Vittorio LussanaSiamo addolorati per la morte di Giorgio Faletti, artista eclettico, nonché scrittore lineare e intelligente. Egli ha cercato, attraverso la versatilità, di sfuggire a quel marchio indelebile con il quale, in genere, questo Paese ‘bolla’ i cosiddetti ‘teatranti’, dimostrando di essere assai più del divertente ‘giullare’ esploso a ‘Drive in’. Quella trasmissione obiettivamente sfornò talenti satirici prendendo allegramente in giro gli italiani sui loro difetti, anche se in pochi se ne accorsero, abbagliati dai lustrini e dalle forme conturbanti delle sue vallette. Tra quei nuovi artisti emergenti c’era indubbiamente anche lui, Giorgio Faletti, forse tra i più bravi nel ‘rubare’ stravaganze popolari e proporre alcuni personaggi ‘tipici’ della nostra piccola realtà di provincia. Come per esempio il ‘matto’ di Passerano Marmorito, località dell’astigiano che nessuno aveva mai sentito nominare nemmeno per sbaglio e che tutti, in seguito, cercammo di individuare sulle cartine geografiche del Piemonte. Un ‘matto’ che, al di là delle apparenze, era il personaggio più innocuo all’interno del microcosmo di paese da lui descritto attraverso una serie di divertentissime ‘scenette’. In seguito, Faletti si inventò la guardia notturna Vito Catozzo, il classico emigrato meridionale integratosi in ‘alta Italia’ con la ‘fissa’ per Adriano Celentano, terrorizzato dall’idea di avere un figlio gay. Un attore con indubbie qualità da ‘macchiettista’, insomma. In questi casi, la critica in genere attende al ‘varco’ un artista divenuto improvvisamente popolare, per riuscire a comprendere se riuscirà a ‘spendere’ il successo ottenuto in ruoli più complessi e impegnativi, attestando se un personaggio televisivo, oltre a qualche monologo ben riuscito, abbia anche qualcosa da dire alla comunità. Faletti, a suo modo, tutto ciò lo comprese. Ma volle fornire una risposta ‘diversa’ dal solito. Anche se ‘Drive in’ gli aveva portato notorietà, grandi occasioni per dimostrare di essere un artista completo - e non solamente un comico come tanti altri - non arrivavano. Nel frattempo, in Sicilia stavano accadendo cose terrificanti, come le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Fatti che scossero profondamente gli italiani e, tra questi, lo stesso Faletti. Così, gli venne in mente di sperimentare una sorta di ‘reading’ musicale, che presentò al festival di Sanremo, intitolato: “Minchia, signor tenente”. Un brano esplicitamente descrittivo delle difficilissime condizioni di lavoro delle nostre Forze dell’ordine, composte da uomini prima ancora che da militari e agenti, i quali, in cambio di un misero stipendio, si ritrovano in prima linea ad affrontare pericoli quotidiani e criminali sanguinari. Personalmente, non fui tra i più entusiasti per quel brano. A prescindere dal testo, indubbiamente realistico, sotto il profilo musicale la canzone mi apparve cupa e ripetitiva: un’evidente ‘incursione’ di un artista sensibile in un settore artistico non propriamente suo. Non fu, dunque, il Faletti ‘cantautore’ a colpirmi, bensì l’uomo. Il quale, in seguito, dimostrò di essere una persona interessante, ricca di ottime qualità intellettuali. Così giunse la fase del ‘Faletti-scrittore’ di best sellers. I suoi romanzi evidenziano uno stile chiaro, pulito, dotato di un buon ‘ritmo’ di lettura. ‘Io uccido’, edito da Baldini&Castoldi, rimane il suo lavoro migliore, scritto di ‘getto’ e con evidente entusiasmo. Si tratta di un’indagine-sfida all’interno del mondo dell'automobilismo tra alcuni investigatori e un serial killer, il quale, per lunghi tratti del romanzo, riesce ad anticipare sempre di un ‘soffio’ i due protagonisti postisi sulle sue tracce. La novità effettiva introdotta da Faletti fu quella di coinvolgere i lettori in una vicenda che li avvicinò al genere ‘giallo-thrilling’, una forma espressiva che, in seguito, si affermò anche nel cinema e nelle grandi serie televisive. Insomma, giunto a un certo punto della sua vita, Giorgio Faletti ebbe il coraggio di compiere scelte professionali precise, inconsuete per un ‘cabarettista’ proveniente dal tanto disdegnato mondo del piccolo schermo. Copioni adatti a lui non arrivavano. E l’essere diventato un ‘personaggio’ rischiava di ‘imprigionare’ il suo percorso artistico, rendendolo una delle tante ‘meteore’ che il pubblico generalmente dimentica nel giro di poco tempo. Tuttavia, egli seppe cercare strade alternative, per evolversi e dimostrare di essere un uomo sensibile, avvalorando l'idea di valere assai più di quel che comunemente si pensava. Le sue scelte audaci restano, dunque, un qualcosa di originale, di brillante: un eclettismo coraggioso, raramente bene accolto, qui da noi, da una critica prigioniera di ridondanti intellettualismi e da un pubblico fortemente tradizionalista. Variare, sperimentare, provare nuove strade rimane, pertanto, l’insegnamento umano principale lasciatoci da questo eccellente artista e scrittore: un suggerimento generoso, verso il quale abbiamo tutti il dovere di esprimere profonda gratitudine. Grazie, Giorgio: per l’artista divertente che sei stato e per l’uomo autentico che hai saputo essere. Non ti dimenticheremo.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
Lascia il tuo commento

Cristina - Milano - Mail - mercoledi 9 luglio 2014 13.59
Un bellissimo quadro di Giorgio Faletti, che ho avuto la fortuna di incontrare spesso quando abitava a milano. Una persona bellissima, educata e sempre cordiale. Doti più uniche che rare, ormai, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Lui e la moglie mi piacevano molto.


 1