si radica, che interroga e che lascia sedimentare i suoi effetti con lentezza”.
Nel 2023, lei ha fondato ‘The place of silence’, una residenza d’artista immersa nei borghi umbri: cosa l’ha spinta a tornare in Italia e scommettere sulla rigenerazione culturale delle aree interne?
“Dopo anni trascorsi in metropoli come Londra, Parigi, Los Angeles e New York, sentivo il bisogno di riconnettermi a una dimensione più essenziale. L'Umbria — luogo del silenzio e di antico misticismo, mi ha dato lo spazio per far nascere ‘The place of silence’. Ho fondato questa residenza artistica con l'idea che la rigenerazione culturale parta dal territorio. Qui, gli artisti vivono in ascolto del paesaggio, creano in dialogo con la luce, con la terra e con le memorie. Ed è incredibile osservare come questa esperienza dia frutti tangibili: Araminta Blue, dopo il suo periodo in residenza, avrà una mostra istituzionale al museo d'arte contemporanea di Palazzo della Penna, a Perugia; Ioana Maria Șișea, brillante ceramista contemporanea, ha esposto al Museo della ceramica di Deruta, il più antico del mondo. Sono esempi che raccontano come l'Italia, con la sua ricchezza culturale, possa essere un luogo di rinascita per l'arte del presente”.
Molti giovani artisti italiani cercano legittimazione all’estero: lei pensa che oggi esistano le condizioni per costruire un mercato sostenibile per l’arte emergente in Italia, anche fuori dalle grandi città?
“Sì, le condizioni iniziano a delinearsi, ma serve una volontà condivisa. Troppo spesso, i giovani artisti italiani sono costretti a cercare legittimità all'estero perché mancano le strutture, le reti e, soprattutto, il coraggio di investire nella ricerca a lungo termine. Ma oggi, anche fuori dai grandi centri, esistono energie straordinarie: gallerie indipendenti, residenze, collezionisti visionari, musei pronti ad aprirsi. Ciò che manca è una narrazione collettiva, che leghi questi sforzi e li trasformi in sistema. Un sistema che non solo accolga l'arte emergente, ma la protegga, la sostenga, la metta in condizione di crescere senza compromessi”.
Parliamo di collezionismo: lei nota un cambiamento nei gusti o nelle dinamiche di acquisto dei collezionisti contemporanei? C’è ancora spazio per la passione, o tutto ruota ormai intorno all’investimento e alla visibilità?
“La scena del collezionismo, oggi, è più complessa che mai. Accanto a dinamiche speculative sempre più rapide, esiste ancora — e forse si sta rafforzando — una forma di collezionismo autentico, poetico, intimo. Vedo collezionisti giovani e meno giovani tornare a scegliere opere non per ciò che rappresentano sul mercato, ma per ciò che risvegliano dentro di loro. Cercano il racconto, il contatto diretto con l'artista, l'opera che parla in silenzio. Vogliono vivere con l'arte, non semplicemente possederla. È chiaro che il tema dell'investimento non può essere ignorato, ma credo che la vera forza del collezionismo contemporaneo sia la capacità di tenere insieme intelletto e cuore, ragione e intuizione”.
La foto utilizzata nel presente servizio giornalistico è uno scatto di Eleonora Pascai, che ringraziamo