
Due Partiti: uno di qua e uno di là. Uno alla 'Leopolda', tutto intento a cercare di capirci qualcosa nella drammatica condizione in cui si ritrova questo Paese; l'altro in piazza con la Cgil e la Camusso, Maurizio Landini e le bandiere rosse, come se al Governo ci fossero altri. A Firenze spira un'aria allegra, la leggerezza di una nuova generazione che cerca di comprendere cosa bisognerebbe fare e di farlo, anche se ciò significa dimostrare apertamente di non sapere esattamente verso quale direzione ci si sta dirigendo; a Roma, la nostalgia del rivedersi in piazza, del "famoje vedè quanti semo...", della protesta post ideologica che ha perduto ogni confine rispetto alle scelte della Storia. Questo è ciò che rimane del vecchio Partito "di lotta e di governo" teorizzato da Berlinguer. Non si dividerà in due 'tronconi': sono troppo abituati a negare l'esistenza di correnti interne, figuriamoci se sono disposti a dare soddisfazione a chi riterrebbe più coerente dimostrare il coraggio di andare ognuno per la propria strada. Ma la contraddizione ormai è netta, evidente, palesemente innanzi agli occhi di tutti. Da una parte, c'è chi vorrebbe risolvere tutto tramite il dogma dell'intervento pubblico, che qui da noi, oltre a impiegare secoli nel portare a termine un tratto di autostrada di pochi chilometri, diviene regolarmente il regno delle tangenti, delle spese gonfiate e delle ruberie di ogni genere e tipo; dall'altra, c'è chi si è improvvisamente convertito al mercato e alla mano libera in favore degli imprenditori, anche a costo di andare a finire tutti quanti nel burrone dei fallimenti, delle bancarotte fraudolente e delle fughe a Santo Domingo con la 'cassa'. Gli italiani sono talmente fatti male che finiscono col contagiarsi tra loro soprattutto i difetti. Anzi, si riconoscono e si comprendono proprio in base a questi. Un tempo, la sinistra italiana rappresentava veramente la parte sana della società che trattava con l'altra parte quasi da nazione a nazione, come uno Stato all'interno dello Stato. Era una sinistra che possedeva un disegno, un progetto alternativo di società e che appariva rispettabile esattamente per questo motivo. Ma tale 'schematismo' è ormai crollato inesorabilmente. E solo oggi ci si rende conto di come non sia affatto semplice riuscire a far comprendere un modo sano di fare azienda, coniugato con degli obiettivi razionali, al contempo laici e 'socialisti', in grado di portarci tutti verso una società più equa e più giusta. Le 'doppiezze' di ieri hanno generato quelle di oggi. Perché nella doppiezza c'è sempre una via d'uscita, un pretesto, una giustificazione a tutto, anche agli errori e alle manchevolezze più evidenti. Ma doppiezza significa soprattutto la contraddizione di una forza politica che si muove sul palcoscenico della Storia come un 'Giano bifronte', non la mera imperfezione derivante dalla nostra natura umana. C'è troppa indulgenza verso se stessi, su questo punto. Non ci sono solo errori veniali e malattie infantili nella Storia della sinistra italiana, ma una lunga serie di abitudini mentali e di doppie verità, che le impediscono di comprendere chi era un tempo, chi è oggi e, persino, quel che potrebbe diventare un domani. "Il futuro è solo l'inizio" recita lo slogan 'renziano' della 'Leopolda'. Ma l'inizio di cosa, di grazia? Oltre al consueto ricorso al dogma assolutista, a una concezione di eternità che discende da un'evidente ingenuità giovanile, questa parola d'ordine non tradisce solamente l'inconsapevolezza di chi non sa che gli anni 'volano', che nella vita, nel giro di un batter di ciglia, ci si ritrova improvvisamente invecchiati e immersi in una società che non è cambiata praticamente in nulla (anzi, che è addirittura peggiorata...): il nuovo 'motto renziano' accerta, definitivamente, una visione da 'fortunati', da privilegiati, da 'figli di papà' pronti a dilapidare l'intero patrimonio di famiglia per la presunzione di avere il mondo in tasca. Un'idea, anche questa, che con la sinistra e la sua Storia non c'entra proprio nulla. Ricostruire la sinistra e il suo orizzonte culturale non è un lavoro per artigiani appassionati, ma per autentici professionisti, meritevoli e capaci. Ed è esattamente su questa 'soglia' che i veri riformisti, liberali, laici e socialisti, vi stanno aspettando.