
Corradino Mineo è un caro amico e un valente giornalista. Uno di quelli ‘veri’, che ha lavorato duramente per lunghi decenni, occupandosi di tutto quel che accadeva nel mondo. Egli merita sicuramente rispetto, così come è giusto lo pretendano tutti coloro che stanno esprimendo obiezioni in merito all’attuale progetto di riforma del Senato della Repubblica. E’ fatto altresì notorio che chi scrive sia favorevole a una politica ‘decisionista’, che cioè sappia tenere in debito conto le lentissime tempistiche della politica italiana, affrontando le questioni con un preciso ‘piglio’ teso alla concretezza. Dunque, non ho la minima intenzione di colpevolizzare chi, sulla base di tale metodologia, ha impostato il proprio progetto di cambiamento istituzionale del sistema politico italiano. Quel che invece vorrei sottolineare è l’impressione di come siano ‘saltati’, già da qualche tempo, tutte le normali convenzioni sociali di raggiungimento di un accordo. Di un accordo qualsiasi, in senso generico. Si tratta di una caratteristica negativa che si può individuare anche sul versante dei comportamenti quotidiani di numerosi individui: sembra ormai difficilissimo riuscire a far ‘incrociare’ due volontà distinte seguendo criteri di equilibrio ed equità. Nelle normali contrattazioni lavorative o di affari, sempre più spesso si nota una più che sensibile distanza tra chi offre un compromesso e chi intenderebbe accettarlo. Sul primo versante, troppo spesso appare evidente la volontà di chiudere l’accordo stesso senza rinunciare a nulla, senza offrire in cambio alcunché, con velleità quasi ricattatorie: se una cosa la si vuol fare, bisogna cedere a determinate condizioni. Sul secondo versante, viceversa, si nota sempre più frequentemente una diffidenza e una sfiducia che delineano una scarsa attitudine a quell’idea contrattualistica la quale, pur non essendo applicabile in tutti i campi e settori, in tanti altri risulta il solo e unico modo per far incontrare due interessi contrapposti. Nella querelle esplosa tra il presidente Renzi e il senatore Mineo, a sua volta seguito da un gruppo di 13 senatori, non intendiamo schierarci né da una parte, né dall’altra. Ci schieriamo, invece, con fermezza e decisione, contro l’intero episodio in sé, in quanto discendente da concezioni puramente burocratiche, che inquadrano ogni confronto politico sul piano grettamente pragmatico del mero scontro di potere. L’incapacità di trovare un punto di incontro tra le parti ha delineato una distanza, se non una lontananza netta, da quel mondo di discendenza microeconomica e ‘liberaleggiante’ che ha sempre fondato la propria ragion d’essere sul raggiungimento di un punto di equilibrio, in cui ognuna delle due parti sia disposta a rinunciare a qualcosa per ottenere il vantaggio di tutti. Tale criterio è il fondamento stesso della cultura liberaldemocratica, ma né la ‘cordata Renzi’, né il ‘gruppo Mineo’ hanno dimostrato di conoscerlo. Le culture mafiose del sud d’Italia, in genere risolvono simili empasse ‘subappaltando’ l’operazione da realizzare a un soggetto terzo, il quale naturalmente si ritrova nelle condizioni di poter approfittare della situazione, imponendo condizioni da monopolista ancor più vessatorie e prezzi totalmente arbitrari. Si chiede, pertanto, all’intero Partito democratico di non far cadere l’Italia dalla ‘padella’ nella ‘brace’. E’ un rischio che questo Paese non può permettersi. Siate dunque più ‘liberal’, per favore.