Le giornate assolate di questa estate, ora ai ‘colpi di coda’ finali, sono state accompagnate da una crescente porzione di notizie riservate alla diffusione del virus ‘West Nile’. Un brivido freddo ha percorso le schiene di molti italiani, che con disappunto e un velo di preoccupazione hanno ascoltato le dichiarazioni degli ormai noti virologi. La cicatrice del Covid è ancora ben visibile. Eppure, la comunicazione in ambito medico sembra non aver imparato la lezione, cedendo il passo allo show: una drammatizzazione eccessiva e una massiccia presenza di esperti nei ‘talk’ dedicati hanno alimentato soltanto paura e confusione tra i cittadini. Attirare l’attenzione su argomenti sanitari, tendendo a enfatizzare situazioni di presunta emergenza, rischia di distorcere la realtà effettiva, inducendo modifiche nei comportamenti sociali dovuti al generale aumento dell'ansia, causa a sua volta della corsa al consulto specialistico e, talvolta, dell’acquisto di medicinali, spesso senza una reale necessità o indicazione medica. Il ruolo dei media, a tal proposito, è cruciale. Durante la pandemia, la diffusione di notizie incontrollate, accompagnate dai ben più istituzionali (ma poco rassicuranti) bollettini, ha rafforzato un clima di costante preoccupazione, fondata sicuramente su un’effettiva minaccia, che tuttavia non ha trovato riscontri nei basilari prodromi del virus ora in circolo. La comparsa del ‘West Nile’ tra i titoli dei giornali, nonostante le evidenti distinzioni da operare rispetto al recente passato, ha suscitato un inevitabile ‘deja vu’: "paziente zero", "ricovero", "febbre" e "difficoltà respiratoria". Sono tutti termini di un campo semantico troppo 'standardizzato', che i cittadini vorrebbero rendere più declinabile. In questo contesto, è fondamentale un approccio equilibrato, esattamente come quello adottato dagli organi di settore, che liberano la notizia dall’insensato peso del clamore, per descrivere un quadro decisamente meno infausto, che potrebbe analizzare le questioni sanitarie suggerendo reali forme di contrasto (campagne di disinfestazione nelle zone colpite e l’adozione di piccoli, ma significativi, comportamenti cautelativi), senza ricorrere a inutili e dannosi espedienti ‘cattura like’. I media non possono sottrarsi dalle loro responsabilità e dovrebbero affrontare i temi sanitari con maggior serietà e competenza, tenendo a bada la pulsione dell’allarmismo a tutti i costi. Solo attraverso un'informazione basata su dati concreti, affidabile e contestualizzata, si può davvero promuovere una maggiore consapevolezza, evitando che la paura superi la razionalità.