
La recente sentenza del Tribunale dei minori di Roma che ha concesso a due donne, sposatesi all’estero, la potestà genitoriale su una bambina di 5 anni è una normalissima interpretazione ‘estensiva’ di un diritto individuale. Il vero problema politico della questione, infatti, non è quello di aver inventato un principio di ‘maternità sociale’ concesso a una coppia di persone dello stesso sesso, quanto quello della mancanza di una legge che dovrebbe regolamentare, anche in Italia, la materia delle unioni civili e delle coppie ‘di fatto’. Tutto il fronte cosiddetto ‘moderato’ continua a considerare il codice civile del 1942 la vera fonte giuridica di riferimento in merito al ‘negozio giuridico’ del matrimonio. Ma le cose non stanno affatto così: una legge ordinaria non può imporre alla Costituzione del 1948 - fonte superprimaria del nostro ordinamento - o alla stessa Corte costituzionale, casomai qualcuno volesse chiamarla in causa, l’interpretazione più corretta di una materia legislativa qualsiasi. E il fatto che la Costituzione italiana parli genericamente di ‘coniugi’ senza fare alcuna distinzione di genere è l’elemento che, sin dalla sua entrata in vigore, ha ‘novato’ la giurisprudenza in materia. Non è solamente una questione cronologica, ma di gerarchia delle fonti, di Costituzione ‘materiale’, di diritti individuali derivanti dalla prassi, dall’evoluzione concreta del costume e della vita quotidiana dei cittadini. Tutti temi previsti dalla nostra Carta costituzionale sin dal lontano 1948. Inoltre, se si accusa la magistratura italiana di ‘ideologismo’ bisognerebbe quanto meno precisare a quale ideologia precisa essa farebbe riferimento: quale sarà mai questa dottrina ‘terribile’, che ci sta portando tutti quanti, dritti di filato, verso una società più aperta e inclusiva, più avanzata e tollerante? Perché tale ideologia esiste. E dev’essere chiamata in causa, per nome e cognome.