
L’apertura potrebbe essere una scena di ordinaria amministrazione su un mezzo pubblico di
Cinecittà est: una donna dal trucco pesante con un forte
accento slavo chiede lumi all’autista sulla partenza dell’autobus senza ricevere risposta, se non indifferenza. Nella realtà, la passeggera molesta sarebbe stata allontanata, ma la finzione della
performance ha fatto riscoprire al pubblico l’arte della
pazienza. Nel quadro scenico siamo tutti costretti a mentire sul fastidio, eventualmente provocato dal suo modo di essere nello spazio pubblico e anche sul coinvolgimento. Tutto e niente sono realtà che convivono su un palco che si sposta per la periferia orientale di
Roma, progetto teatrale portato in scena grazie al
Festival Mauro Rostagno, patrocinato
dall’Accademia popolare dell’Antimafia ‘DaSud’. La storia è fin troppo nota, come anche il finale evocato dal titolo. Sono passati più di due millenni dall’invenzione di
Medea, ma continuano a esistere donne che sacrificano tutto per amore di un uomo. Nonostante molti
diritti civili siano stati conquisti, ci sono casi in cui la relazione di
dominazione e di
potere tra uomo e donna sembra essersi
riprodotta fedelmente in copia, dalla
tragedia greca sino alla
contemporaneità. Se la madre è straniera in terra straniera, i figli sono di chi gli dà il
cognome. Per questo
‘Medea per strada’ li ha uccisi insieme alla donna del suo amante, replicando lo
schema omicida dell’antenata tracia, nipote del
dio Sole. A prescindere da tali parallelismi,
Elena Cotugno è
un’attrice superba, che usa la propria
voce come fosse un
sintetizzatore o un
campionatore e il
corpo come
amplificatore. La
voce e il
corpo si trasformano nell’arco dell’intreccio, modulandosi intorno alla narrazione. Mai una
sillaba risulta coperta dal
rumoroso motore dell’autobus, mai l’attenzione del pubblico cala. E la
Cotugno non è mai uscita dai binari del suo personaggio, neanche quando un passante si è fatto spettatore inconsapevole della
performance fuori dall’autobus, insieme al suo cane. La storia della vita di un’ordinaria
prostituta dell’est, fuggita alla dittatura di
Nicolae Ceausescu in cerca di fortuna, è restituita attraverso un copione scritto a quattro mani dall’attrice stessa,
Elena Cotugno e
Fabrizio Sinisi. La sceneggiatura di
‘Medea per strada’ è incorniciata dalle scuse della protagonista, che si discolpa per il suo modo di essere e di esistere: giustificazioni accettabili per chi ha il privilegio dello spettatore, al sicuro al di là della
quarta parete, luogo in cui la compenetrazione di affezione e odio risulta quasi comprensibile e accettabile. Sarà importante ricordare sempre la pena provata per
‘Medea per strada’, ogni qual volta che la
cronaca nera ricorda la capacità di alcune madri di sacrificare la vita dei propri figli. Sarà importante ricordare che l’empatia verso
‘Medea per strada’ scaturisce dall’essere
quattro volte vittima: della
violenza maschile; della
struttura sociale, che le toglie ogni margine di riscatto;
vittima di tradimento e, infine,
vittima di se stessa, privandosi dei suoi figli. Forse qui sta la ragione del perché la
Compagnia dei Borgia abbia deciso di portare in scena la piéce a ridosso del
25 novembre, la
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Eppure,
Medea è
colpevole.