Da qualche giorno è possibile trovare nelle librerie italiane il volume ‘Benevolenza: la grande assente?', edito da Youcanprint. Un testo lungimirante, alla ricerca di un nuovo equilibrio nella società attuale, con uno sguardo mirato alle relazioni umane. Un’ampia riflessione sul mondo contemporaneo e sulla stessa mancanza di legami più profondi, alla ricerca di una risposta singolare e collettiva. Questo libro si pone come una semplice ‘raccolta’, al contempo complessa nei significati. Si sfiorano temi di assoluta importanza per la convivenza civile, a cui la società sembra indifferente. L’invito alla lettura, questa volta, si presta a un grande suggerimento: quello di aprire un dialogo tra le persone e di mettere in moto una domanda sintonica e sinergica sempre più presente nella nostra vita quotidiana. L’esigenza di instaurare nuovi meccanismi di comportamento costituisce la posizione migliore per rincorrere e raggiungere il concetto di ‘benevolenza’ richiamato dal titolo. Il calibro e l'alto spessore professionale e culturale dei molti autori lascia trasparire la loro particolare sensibilità, poiché si tratta di personalità dedite, oltre che al proprio lavoro, anche al volontario, rendendosi attivi nei contesti sociali più disagiati e richiedenti vicinanza, attenzione alla cura e un’analisi più efficace anche della psiche umana. Qui di seguito citiamo: monsignor Vincenzo Paglia, arcivescovo e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio; suor Cristiane Pieterzack, bioeticista, laureata in Filosofia e Interpretazione letteraria; il professor Enrico Girmenia, laureato in Lettere e in Neuropsichiatria; Antonio Lucarelli, operatore sanitario; Ivan Ilardo, avvocato; Matteo Di Simone, psichiatra e psicanalista; Pietro Grassi, bioeticista e psicanalista; Roberta Cerina, giornalista e insegnante. La post fazione è a cura del cardinale Angelo Comastri. A margine dell'incontro romano di presentazione dell'opera, Suor Cristiane Pieterzack e il dottor Enrico Girmenia ci hanno offerto la possibilità di comprendere meglio i contenuti da loro esposti.
Suor Cristiane e dottor Girmenia, come avete interpretato il termine ‘benevolenza’?
Suor Cristiane Pieterzack: “Come avrete notato, nel libro il termine viene utilizzato spesso tra virgolette. È un ricorso stilistico che abbiamo scelto un po’ liberamente – e forse anche un po’ arbitrariamente (perché, in effetti, non sarebbe necessario, una volta che il termine esiste in tutte le lingue latine) – per attirare l’attenzione sul fatto che la realtà della benevolenza, molte volte, non viene considerata come qualcosa di fondamentale per la nostra esistenza, non viene messa in evidenza. Anzi, sembra proprio assente: la grande assente, appunto. Eppure, c’è. È lì e ogni giorno possiamo sprigionarla, diffonderla, scoprirla. Direi quasi che dovremmo un po’ osare con la benevolenza. Sicuramente non faremmo del male, né a noi, né agli altri. Nell’ambito della benevolenza, comunque vada, rimarrà sempre quel fondo di bene che la caratterizza”.
Enrico Girmenia: “Io, nel libro, ne parlo come fosse un argomento implicito, non considerato dalla nostra società, attraverso un’esplorazione dei comportamenti umani. Il testo si compone, infatti, di ‘esperienze-racconto’ da parte di autori vari, che hanno voluto spiegare il concetto prendendo spunto dalle esperienze delle loro vite personali, anche attraversando il significato più profondo della vita e il limite con la morte”.
Nell’accezione utilizzata nel libro, la ‘benevolenza’ è un valore umano che si può concretizzare in vere azioni?
Enrico Girmenia: “Si potrebbe forse utilizzare la parola ‘auto-assolvimento’, per definire l’odierno contesto sociale e ogni nuovo fenomeno che la compone”.
Suor Cristiane: “Io credo, invece, che qualunque definizione venga offerta alla ‘benevolenza’ non sarà mai completa, se manca l’aspetto etico e pratico. La benevolenza non è soltanto un ‘desiderio di bene’ o una buona disposizione della volontà umana. Lo è, anche. Ma dobbiamo convenire che la benevolenza mira a un fine, cioè a una qualche azione, in modo da vivere ed esperimentare – mi viene da dire ‘gustare’ - il bene nella nostra condizione umana, così come si gusta un buon vino, un buon olio o un buon caffè. Il problema, a mio avviso, è che spesso pensiamo ai gesti di benevolenza come grandi azioni od opere memorabili: roba per pochi. Dobbiamo uscire da quest’ottica dell’eroe: non perché chi pratica la benevolenza sia debole – anzi, è proprio il contrario – ma perché ognuno di noi, nella propria piccola e limitata realtà, è tranquillamente in grado di concretizzare la benevolenza. La benevolenza è una condizione, una volontà e una scelta”.
Cosa incide nel profondo cambiamento delle relazioni umane, vocate alla benevolenza?
Suor Cristiane: “Vi ringrazio per aver chiamato in causa il termine ‘relazione’. La relazione, infatti, è il ‘luogo’ della benevolenza: non esiste benevolenza al di fuori di essa. La benevolenza avviene solo in rapporto all’alterità, all’altro. Implica una riflessione sull’essenza dell’essere umano in quanto essere relazionale e della sua necessità di confrontarsi con l’alterità. E qui è compreso l’Io. Anch’io sono un ‘altro’ per me stesso, nel senso che non posso conoscere tutto di me, non ho accesso a tutti i contenuti del mio inconscio e non posso determinare i miei sentimenti, né prevedere tutte le mie reazioni future e così via. Questo libro mostra come le relazioni umane cambiano e aumentino di qualità quando vocate alla benevolenza. A un patto, però: deve iniziare da noi stessi. Ognuno è chiamato ad affermare questo: la reciprocità non è la cosa più importante. Ciò che attiva veramente la benevolenza nelle relazioni è il punto di partenza, cioè ‘l’Io’, l’unicità dell’io che si apre all’unicità dell’altro”.
Enrico Girmenia: “Purtroppo, la tecnologia e l’attaccamento ai messaggi superficiali hanno distorto del tutto ogni sana relazione. Ma la tecnologia rappresenta solo uno strumento, che riflette un disagio sociale ben radicato. Per questo motivo, non escludiamo, nella riflessione, un’accurata analisi degli atteggiamenti e dei veri e propri status sociali portatori, ancora oggi, di movimenti razzisti e antisemiti, in una società dove l’egoismo e l’individualismo sembrano essere i modelli premiali. Si si tratta, in realtà, di falsi miti, adulati dalle nuove generazioni alla ricerca di protagonismo soltanto tramite ideali del tutto estremi, non corrispondenti a un sano senso collettivo o di gruppo. Poi ci sono le derive più specifiche, come per esempio gli ‘hikikomori’: un termine forse nuovo a molti, ma non troppo vecchio per rendere l’idea di un fenomeno dilagante non solo in Giappone, ma anche in Italia, avendo raggiunto il numero di circa 100 mila casi. Una realtà umana per cui i giovani sono in uno stato di completo isolamento in casa: un distacco dal mondo circostante totale, senza alcun tipo di interazione umana. Poi c’è il ‘bullismo’, che non è un fenomeno attuale, ma risalente a tempi antecedenti: è sempre esistito, rappresentandosi come l’imposizione della legge del più forte. Infine, ci sono gli ‘haters’: malefici disturbatori in rete, veri e propri odiatori nascosti. Le relazioni umane, oggi, passano dai social network, permettendo di nascondersi. E la ‘malevolenza’, da me utilizzata in opposizione al titolo del libro, ‘benevolenza’, ritrae chiaramente il contesto in cui crescono frustrazione, risentimento, invidia, collera. La realtà attuale, rende l’idea come la relazione con l’altro e la capacità stessa di relazionarsi non sia di tutti. E stia diventando anzi rarissima. Il risultato delle relazioni moderne, purtroppo, è vocato all’oscuro e alla chiusura nelle interazioni umane”.
La diffusione di un messaggio aperto alla benevolenza potrebbe essere utile e importante, al di là del piacere della lettura di un libro?
Enrico Girmenia: “La nostra società è in pericolo, perché divenuta del tutto incapace di guardare ai valori e all’essenza profonda delle persone, distante da ciò che accadde nei tempi di uscita dalle crisi, dove invece emerse un grande senso sociale e dei valori civili della collettività. Oggi, siamo di fronte a una società che consente la sopravvivenza di ideologie estreme, in una realtà distaccata e superficiale”.
Suor Cristiane: “Diciamo che la letteratura consente alle persone di scoprire cose nuove, le aiuta nelle decisioni da prendere, stimola cambiamenti nella propria vita. Forse, possiede anche un aspetto terapeutico, oltre che pedagogico, come affermavano gli antichi maestri. In effetti, la letteratura non è soltanto scienza o filosofia, benché intrattenga rapporti profondi con entrambe. Questo libro, in particolare, vuol essere una conversazione che può continuare all’infinito, sempre che un lettore abbia voglia di condividere, anche lui, la propria esperienza di benevolenza. La lettura è un mezzo per relazionarci con noi stessi, con gli altri e con il mondo”.
Qual è il vero significato di fondo che volevate far emergere negli argomenti trattati?
Enrico Girmenia: “Che i conflitti attuali sono un chiaro esempio di come molti significati siano stati distorti, in senso ideologico e malevolo. La ‘malevolenza’ è una forma nascosta, una torsione che porta soltanto alla frustrazione della persona. La risposta a tale problema può non può essere, né medica, né esclusivamente pedagogica: bisogna invece riscoprire il tema di una riscoperta partecipativa e personale, riemergendo da questo congelamento dei rapporti. Uscire dall’immobilismo della prima azione, per consentire una consequenziale interazione umana, frutto della ritrovata relazione”.
Suor Cristiane: “Per me – e penso di interpretare il pensiero degli autori di 'Benevolenza: la grande assente?' - la letteratura è capace di attivare il nostro desiderio di bene e, chissà, di incoraggiarci a compierlo nelle nostre relazioni quotidiane. A mio favore potrei citare vari passaggi di tutti i contributi raccolti nel volume, ma lascio questo compito alla benevolenza del lettore. Vorrei, invece, condividere un pensiero di Papa Francesco, dato che abbiamo raccolto qualche suo pensiero alla conclusione del libro, riguardo al ruolo della letteratura nella formazione. Afferma Papa Francesco: “La letteratura ha a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, poiché entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri e i suoi significati”. Alla fine, il cuore cerca di più e ognuno trova la sua strada nella letteratura”.