Daniela Zappavigna

Roma, zona Portuense. Siamo in una tratta della vasta capitale in cui si è svolto ciò che ora veniamo a narrare, così come trasmessaci dal suo protagonista. Egli è membro di un’associazione da lui voluta e costituita, oltre che un impiegato della Pubblica amministrazione e coordinatore di una sede di rilevanza nel cuore di Roma, a disposizione della cittadinanza nel coadiuvare servizi di pertinenza. Insomma, un cittadino ricco di interessi privati, ma socialmente utili. Questa persona si trova spesso a percorrere un tratto di strada, da casa alle destinazioni varie, sempre nelle vicinanze. Ed è sua 'routine' altrettanto consueta quella di chiedere una mano a un passante o a un conoscente, nei punti “brevi ma critici” da oltrepassare, data la presenza di una barriera architettonica diversamente motoria, avvezzo a vedersela come ostacolo da almeno una “doppia ventina d'anni”. In una delle serate scorse, si è apprestato a chiedere un ‘gentil accompagno’, rientrando da un proprio incontro in attinenza con il suo impegno sociale, dal quale, come sempre, esce soddisfatto e fertile di idee da mettere a fuoco per creare iniziative o campagne di sensibilizzazione. L’andata era avvenuta dal proprio luogo di lavoro col suo ‘Taxi di diritto’, che gli passa il Comune per la sua diversa abilità. “Ma nessun problema”, pensava, “come al solito, in quei dieci passi della strettoia critica, troverò un accompagnatore”. I primi tre quarti di strada “me li ero già portati avanti da solo”, riferisce il protagonista della vicenda. Ma ecco apparire una coppia, probabili moglie e marito, che messi di fronte all’insolita richiesta di aiuto sono rimasti molto perplessi, sin da subito. Non riuscivano a identificare il ruolo richiesto loro, evidentemente già molto preoccupati, se non atterriti. Comunque, data l’insistenza del disabile, che li tranquillizzava parlando loro di una "routine abitudinaria", essi si sono prodigati, per così dire, accontentandolo, ma solo un poco, limitandosi a sorreggere il ‘due ruote’ ai lati. La compagna della coppia, alla fine, cede: si ferma e, non sentendosela più di proseguire, chiama seduta stante un’ambulanza. Questa si precipita, pensando a un’emergenza di soccorso, ma al suo arrivo, il personale sanitario che vi era a bordo, non riscontrando ferite o gravità fisiche di competenza, ha spiegato alla coppia di signori che non avrebbero potuto esaudire la loro richiesta di accompagnamento del disabile fino a casa, utilizzando il mezzo preposto (meno di 100 metri...), soprattutto per “esigenze di protocollo”. A questo punto, fermiamoci un attimo e fotografiamo la scena: due signori (senz’altro responsabili) in panico, (perché, diciamoci la verità: ci sono tratti della Portuense che non sono proprio adatti a una sedia a rotelle per persone con disabilità, ndr) e un’ambulanza ferma per questioni di prassi. Epilogo: il personale dell’ambulanza, non potendo accompagnare il nostro amico per quei suoi ultimi 50/100 metri con il mezzo adibito al soccorso emergenziale, si sono visti costretti a chiamare i Carabinieri. Anche la signora li ha chiamati, insistentemente. Ma, com'era prevedibile, questi non sono mai arrivati. Finché, dopo due ore, non vedendo altra soluzione e non potendo abbandonare la persona in strada, il personale operativo dell’ambulanza ha preso la saggia decisione di accompagnare il disabile fin sotto casa. A piedi... Ci voleva tanto, per farsi venire questo colpo di genio?


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