
Con la
sentenza n. 596 dello scorso
10 marzo 2016, la
Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che impossessarsi del telefonino altrui, al fine di leggerne i messaggi o la corrispondenza privata, qualifica il reato di
ingiusto profitto morale e
delitto di rapina. Quest'ultimo appare un termine
'pesante', che tuttavia connota pienamente la gravità di un'azione ritenuta quasi innocente fino a poco tempo fa. Un modo di comportarsi all'interno della coppia e, a volte, addirittura tra amici, che ora dovrà essere ritenuto un
reato penale a tutti gli effetti. Entrare nella
privacy altrui, spiando
'chat', messaggi estratti da
WathsApp, Facebook o dagli stessi
'sms', era diventata una
'prassi' nella coppia italiana, non rispettando la volontà dell'altro di avere un proprio spazio di
autonomia e di
libertà individuale. Grazie a questa incivile abitudine sono spesso venuti
'a galla' tradimenti e segreti, ma anche molti
equivoci, dettati da
malignità e
morbosità personale. In uno
Stato di diritto, il rispetto dello spazio altrui viene prima dello stare
in coppia ed è un
diritto sacrosanto anche criticare il coniuge o il partner in una
'chat' con la propria amica, senza aver paura di essere scoperte. La società civila sta cercando, purtroppo con magri risultati, in particolar modo nei confronti delle
donne, di difendersi da
gelosie ossessive o, più in generale, dai partner con tali caratteristiche. Una sentenza che determina un indubbio passo in avanti verso la
'frontiera' dei diritti individuali: all'interno del rapporto di coppia bisogna smetterla di cercare
'fantasmi' nel telefono dell'altro. E' invece necessario alimentare il
dialogo, per superare le proprie pulsioni più infantili, attraverso una ricerca degli strumenti di maturazione e di evoluzione antropologica più opportuni. Parlare, comunicare all'interno del rapporto di coppia si rivela cosa utile, nella maggior parte delle circostanze. La decisione assunta dalla
Corte di Cassazione giunge a colmare un
'vuoto' che ha sempre
cronicizzato giudizi preventivi e comportamenti
irrazionali, privi di criterio. La nostra società avanza, questo è vero, ma per lungo tempo trascina con sé una serie di
'retaggi' e
consuetudini che lo sviluppo tecnologico sta facendo emergere in maniera sempre più evidente. Lo Stato non può essere
'pedagogo', altrimenti non potrebbe definirsi
"liberaldemocratico": è il nostro comportamento a basarsi su presupposti sbagliati, imperniati attorno a un'idea di
possesso delle persone o su forme di
coinvolgimento affettivo forzate ed
egoistiche. La legge giunge solamente alla fine di un lungo processo sociologico di
'emersione' di
vizi e
ossessioni, a lungo occultati dai nostri stessi
pregiudizi. E si materializza in quanto
'norma-bilancio', ovvero come chiusura definitiva di prassi ritenute, confusionariamente, addirittura dei
'valori', mentre invece si tratta di veri e propri
'disvalori'. Nello Stato di diritto,
il troppo 'stroppia'. E anche un sentimento ritenuto comunemente
'positivo' come
l'amore non deve trasformarsi in una forma di
oppressione, sospetto e
sfiducia reciproca. Essere
gelosi non è affatto un segnale di
interesse nei confronti di una persona, bensì di vera e propria ignoranza nell'incapacità di resistere alle proprie pulsioni più
emotive, le quali a loro volta determinano conseguenze a dir poco disastrose. La
cultura del sospetto è un
insulto 'indiretto' nei confronti del partner: significa dare per scontato che una persona, un giorno, sicuramente ci ferirà o che, potenzialmente, sarebbe in grado di farlo. Un
processo alle intenzioni che determina una serie di
atti determinati, il più delle volte, da pensieri
malevoli, basati su
'non azioni', mentre invece bisognerebbe domandarsi se al nostro
'Lui' o alla nostra
'Lei' manchi qualcosa all'interno del rapporto. Fino a quando non verranno
'sfatati' una serie di
luoghi comuni di diretta discendenza
autoritaria, la società italiana non riuscirà a liberarsi dalla propria
arretratezza culturale. E continuerà a rimanere prigioniera delle proprie
atrocità quotidiane.