Nel nuovo libro di Ernesto Bassignano, il passato non consola: commuove, punge, chiama a raccolta le anime inquiete. Bologna, 5 giugno 2025: c’è un brivido di poesia nella voce di chi ricorda senza indulgenza. Un battito sordo tra le pieghe della memoria, come se il tempo non fosse passato, ma soltanto nascosto. 'Mi pare ieri' è il titolo e il grido malinconico del nuovo lavoro di Ernesto Bassignano, uscito per Edizioni Minerva: trentanove ritratti, trentanove volti che hanno attraversato cinquant’anni di passioni, disincanti e canzoni. E' una carezza ruvida sulla pelle della cultura italiana: “Confesso che ho vissuto senza mai fermarmi per rifiatare, con la lingua rovente e la voglia implacabile di dire, sapere, fare”, scrive ‘Bax’ nel prologo autobiografico che apre il libro. Una citazione da Neruda, sì, ma declinata con la sua voce ironica e graffiante, quella di chi non si è mai seduto troppo a lungo sulla panchina del consenso. Nato a Roma il 4 aprile 1946, Ernesto Bassignano è un cantautore, agitatore culturale, giornalista, autore radiofonico. Dopo l’Accademia di Belle Arti e l’incontro folgorante con Gian Maria Volonté, entra nel 'Teatro di strada': provocazione politica e arte viva, che brucia l’asfalto e la coscienza. Poi il Folkstudio, nel 1969, insieme a Lo Cascio, De Gregori, Venditti. Nasce 'I giovani del folk'. Da lì, una militanza che attraversa la musica e la politica, le Feste de l’Unità e le campagne elettorali, le redazioni e i palchi, la radio e le piazze. Bax è stato ovunque, ma sempre con un passo 'sghembo', mai allineato, mai omologato. Nel suo libro, Bassignano non racconta un’epoca: la rivive. Come quando rievoca Lucio Dalla, nudo e sorridente, che si tuffa in una piscina durante una Festa dell’Unità a Bari, urlando: “Itaca, Itaca, Itaca e a casa io voglio tornare…”. E intanto, schizzava acqua e libertà sugli astanti 'incravattati'. E' un frammento che profuma di genio e anarchia, di quegli anni in cui l’impossibile sembrava a portata di coro. Oppure, come Umberto Bindi, fragile e immenso, gli stringeva la mano sussurrando: “Scusa… Scusa… Scusa”, mentre Bax si nascondeva per piangere: “Sono fatto così, Ernesto… Era destino”. E l’eco di quella voce resta appesa come una nota mai conclusa. E poi Benigni, ancora giovane, che lo surclassò al Folkstudio con la sua travolgente teatralità: “Finsi di divertirmi molto, ma in realtà m’incazzai mica poco”, ammette con sincerità disarmante, “non tanto per il suo scherzetto, quanto per essermi sentito così poco desiderato dal mio pubblico militante”. E' l’orgoglio ferito di un artista vero, che non recita nemmeno quando racconta i propri inciampi. Nella prefazione, Massimiliano Castellani definisce ‘Mi pare ieri’ “una mostra letteraria incendiaria come i cerini Minerva”. Un libro che illumina con bagliori improvvisi, che incendia, ma non riscalda. Ogni ricordo è un universo a sé, ma tutti insieme compongono il ritratto di un’Italia che sognava, lottava, inciampava, ma non si arrendeva mai. Il tono è spesso autoironico, come in quella definizione che racchiude l’intero spirito del libro: “Io sono un classico distonico-neurovegetativo-postsessantottesco”. Ma sotto la battuta, si cela una malinconia profonda, una tensione mai sopita. Perché 'Mi pare ieri' è un atto d’amore per un tempo irripetibile, un grido di battaglia contro la decadenza di oggi: “Assistiamo, impotenti, allo sgretolamento progressivo di tradizioni meravigliose, fra teatro, cinema e musica oggi ridotti a paccottiglia televisiva”. Ernesto Bassignano, oggi in pensione, continua a scrivere canzoni e a incidere dischi. La sua chitarra non è mai stata appesa al chiodo. E la sua voce resta un 'faro obliquo' per chi non si riconosce nella 'superficie' delle cose. 'Mi pare ieri' è un libro che non consola, commuove, punge, chiama. E, soprattutto, non assolve. “Scarpe rotte eppur bisogna andar...”, scrive citando 'Bandiera rossa'. E se non è più tempo di conquistare una rossa primavera, forse è il momento giusto per difendere la memoria. Anche quella più scomoda. Anche quella che brucia.