Lucilla Corioni

“Quando sento la parola amicizia, mi viene in mente solo un nome: Lucio”. Con questa frase, semplice e disarmante, Pietruccio Montalbetti, storico chitarrista dei Dik Dik, apre uno dei passaggi più intensi del suo nuovo libro: ‘Storia di due amici e dei Dik Dik’, edito da Minerva. Quel nome, Lucio Battisti, è un legame viscerale che attraversa ogni pagina, ogni accordo, ogni giorno di una vita vissuta tra note, emozioni e sogni. Nato a Milano nel 1941, il grande Pietruccio Montalbetti è uno dei fondatori della band. E’ un uomo che ha attraversato l’Italia dei mitici anni ’60 del secolo scorso, tra prove, concerti, speranze e disillusioni, inseguendo la musica come un destino. E che, lontano dai riflettori, ha viaggiato in solitaria nei luoghi più remoti del mondo, dalla Colombia al Nepal, dalla Birmania al Sahara, spinto da una sete di scoperta, umanità e libertà. Con i suoi Dik Dik, fondati nel 1965 e diventati un’icona della musica italiana, con successi entrati nella memoria collettiva: ‘Sognando la California’; ‘Il vento’; ‘L’isola di Wight’; ‘Il primo giorno di primavera’; ‘Senza luce’; ‘Io mi fermo qui’. Quattro partecipazioni al Festival di Sanremo, una carriera mai interrotta e collaborazioni con giganti come Lucio Battisti, Mogol, Caterina Caselli, Giorgio Faletti, Ricky Gianco, Donatello, Rita Pavone, i Camaleonti, Maurizio Vandelli. Il libro è un tuffo nel passato, ma anche una dichiarazione d’amore nei confronti della musica e dell’amicizia, per come veniva vissuta a quei tempi: “Lucio era timido, profondo, ossessionato dalla musica", ricorda Montalbetti. "In quella prima giornata passata insieme, mi raccontò di suo nonno, che gli aveva costruito il primo flauto con le sue mani. Poi si addormentò, come fanno i bambini piccoli. Era un’anima bella: non potevi non volergli bene”. Il loro primo incontro avvenne quasi per caso, in uno studio di registrazione. Da lì, nacque una complicità sincera, fatta di stima e di verità: “Lui suonava e cantava cose sue, alcune acerbe, altre sorprendenti. Mi chiese un parere e io, forse con un pizzico di benevolenza, gli dissi che erano belle. Ma una mi colpì davvero: decisi di inciderla nel nostro primo disco. Era ‘Se rimani con me’. E fu il primo brano a portare ufficialmente la firma di Lucio Battisti”. Il libro è anche una sorta di ‘ballata urbana’, ambientata in una Milano popolare e affettuosa, dove le madri accompagnano i figli alle prove e i parroci scrivono lettere di raccomandazione per farli arrivare alla Ricordi. Una Milano in cui le prime chitarre ancora si sognavano, più che compravano. E dove i provini andati male diventavano aneddoti da raccontare ridendo, anni dopo. Tra un capitolo e l’altro, scorrono gli anni, i concerti, gli ideali. I Dik Dik si chiamavano ancora ‘I Dreamers’: sognatori che sognavano in una saletta di periferia e si spostavano da una balera all’altra, con una fame più grande della fatica. Eppure, proprio lì, nella fatica condivisa, nella complicità silenziosa, nella musica che ancora non sapevano avrebbe fatto la Storia, nascevano le vere storie d’amore. Quelle con la vita, con l’arte. E con gli amici. Con Lucio. Tra l’altro, Pietruccio Montalbetti ha già raccontato se stesso in altri libri: ‘Sognando la California, scalando il Kilimangiaro’ (Aereostella, 2011); ‘Io e Lucio Battisti’ (Salani Editore, 2013); ‘Settanta a settemila’ (Ultra, 2014); ‘I ragazzi della via Stendhal’ (Aereostella, 2017); ‘Il mistero della bicicletta abbandonata’ (Bookroad, 2021). Tuttavia, possiamo assicurare che ‘Storia di due amici e dei Dik Dik’ ha un’altra profondità. Perché è una confessione, una carezza, un ritorno. Come scrive Marco Buticchi nella prefazione: "Quelle canzoni sono leve invisibili, come direbbe Archimede, capaci di sollevare mondi interiori". In un tempo in cui tutto sembra correre, Pietruccio ci invita a rallentare, a ricordare, ad amare un nome che la Storia della musica non ha mai dimenticato: quello di Lucio Battisti.


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