Avvertenza preliminare: discutere il documento che segue non è un esercizio rituale. E' la via pratica per dare alla formazione politica della cultura liberale una base alternativa rispetto all'organizzazione dei partiti tradizionali, le cellule, le parrocchie, l'aziendalismo, i riti padani. La sovranità del cittadino, su cui si fonda il liberalismo politico, richiede un'organizzazione coerente nell'essere flessibile e limitata. Pertanto il documento indica come esclusivo oggetto sociale della nuova formazione le proposte politiche a base del progetto per la convivenza aperta in questo momento storico. Allargarsi a tematiche più ampie e quindi ad un complesso più rigido che venga prima della proposta politica, riproporrebbe le concezioni da superare: dietro le illusorie sicurezze delle ideologie e delle promesse, la sovranità del cittadino ne verrebbe soffocata. Quindi, riconoscersi conclusivamente nel documento, significa impegnarsi sui suoi obiettivi civili per il prossimo anno e mezzo. Non per un partito ma per una rete di progetto liberale, nuova, dinamica, giovanile.
1. La necessità dei liberali - L'impegno politico essenziale di noi liberali è pensare alla libertà di ogni cittadino nella convivenza reale, di oggi e di domani. Per questo ci impegniamo sui fatti reali e quotidiani, contrastando le teorie e le utopie che imprigionano i cittadini in modelli ideologici fuori del tempo. Compreso quelle che si affidano alla privata beneficenza finanziaria, privilegiandone i meccanismi, piuttosto che migliorare nel mondo le condizioni istituzionali di vita. La nostra convinzione profonda ci impone di agire per obiettivi funzionali alla prospettiva della libertà e al come raggiungerli. Sono fondati sullo spirito critico e sulla tolleranza dell'esser diversi ed affrontano i problemi della libera convivenza nel dato momento storico e geografico. Hanno come riferimento politco la trasdizione culturale di Croce, di Einaudi e di Dahrendorf. Le proposte liberali non si definiscono mai in negativo contro qualcosa e contro qualcuno. Tanto più quando il qualcosa e il qualcuno sono fenomeni ideologici del passato, sperimentalmente falliti nella storia, non credibili dal punto di vista della convivenza, che non costituiscono alcuna concreta minaccia attuale (quali il totalitarismo comunista o la reazione fascista). Di fatto, definirsi in negativo porta – si è potuto constatare ancora una volta negli ultimi anni – a ridurre la politica alla sola conquista del potere e quindi alla incapacità di fare le riforme liberali in quel momento utili. Nel momento in cui i liberali si propongono in positivo e tengono comportamenti politici coerenti, sono consapevoli che i vecchi nemici non ci sono più, ma insieme sanno che non per questo sono spariti oggi gli avversari politici della positività liberale, di cui magari si dicono promotori ma che negano con i comportamenti. A trafficare sempre ci sono i sostenitori di comunità sovrastanti i singoli individui oppure quelli che puntano ad accordarsi con gli egoismi particolaristici, dediti ai privilegi del proprio gruppo e disinteressati al ragionare sulla libera convivenza sovrana che subordinano all'economia. Questi traffici formano incrostazioni spesse. E politicamente, con le loro proposte, i liberali lavorano di continuo proprio a dissolvere tali incrostazioni nella convivenza e nella libera circolazione delle relazioni culturali, economiche ed interpersonali. In particolare, i liberali sono attenti a contrastare con forza l'incombere di una propensione antica, che rischia di minare nel profondo la libera convivenza: la propensione ad utilizzare le religioni a fini politici. Sono i fondamentalismi, che sfruttando l'autorità, da molti attribuita alle rispettive fedi religiose, attentano alla libera sovranità dei cittadini e alla loro tolleranza. Un simile impegno politico i liberali non possono delegarlo a chi di liberale non ha spirito critico, rispetto della diversità, progetti, comportamenti. Sia perché l'idea di delegare riflette un complesso di inferiorità, ingiustificato per le comprovate capacità liberali di capire il mondo. Sia perché l'impegno politico liberale deve essere visibile ai cittadini per rapportarsi al fine della libertà e non può esserlo se c'è eccesso di squilibrio partecipativo tra i liberali in ordine sparso e i non liberali in gruppi assai più compatti. Sia perché adottare politiche liberali e in quale misura, non deve essere una concessione discrezionale di chi gestisce il potere bensì l'impegno di una scelta di governo scaturita da battaglie civili ed elettorali. Per tutti questi motivi – ancora più pressanti nelle zone meridionali ove è assai debole lo Stato di Diritto – è essenziale la presenza della voce politica liberale che manca in Italia, a differenza dei maggiori paesi europei. Il dar voce politica ai liberali è la condizione necessaria per avviare la politica riformatrice imperniata sulla centralità del cittadino di cui il paese ha bisogno. In Italia, dar voce politica ai liberali significa riunire chiunque sostenga nella società di oggi le fondamentali caratteristiche politiche liberali, la loro mentalità e i loro progetti: compreso chi non rinnega passate suggestioni per storie laiche diverse da quelle del complessivo agire liberale.
2. La lista liberale - Prendere atto della necessità di dar voce politica ai liberali, implica non limitarsi a testimoniarla: fare così sarebbe contraddittorio con l'essenza stessa del liberalismo, che è un rapporto stretto con la realtà della convivenza per renderla più aperta. Quindi occorre attivarsi per dare alla voce liberale corpo effettivo d'azione politica. Ciò comporta elaborare, e contestualmente far conoscere, la diagnosi liberale sulla situazione esistente nel paese in ambito civile, economico e sociale. Il prodotto liberale su cui attivare la partecipazione è l?indicare le cose da riformare con l?obiettivo del dissolvere le incrostazioni sulla libertà del cittadino. E siccome le azioni politiche liberali sono indissolubilmente legate al parlamentarismo per profonde ragioni di funzionamento istituzionale nel dar regole al convivere, è indispensabile puntare a sottoporre le idee e le proposte liberali in quanto tali alla valutazione dei cittadini elettori (rifiiutando scorciatoie personalistiche elusive di un simile passaggio). Pertanto, noi liberali ci impegniamo fin d'ora a compiere ogni atto politico organizzativo utile a presentare una lista liberale alle prossime elezioni politiche del 2013 che faccia aperto riferimento ai principi dell'Internazionale liberale. A tal fine, collegheremo i cittadini in una rete di relazioni capillarmente diffusa sul territorio nazionale, che permetta, al momento opportuno, di procedere alla raccolta delle firme di presentazione di tale lista secondo gli strumenti tecnici previsti dalle leggi vigenti. Valuteremo se sarà funzionale alto scopo arrivare ad una Costituente liberale.
3. Alleanze e coalizioni - Rispetto al Paese, impegnarsi per dar voce politica ai liberali è una condizione necessaria che, per divenire sufficiente, non deve restare all'integralismo della pura solitudine oppure ai buoni rapporti con il governo. Se vi restasse, ci vorrebbe la maggioranza assoluta della lista liberale perché il paese adottasse la politica liberale, e ciò, data la tradizione italiana, violerebbe frontalmente il principio di realtà. Invece, per il loro modo d'essere, i liberali non devono mai prescindere dalla realtà e per contro mai smettere di impegnarsi a modificare le condizioni della convivenza perché sia più aperta. Perciò i liberali, insieme al rendere esplicita di comune accordo la loro diagnosi e le loro proposte di terapia, danno grande considerazione alle posizioni politico programmatiche e ai comportamenti delle altre forze presenti nella convivenza, a partire da quelle politiche. Per evidenti motivi di coerenza politica, tale considerazione non può rinunciare mai allo spirito critico nel valutare i diversi aspetti dei fatti. Il che si traduce in quattro conseguenze essenziali. Non permette confusioni politiche concettuali od operative tra chi è liberale e chi non lo è. Non consente di stringere con altri gruppi politici alleanze che valgano al di fuori degli argomenti e oltre i tempi per i quali i liberali le abbiano strette. Non consente di stringere con altri gruppi politici coalizioni che non comprendano la ragionevole accettazione programmatica significativa di parte delle scelte sostenute dai liberali. Obbliga a denunciare, senza atti di comodo, un'alleanza o una coalizione che operino non dando attuazione precisa e concreta ai loro patti costitutivi e in particolare alle scelte liberali in essi assunte. Non rispettare una o più di tali quattro conseguenze, significa non comportarsi da liberali. E siccome, per un liberale, nessun caso può giustificare l'abbandono del criterio della libertà del cittadino alla base delle quattro conseguenze, non ha valore la scusa di trovarsi in condizioni civili eccezionali. Pertanto, i promotori e i componenti della lista liberale rifuggiranno ogni comportamento integralista e si manterranno rigorosi nel praticare forme di alleanze o di coalizioni conseguenti con le diagnosi e con le terapie formulate dalla stessa lista per dar voce politica ai liberali sui problemi del paese (in specie nelle zone che più ne hanno bisogno, quelle del Mezzogiorno ove sussiste una carenza storica di sovranità civile del cittadino rispetto ai poteri clientelari ed illegali). Questa è la moralità liberale. Un simile atteggiamento è un impegno dei liberali qualunque sia il tipo di sistema elettorale, a carattere maggioritario oppure proporzionalistico con soglia di sbarramento. La scelta di far fare o di non far fare alla lista liberale alleanze o coalizioni sarà compiuta attenendosi ai criteri precedenti, così da mantenere costante la bussola del dar voce politica ai liberali nell'adattarsi alle specifiche condizioni operative.
4. Un progetto alternativo per governare - Il cuore della diagnosi attuale dei liberali è che i cittadini italiani risultano soffocati dalle faide di potere della politica, le quali incancreniscono i problemi reali della convivenza senza governarli. Ciò è il risultato della scomparsa del dibattito politico, cosicché oggi non ci sono progetti politici. Né del partito parlamentare più numeroso, né dei partiti della minoranza del 2008, né del governo in carica, che prosegue il risanamento senza il contestuale rivedere la struttura del debito pubblico accumulato, dovuto in primo luogo ad una spesa pubblica eccessiva e a un'Amministrazione ridondante e inefficiente. In un quadro di sviluppo Non a caso i liberali hanno denunciato per anni il masochismo dell'opposizione priva di una visione alternativa al centro destra. Affidandosi al sindacato degli increduli per essere stati estromessi dal potere, praticando il No pregiudiziale, non si è occupata di costruire un progetto alternativo di idee e di proposte per il dopo Berlusconi. Questo atteggiamento avulso dai mali italiani, ha contribuito all?assenza di prospettive politiche che ha portato al governo dei tecnici. I liberali, conseguenti con la propria impostazione, avanzano un quadro di progetto alternativo per governare il paese, che pensi al futuro dei cittadini al di là dei temi, pur importanti, già ora dibattuti in parlamento. E' il modo concreto di affrontare la questione giovanile, si radica nella cultura della libertà, è concepito per dissolvere le principali incrostazioni che ostacolano oggi le relazioni tra i cittadini ed è articolato in sette aspetti, tra loro connessi, che danno compattezza alle azioni da compiere in Europa e in Italia.
4a. Un embrione di tassazione europea - Nella logica passo a passo del grande liberale Gaetano Martino, l'UE non è partita da identità metaforiche, quali lingua, religione, etnia, bensì da quella concretissima degli individui che interagiscono sovrani, la moneta comune. Questa sua spinta iniziale si è esaurita e la grave crisi attuale ne è una riprova. La moneta europea va utilizzata nel quadro di una gestione dell?economia europea e non più solo nazionale. Occorre una disciplina democratica che sia anche disciplina dei bilanci. Occorre un embrione di tassazione europea, iniziando a trasferire una piccola parte delle entrate fiscali a un governo europeo che sia qualcosa di più dell?attuale Commissione tra Stati e che cominci ad assumere compiti propri sostitutivi ad esso delegati. Il che servirà anche a far crescere l?Europa dei cittadini al posto delle burocrazie eurocentriche dalla mentalità statalista, incapaci di prevedere i pericoli per i mercati insiti nel legarsi ad agenzie di valutazione in conflitto di interessi e nel non diversificare la disciplina dei grandi e dei piccoli istituti di credito. Occorrono diversi livelli di finanza pubblica. Il federalismo miope del fai da te, come se l'Europa non esistesse, non regge alla prova dei fatti. Governare, deve convincere il maggior numero di cittadini, ma anche i mercati, che sono una parte di cittadini molto influente. Per coerenza e per lungimiranza, la Ue deve abolire i dazi sull?importazione dei prodotti alimentari dei paesi poveri, purché prodotti non ottenuti mediante sfruttamento illecito di manodopera, specie se minorile.
4b. La separazione Stato-religioni - In Italia, un aspetto essenziale della convivenza – le regole per compiere le scelte – viola il complesso meccanismo del far interagire le libertà dei diversi cittadini rispettandole. Ancor prima che sulle leggi elettorali, lo viola quando, attraverso la struttura concordataria, vengono posti sullo stesso piano il principio di libertà e quello di autorità, innescando un rattrappimento della sovranità civile in vari campi della convivenza. La sola strada coerente per la libera diversità dei cittadini è il separatismo tra Stato e religioni, che si concreta nell?obiettivo della laicità istituzionale. Realizza la piena libertà del cittadino di avere o no una religione e di praticarla nel privato e nel pubblico anche in forme di fede organizzate, ed al contempo evita ogni commistione tra la sovrana libertà del cittadino e qualsiasi autorità comunque ad essa sovraordinata. I liberali intendono impegnarsi, con determinazione pacata e insieme forte, per introdurre il separatismo. Consapevoli di due dati. Uno è che il diritto civile ad una scelta personale atea o anticlericale non implica né può tradursi nella pratica politica di attribuire ogni colpa alla Chiesa contraddicendo così il principio della libertà di religione. L?altro è che gli avversari reali del separatismo sono i sostenitori delle tesi confessionali, vale a dire quella parte di cittadini credenti (in Italia a prevalenza cattolica) che, utilizzando in modo improprio il magistero della loro Chiesa, vorrebbero fare della fede la fonte legislativa, in realtà con il fine di riservarsi il ruolo di mediatori tra istituzioni civili e comunità religiosa. Vanno combattuti di continuo con decisione. La separazione Stato e religioni consentirà oltretutto di affrontare con la giusta coerenza anche le pressanti problematiche inerenti la condizione della nostra società dell'esser crescentemente multireligiosa.
4c. Modifiche elettorali e nei cambi di governo - Sempre le regole per scegliere nella convivenza, vengono poi violate dalla legge elettorale politica nazionale. Innanzitutto non consente al cittadino (sulla scorta del dissennato accordo toscano del 2004 tra Ds e il centrodestra) di scegliere il proprio candidato all'interno della lista votata, il che riserva un potere debordante al leader che compila la lista e riduce di molto la libertà di mandato per gli eletti prevista in Costituzione. Inoltre, la legge elettorale attribuisce alla coalizione più votata un premio di maggioranza che, essendo attribuito senza quorum, può risultare eccessivo rispetto ai voti riportati. I liberali propongono di restituire ai cittadini la possibilità di scelta del proprio rappresentante (all'interno della lista votata qualora si mantenga il sistema attuale) e di limtare la eliggibilità a non più di 3 legislature. Propongono di adottare sistemi elettorali che circoscrivano il premio di maggioranza, senza, nel farlo, confondere la necessità (ineludibile) di evitare premi di maggioranza eccessivi con il togliere l'indicazione in fase preelettorale delle coalizioni di governo (che sarebbe un grave errore e che non c'entra con l'incostituzionale norma del candidato presidente del Consiglio sulla scheda). I liberali propongono di introdurre un diritto di tribuna e di impegnarsi per abbassare i costi e ad aumentare la funzionalità della politica. Sia in caso di sistema proporzionale con sbarramento, sia in caso di ritorno ai collegi uninominali (limitandosi al numero previsto nella quota maggioritaria). Un indirizzo da approfondire sarebbe eliminare il bicameralismo perfetto. Sempre al fine di assicurare l'interagire delle libertà dei diversi cittadini rispettandole, occorre evitare distorsioni nel rapporto tra parlamento e formazione di un Governo. Pertanto, i liberali propongono di definire una procedura di sfiducia costruttiva che dia la possibilità, nel corso della legislatura, di scegliere un nuovo Governo al posto di quello nominato all'indomani del risultato elettorale, rinnovato in tutto o in parte. La procedura di sfiducia costruttiva consisterà in un documento preventivo sottoscritto dalla maggioranza dei membri sia del Senato che della Camera, in cui venga dichiarata la sfiducia nei confronti dell'esecutivo in carica e contestualmente espressa la fiducia in un nuovo Presidente del Consiglio (di cui dovrà essere certificata l'accettazione) nonché le principali linee programmatiche. Il documento sarà presentato al presidente della Repubblica che, prendendone atto, dichiarerà decaduto il Governo e affiderà l'incarico al nuovo presidente del Consiglio, il quale sottoporrà al presidente della Repubblica per la dovuta controfirma i nomi dei ministri, cui seguiranno le altre abituali procedure presidenziali e parlamentari per la definitiva e completa entrata in carica del nuovo Governo. Inoltre, i liberali auspicano forme di controllo concrete e continue del cittadino sui propri rappresentanti.
4d. Libertà nell'intraprendere e nel lavorare - L'interazione tra le libertà dei diversi cittadini è costretta ad affrontare difficoltà non lievi – a parte le questioni non ancora risolte circa la piena libertà nella scelta di dove curarsi – anche in essenziali attività di vita quotidiana, come l'intraprendere in proprio e il lavorare subordinato. Liberalizzando l'uno e l'altro, si attivano le politiche in grado di affrontare il continuo cambiamento di relazioni indotto dallo scambio globale. Esse costituiscono la sola garanzia concreta che si formino le risorse e che i cittadini, specie i più disagiati, ricavino il loro sostentamento dal rispettivo lavoro. La libertà di intraprendere in proprio deve divenire sempre più effettiva, facilitandone l'avvio sotto il profilo burocratico e finanziario, rilanciando ovunque la concorrenza, favorendo lo sviluppo senza privilegi di settore, agevolando il funzionamento dei liberi mercati, alleggerendo la aliquote fiscali societarie, combattendo il crearsi di posizioni dominanti (anche nei settori Onlus), rifuggendo gli interventi di Stato, imponendo alla Pubblica Amministrazione di pagare a breve i propri fornitori. In generale, i liberali sostengono norme adatte, di tempo in tempo, a consentire il conflitto collaborativo tra l'impresa e i suoi dipendenti, che è l'anima dei rapporti industriali e una precondizione dell'investire. In particolare, occorre una urgente trasformazione della tipologia contrattuale del lavoro, per passare dagli obsoleti sistemi di tipo protettivo, tra l'altro onerosi per la collettività, a un sistema in cui la maggior flessibilità contrattuale del lavoro fornisca risorse alla tutela sociale del lavoratore licenziato, ad un livello assistenziale prefissato e senza oneri per la collettività. Occorre innescare un processo virtuoso (sospinto dalla efficacia economica del provvedimento) per arrivare ad una gestione dei rapporti di lavoro tra imprese e le associazioni sindacali (non per forza tutte), in cui il filtro siano solo le valutazioni economiche. Dunque, una gestione che non affidi al giudice i casi di licenziamento per ragioni economiche non discriminatorie e che garantisca a chi ha perso il lavoro e attende il ricollocamento, uno stipendio inizialmente quasi integrale e poi progressivamente decrescente per una durata di 3 anni. Così, la maggior libertà di licenziamento riconosciuta all'impresa sarebbe bilanciata dall'onere ad essa attribuito di pagare la indennità di disoccupazione relativa. Inoltre, i liberali pensano ad ammortizzatori sociali più robusti, più diffusi, più strettamente connessi ai corsi di riqualificazione professionale e all'esser disponibili a nuove offerte di lavoro, comunque tali da non avere diverso impatto a seconda delle categorie di cittadini lavoratori interessate. A completamento dell'impegno per la libertà nell'intraprendere e nel lavorare, i liberali propugnano rapporti più aperti tra impresa e lavoro, così da abbandonare la vecchia contrapposizione predicata dal marxismo e i pregiudizi anticapitalistici del comunitarismo fideistico. Pertanto, da un lato, intendono sviluppare la consapevolezza che nei contratti non possono essere automaticamente adottati i criteri del voto di tipo rappresentativo. Questo perché i contratti non sono questioni di convivenza bensì rapporti economici tra imprenditori e svariati lavoratori (e quindi non possono scomparire né il diritto di scelta occupazionale del singolo lavoratore né il diritto di valutazione degli imprenditori sull'utilizzo degli impianti) e perché non devono valere diritti di veto (e dunque le rappresentanze sindacali aziendali vanno costituite nell'ambito dei sindacali firmatari di contratti collettivi di lavoro applicati in quella unità produttiva; così come dispone già l'art.19 dello Statuto dei Lavoratori, che troppi vorrebbero dimenticare). Dall'altra parte, per i liberali è importante che vengano sollecitate forme retributive fondate sulla partecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali invece che sul sistema salariale tradizionale. Le forme di partecipazione ai risultati aziendali, quando adottate su larga scala, spingono ad un riequilibrio occupazionale assai più marcato e soprattutto più sollecito di quanto avvenga con le retribuzioni salariali. Il complesso di simili politiche indurrebbe un cambiamento di mentalità rivoluzionario nelle relazioni industriali e nel modo di concepire i sindacati dei lavoratori, attivando la mobilità sociale e stimolando l'utilizzo delle energie umane potenziali. Naturalmente, questo sforzo per rimuovere gli ostacoli alla libertà di intraprendere e di lavorare prevede anche un'organizzazione dello Stato più efficiente e più snella. Ciò significa lo smantellamento delle strutture pubbliche ridondanti che fanno lievitare i costi e complicano le procedure amministrative. In tale direzione, i liberali ritengono che il passo più rilevante sia la preannunziata abolizione delle province (un'interposizione strutturale anacronistica tra le autonomie comunali e il governo regionale) e poi consorziare, non escludendo l'accorpare, i numerosi piccoli comuni (che sono un malinteso omaggio al passato). Farlo sarebbe un taglio virtuoso, sia rispetto al ridurre l'impiego fuori posto di politici sia rispetto al ridurre burocrazie prive di funzioni oggi giustificabili. Un risultato analogo si può d?altro canto ottenere con il diffondere le aree metropolitane. Simili politiche sarebbero un modo di ridurre davvero la spesa pubblica, uscendo dalla logica degli uniformi tagli proporzionali che non sono atti per governare bensì mero contenimento contabile delle difficoltà economiche. Il criterio meritocratico in rapporto alla piena funzionalità deve applicarsi anche nella Pubblica Amministrazione, dissolvendo le incrostazioni burocratiche e impedendone il riformarsi. Nonostante le politiche già attuate, restano ancora ampi margini per la riqualificazione della spesa pubblica al netto degli investimenti e degli interessi (potenziando ulteriormente l'uso dell'informatica e dell'open source al posto dei sistemi proprietari). In particolare, l'attuazione delle norme federaliste, più che lo slittamento delle competenze verso la periferia, dovrebbe essere un'occasione per riorganizzare i servizi di parte pubblica così da ridurne il costo senza diminuirne numero e qualità e da farli svolgere di continuo gli ordinari controlli di istituto, essenziali contro l'evasione. Ed anche per accrescere l'efficacia delle funzioni in campo tributario, introducendo il quotidiano contrasto di interessi tra fornitore e fruitore attraverso la detraibilità fiscale per tutti i servizi alla persona comunque effettuati e, inoltre, per favorire l'emergere dal mercato nero e il calo delle locazioni con una aliquota fissa sugli affitti escludendoli dal calcolo Irpef. I liberali ritengono che assicurare maggior libertà di intraprendere e di lavorare sia sì una questione di principio ma ancor più costituisca il modo ineludibile per affrontare la competitività comparativa accresciutasi con la globalizzazione. Il dato di fatto è che in Italia deve ormai essere considerata strutturale la diminuzione degli occupati nei settori industriali tradizionali. Sempre più sarà necessario impegnarsi nei settori industriali avanzati, in quelli comunque innovativi, in quelli correlati alle produzioni artigianali, in quelli dei servizi alla persona comprendenti la capacità di sfruttare le vestigia storico artistiche e paesaggistiche del Paese. Per riuscirvi si dovrà puntare sull'attitudine a cogliere i cambiamenti di mercato e le opportunità, che naturalmente derivano dalla libera inventiva di intraprendere e di lavorare. Come, ad esempio, nel campo delle nuove conoscenze, in quello produttivo e commerciale, in quello dei collegamenti marittimi dei porti meridionali con l'estremo oriente, in quello della valorizzazione dell'assai vasto patrimonio immobiliare inutilizzato nel territorio, in quello delle forme associative di cittadini per creare un sistema di tutela multipolare non esclusivo degli Enti Pubblici. Allo stesso fine di competitività comparativa, occorre una revisione approfondita della giustizia civile, così da tagliare il groviglio di norme e di interpretazioni fini a sé stesse e da realizzare l'unico obiettivo confacente alla giustizia: dirimere con celerità i contrasti che sorgono nella vita quotidiana ( riservando alla mediazione professionale tutto l'accertamento dei fatti e al magistrato le questioni di diritto, importanti ma rapidamente risolubili). E ciò in aggiunta alle dibattute concezioni di giustizia penale, rispetto alle quali i liberali ribadiscono come coloro che vincono le elezioni non possano essere sopra la legge e come quelli cui l'ordinamento attribuisce il compito di applicare la legge non possano essere un potere alternativo di tipo politico, per di più dedito alla politica sganciata dal controllo elettorale. In generale, la competitività del sistema esige che il paese si doti prima possibile di infrastrutture adeguate, tanto più nelle aree arretrate. E siccome non ci sono abbastanza risorse pubbliche, lo Stato deve seguire più strade per renderle disponibili. Le principali sono la concessione a privati di beni pubblici per un tempo tale da far essere appetibili investimenti infrastrutturali su di essi, l'utilizzo di fondi europei finanziati tramite titoli di debito europeo con lo scopo di sostenere gli investimenti da fare, il realizzare infrastrutture mediante progetti pagati da privati in cambio dell'uso dell'opera.
4e. Libertà nell'educare, nella scuola, nella ricerca - Sul medesimo binario della libertà e dello spirito critico, va incanalato anche l'impegno pubblico nella educazione e nella formazione, dei giovani ma non solo. Sarebbe contraddittorio mantenere una istituzione scolastica modellata sul trasmettere da una generazione all'altra una logica al fondo immodificabile, un modello rigido di conoscenza definitiva e prefissata che si conclude in parametri prestabiliti del livello di maturità raggiunto certificati dall'autorità scolastica. Quasi l'istruzione pretendesse di ingabbiare la vita invece di essere uno strumento per affrontare le mutevoli vicende della vita. Dunque, in una scuola coerente con l'effettivo manifestarsi della identità critica e comportamentale di ognuno negli anni, la definizione di passaggi interni al percorso scolastico ed universitario non deve trasformarsi nell'efficacia giuridica del titolo di studio universitario che deve essere abolita. Di per sé distorce la funzione educativa, che attiene alla preparazione specifica e non si riduce a garanzia burocratica di affidabilità. Che si trasforma in illusoria garanzia di collocamento professionale a prescindere dalla concreta capacità di fare di ognuno, sottraendolo al giudizio nel tempo degli altri conviventi. Un'abolizione che non ha niente a che fare con i provvedimenti operativi che rendano meno ostico per i giovani e i giovanissimi l'inserimento nel mondo del lavoro e il formarsi una famiglia affettiva. Sempre in nome della libertà e dello spirito critico, deve essere rilanciata la diversità costituzionale di ruolo tra scuola pubblica e scuola privata. La scuola pubblica, aperta a tutti i residenti e insediata su tutto il territorio, ha il ruolo di essere il decisivo luogo di mescolanza di classi sociali, di culture e di etnie, mantenendo rigorosi livelli di insegnamento, per meglio corrispondere al crescente bisogno di spirito critico di conoscenza e di diversità; la scuola privata, aperta a chi la sceglie, deve realizzare la libertà di insegnamento voluta dai cittadini suoi organizzatori, nelle culture, nei programmi e nei metodi didattici. Di conseguenza, la scuola pubblica dovrà essere in grado di avere infrastrutture di continuo adeguate, aggiornare il corpo docente, svolgere un insegnamento sempre improntato al senso critico, quindi, anche nel sistema concordatario, l'ora di religione dovrà essere inserita nel più generale ambito di storia delle religioni ed insegnata da docenti scelti dallo Stato; la scuola privata corrisponderà agli indirizzi dei suoi promotori e dirigenti, alla capacità dei suoi docenti, ai desideri dei frequentanti, avendo come unico ammissibile banco di prova la qualità effettiva dell'istruzione impartita agli scolari, seppure con il taglio culturale prescelto, risultante alla prova dei fatti nella vita postscolastica. Le scuole parificate saranno gestite dai privati nel pieno rispetto dei criteri di reclutamento degli insegnanti e di programmi didattici stabiliti per la scuola pubblica; esse, in quanto parificate, rientrano nella libertà costituzionale di impresa nel settore educativo e non in quella di una inesistente libertà di insegnamento privato a carico della collettività: per cui alle scuole parificate non è applicabile l'esenzione IMU, oltretutto aggiuntiva rispetto ad altri benefici fiscali. Un ulteriore aspetto del corrispondere alle esigenze della libertà e dello spirito critico è il marcare lo specifico ruolo dell'università e la decisiva importanza della ricerca. L'Università deve essere un istituto di prestigio fondato sull'approfondimento del filone scelto e finalizzato a prepararsi alla ricerca. Salvo particolari situazioni didattiche, tutti hanno il diritto di accedervi purché ne abbiano il merito. E siccome l'accesso all'Università non deve dipendere dalle condizioni socioeconomiche, occorrono consistenti borse di studio pubbliche per i meritevoli, abbandonando il sistema delle basse tasse di iscrizione che ha effetti esattamente contrari. Nella stessa ottica, il merito dovrà presiedere all'assunzione dei docenti da parte degli Atenei (e non i concorsi) e poi la qualità ed i risultati dell'attività di ricerca dovranno essere alla base dei loro stipendi. Quanto alla ricerca, essa deve costituire una priorità pubblica, non soltanto destinando ad essa fondi statali per almeno l?uno e mezzo per cento del PIL ma soprattutto creando condizioni normative davvero concrete perché si moltiplichino gli investimenti privati, oggi comparativamente molto bassi, anche per la forte prevalenza delle piccole imprese nel tessuto industriale (quando occorre agevolare non solo l'apertura di nuove imprese ma anche la loro aggregazione dimensionale). Dunque sgravi fiscali per aziende che finanziano progetti di ricerca universitaria e per chi investe nelle biotecnologie; nonché un sostegno pubblico adeguato a progetti di ricerca scientifica e tecnologica selezionati in base ad autorevoli criteri di valutazione.
4f. La libertà nei sistemi di comunicazione - Ai fini della libertà del cittadino e del suo spirito critico, è essenziale che il sistema di informazione complessivo non lavori in controtendenza. Cosa che invece fa non diffondendo la cultura critica e l'attitudine a riflettere sulle cose che costituiscono gli strumenti irrinunciabili per cogliere lo scorrere del tempo della vita reale. Il sistema di comunicazione via etere non deve essere squilibrato da una o più posizioni dominanti (sia sotto il profilo degli ascolti che della raccolta pubblicitaria) le quali rischiano di trasformare l'informazione in quella pura propaganda che è l'opposto dell'informazione conoscitiva alla base della formazione critica. Questo è l'obiettivo che i liberali intendono dare alle leggi in materia. Lo Stato per primo non può sottrarsi ad una simile impostazione e quindi, con urgenza, dovrà essere rivista la struttura delle attuali tre reti pubbliche radiotelevisive. Dovrà essere ridotto ad una sola rete tv ed una sola rete radiofonica l'esercizio del servizio pubblico gestito da una società a totale capitale pubblico, completamente finanziata dallo Stato e senza raccolta pubblicitaria. Le restanti due reti RAI potranno esistere se affidate a una o più società con maggioranza sempre contendibile sul mercato azionario, che potrà raccogliere pubblicità nel rispetto di tutte le vigenti leggi del settore commerciale. La legge dovrà mantenere regole efficaci per garantire che non sussistano né si possano determinare negli ambiti televisivi e radiofonici situazioni dominanti nel mercato pubblicitario, eccezion fatta per eventuali limitati periodi di avvio all'introduzione di nuove tecnologie. In ogni caso, si dovrà abolire l'illiberale e inefficiente tributo per la proprietà dell'apparecchio tv sostituendolo con un canone Rai ridotto alla metà e riscosso mediante tessere elettroniche di libero accesso al servizio. In connessione con le problematiche sulle condizioni di libertà nelle scelte politico elettorale esposte nei punti precedenti, la rete del servizio pubblico in tv e in radio deve sempre seguire in qualunque trasmissione il criterio della 'par conditio' tra tutti i gruppi politici parlamentari e, per le altre realtà politiche, garantire sempre spazi e tempi all'effettuazione dei programmi dell'accesso. La 'par conditio' deve continuare a essere applicata da tutte le reti commerciali nei diversi periodi elettorali. Nel settore dell'informazione contraddice ogni logica di libertà di espressione, legare la possibilità di esercitare la professione giornalistica all'appartenenza ad una corporazione. Distinguere tra libertà di espressione (garantita a tutti) e professione giornalistica, è un artificio insensato e pericoloso. I liberali perciò ritengono che l'Ordine dei giornalisti vada soppresso e che le funzioni deontologiche a esso oggi attribuite vadano svolte, quando non si tratta di comportamenti già sanzionati dalla legge, da organismi indipendenti non corporativi, composti da personalità esterne in grado di interpretare il diritto dei cittadini a essere informati correttamente. L'informazione è una condizione fondamentale per l'esercizio dei diritti di libertà, e perciò non deve mai essere influenzata dall'intervento dello Stato. Nel settore reti internet, che costituiscono un potentissimo strumento di interrelazione tra i cittadini, di diffusione delle conoscenze e di innnovazione economico culturale (purché se ne sviluppi sempre la capacità di rapporto critico con la realtà e non di mezzo per sfuggirla), permangono gravi fattori di disuguaglianza civile e di freno allo sviluppo. Il settanta per cento degli italiani non dispone di collegamenti internet con linee veloci di nuova generazione, l'alfabetizzazione informatica è troppo bassa soprattutto perché, in molti settori, le reti semplificano e rendono sostenibili gli equilibri ambientali. Dunque occorre favorire gli investimenti e stimolare la domanda. Allo stesso tempo occorre predisporre norme che evitino il distorcersi del servizio internet sotto almeno tre aspetti. Che non venga data la dovuta attenzione a garantire la sicurezza della rete (a tutela degli utenti e delle infrastrutture pubbliche e private), che i titolari del servizio ai vari livelli finiscano per poter esercitare forme di controllo tipo grande ragno (o violando la privacy sulle informazioni trasmesse o non fornendo servizi base adeguati) e che le modalità di funzionamento della rete favoriscano un uso privo della connessa responsabilità da parte dell'utente e anche da parte dei provider quando, dopo aver avuto richiesta di rettifica, non provvedano a farla effettuare. Inoltre, è necessaria una politica legislativa e culturale che non consenta il diffondersi su internet di pratiche contrarie ai principi costituzionali della libera convivenza tra cittadini diversi (quali interpretare le regole sulla privacy, di per sé indispensabili, in modo da estendere assurdamente al settore politico culturale l'opportuno divieto di invio di notizie commerciali non autorizzate, così da impedire il far conoscere ad un cittadino notizie di genere politico culturale, ancor prima che egli abbia fatto una esplicita richiesta di cancellazione; quali confondere il diritto all'avere identità di fantasia nel navigare, atto che esprime pubblicamente la volontà di riservatezza di cui i terzi devono tener conto, con il presunto diritto all'assoluto anonimato nei confronti di chiunque, istituzioni incluse, atto che manifesta un inaccettabile rifiuto della convivenza con gli altri). Infine, occorre rovesciare la politica informatica seguita nella Pubblica Amministrazione, la quale non è un utente privato che ha ogni diritto di scegliere il sistema informatico da lui preferito; la PA non assicura a tutta l'utenza privata i download dei moduli pubblici e, anche quando non esistono giustificazioni tecniche, utilizza sistemi proprietari delle grandi società invece che i sistemi aperti; così facendo ha causato la fuga all'estero del 90% degli informatici, si espone agli esosi costi di manutenzione delle società proprietarie (ricordiaamo gli insufficienti finanziamenti per coprire il sistema informatico giudiziario), ed ha finito per mettere in mani straniere le chiavi di ogni struttura operativa nazionale, anche di quelle più riservate (ricordiamo wikileak).
4g. Le cornici della libertà nel convivere - La libertà del cittadino e il manifestarsi del suo senso critico determinano anche le condizioni di contorno della convivenza, che riguardano il fare i conti con i vincoli interpersonali, con i vincoli ambientali, con i vincoli energetici e con i vincoli dell'indebitamento abnorme dello Stato. Ogni vincolo va inquadrato con il realismo che affronta i problemi per come sono e si evolvono, senza la pretesa di soluzioni secondo modelli assoluti fuori del tempo. Il costante obiettivo è rendere subito possibile una vita migliore per ciascuno, restando consapevole di quanto siano indispensabili gli equilibri complessivi nel tempo. Ci vogliono di continuo norme adatte per consentirli in ogni campo della convivenza ed anche meccanismi per controllare le conseguenze di quelle norme e insieme per valutare il complessivo stato delle cose. La cornice delle relazioni interpersonali è la massima libertà di scegliere la propria esistenza, scelte sessuali ed affettive incluse, con il limite di non recare danni fisici agli altri. Da qui una normativa aperta che dia regole anche per le coppie di fatto (senza misogonia od omofobia) di ogni genere nel solco dell'art.29 della Costituzione, stabilisca un uso individuale delle droghe leggere libero e accompagnato da responsabilità aggravata per i danni a terzi eventualmente conseguenti l'uso, ribadisca che usare sessualmente il proprio corpo a fini commerciali è consentito nel rispetto delle norme fiscali, sancisca il diritto di ciascuno di redigere una dichiarazione vincolante di fine vita rifiutando ogni intervento terapeutico non desiderato incluse idratazione ed alimentazione. Occorre garantire la cornice delle libertà personali verificando di continuo ciò che avviene all'interno dei luoghi di lavoro, Onlus incluse. Dopo la tendenza illiberale della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, rimane quella dell'affidare la determinazione della gestione operativa allo Stato, a sue specifiche caste e a corporazioni private da esso tutelate (perciò va attuato l?art.39 della Costituzione e rivisti gli ordini professionali). Così come il diritto alla proprietà privata non esclude casi di monopolio statale di beni o funzioni, altrettanto la gestione deve derivare dall'interagire delle libere azioni dei cittadini secondo le regole della convivenza e l'importanza di verificarne l'andamento. Occorre il fisiologico contrasto degli interessi dei privati ma senza escludere anche verifiche del pubblico. E' essenziale che lo Stato le svolga non soltanto sul rispetto delle norme ma anche sullo stato di cose creatosi. Purtroppo questi compiti sono adempiuti male e tardi. Le istituzioni dovrebbero agire in base a decisioni assunte solo dagli eletti, che ne sono responsabili, e attuate attraverso una burocrazia che deve funzionare per corrispondere al suo ruolo ineludibile. Le azioni tecnico burocratiche dovranno essere diversificate, attraverso agenzie che eroghino i servizi pubblici e uffici che, attuando gli indirizzi politici ricevuti, svolgano in autonomia la funzione di programma e quella di controllo, oggi inevasa. E insieme diminuendo in un quinquennio i dipendenti pubblici di un 10% con i meno onerosi prepensionamenti. Perciò, la terapia liberale evita proclami fuori della realtà e adotta, con l?evoluzione della tecnica, meccanismi per risolvere i problemi della convivenza, anche per l'accresciuta sensibilità sul tema. Innanzitutto il problema dell'ambiente e dell'inquinamento. Non si risolve con i divieti assoluti che la vita stessa aggira, bensì proponendosi dei limiti complessivi realistici – concepiti per tutelare la qualità della vita nel tempo e quindi salvaguardare le opere vitali create prima – e poi assegnarndo l'attribuzione della possibilità (onerosa) di inquinare entro quei limiti. Pronti a correggere gli squilibri distributivi che eventualmente si determinano e che sono un costo per la collettività, talvolta insostenibile. Qui sta il compito essenziale delle pubbliche strutture. Non un'incombenza burocratica ma una dinamica aderenza alla realtà. La controparte vera non sono i singoli inquinatori da codice penale oppure l'evento eccezionale imprevedibile, è l'andamento insoddisfacente dell'organizzazione della convivenza nel suo complesso. Se le ricadute a danno della salute sono eccessive o se l'evento eccezionale era prevedibile, la responsabilità è di un ufficio pubblico che non ha funzionato. Ciò si può constatare a proposito del territorio (quando non si riesce a far rispettare equilibrati parametri di salvaguardia ambientale), a proposito dell'aria e in particolare a proposito dell'acqua, problema più invisibile ma oggi più incombente. I quesiti referendari sull'acqua, a parte l'emotività, sono stati un imbroglio. Invece che il problema delle perdite negli acquedotti, I loro sostenitori hanno riproposto (con l'avallo dei mezzi di comunicazione) le antiche problematiche della proprietà delle acque. Hanno declamato l'ovvietà (la proprietà delle acque non può essere che pubblica), hanno falsificato la realtà (oltre il 90% dell'acqua era già distribuita da società pubbliche), hanno nascosto il vero problema (garantire l?economicità e la qualità del servizio) e, dietro i proclami demagogici (immutate le burocrazie preposte al controllo della gestione dell'acqua), hanno eluso la vera questione da affrontare in radice. Che, come già si constata, permane dopo i risultati referendari (i liberali sono fieri del NO di quasi un milione e trecentomila cittadini). Che è quella dei controlli da parte della Pubblica Amministrazione, soprattutto quella regionale e locale, onde evitare i disservizi con cui i concessionari effettuano il trasporto dell'acqua e la sua distribuzione, in assoluto e in rapporto ai costi per l'utenza. La cosa decisiva è far funzionare i controlli pubblici sul come vengono fatte e sul come vengono gestite le concessioni (eliminando i rapporti amicali nelle gestioni); e lo stesso criterio deve valere per le concessioni in ogni campo, in modo che esse siano di continuo funzionali a fornire il miglior servizio al cittadino. Analogo sistema va adottato in campo energetico ove i pregiudizi antinucleari non sono coerenti con il reale approvvigionamento del Paese, e sono decisivi i criteri di controllo e di equilibrio. Né deve esistere una contrapposizione alternativa del nucleare con l'approvvigionamento da fonti pulite e con l'impegno per un abbassamento strutturale del costo dell'energia attraverso un riequilibrio del fabbisogno energetico nazionale. A cominciare dalla tecnologia fotovoltaica per cui vi è un'ampia disponibilità di aree degradate (discariche esaurite, vecchie aree industriali, ricuperi di cave) e di copertura di edifici, facendo attenzione alla acclarata incompatibilità dell'uso industriale dei terreni adibiti a parco fotovoltaico con il contestuale esercizio dell'agricoltura. Nè si devono avere incertezze nel far adottare nelle nuove costruzioni sistemi di risparmio energetico attivo e passivo. Quanto ai vincoli dell'indebitamento pubblico, essi sono una malattia di cui non si può rinviare la cura. 1.900 miliardi di euro di debito (incluse le amministrazioni locali, senza contare i 100 di debito verso le imprese), incidono in modo pesante sul funzionamento della democrazia italiana. Non soltanto, come si usa rilevare, ipotecando il futuro delle nuove generazioni, ma distorcendo, attraverso un peso degli interessi sul debito intorno a un terzo del gettito tributario sul reddito delle persone fisiche, la percezione del funzionamento delle istituzioni democratiche. Il che non è meno grave. Di fatti, già esiste il problema che la crisi economica globale, spingendo alla riduzione del PIL, ha eroso l'avanzo pubblico primario realizzato da più di un decennio, e così siamo arrivati al punto che ora le spese dello Stato hanno superato le entrate e dunque contribuiscono al debito in aggiunta agli interessi sul debito. E questo abnorme debito produce interessi già oltre il 4% del PIL (veleggiano verso gli 80 miliardi di euro), una cifra che dovrebbe essere coperta nei prossimi tempi dal ristabilirsi di un avanzo primario annuo legato alla ripresa quando ci sarà (non presto). Dunque, di per sé il debito pubblico è destinato ad aumentare, in assoluto e, cosa più preoccupante essendo il rapporto fondamentale, in percentuale sul PIL. I mercati se ne sono accorti. I buoni rapporti diplomatici non sono decisivi. E' urgente attivare la capacità di intraprendere, quindi gli investimenti, quindi l'aumento del PIL, e quindi la minor incidenza del debito pubblico. L'Italia ha retto finora il debito pubblico perché la propensione al risparmio delle famiglie è molto superiore (intorno ad 8.500 miliardi di euro) a quella degli altri paesi (la ricchezza delle famiglie italiane è circa il 5,7% della ricchezza mondiale quando il PIL italiano supera di poco il 3% di quello mondiale). Oggi, l'abnorme crescita del differenziale degli interessi sui titoli pubblici rispetto a quelli tedeschi, impone la necessità politica di utilizzare quella propensione (aggiuntiva e non sostitutiva dei tagli dei punti 4c e 4d) per compiere un'operazione strutturale tra risorse private, debito pubblico e proprietà alienabili dello Stato. Anche perché l?Italia ha preso con l?Europa un impegno a diminuire il debito del 3% all?anno per 20 anni. L'obiettivo è innescare un meccanismo virtuoso che risollevi la fiducia dei mercati e cambi il quadro economico italiano. Occorre avviare contestualmente da una parte lo sforzo dei cittadini di utilizzare i loro risparmi per una drastica diminuzione del debito pubblico (o almeno per accrescere la quota del debito in mano agli italiani, oggi meno della metà, di cui solo 280 miliardi alle famiglie, percentualmente un terzo di un ventennio fa ) e dall'altra la contestuale riduzione del numero delle aliquote Irpef e del livello di quelle Irpef ed Iva (la diminuita imposizione fiscale, agevola la lotta all?evasione, con il renderla meno accattivante). In tal modo, oltre l'alleggerimento economico, si taglierebbero le unghie a quella visione di tipo corporativo burocratica che usa il paravento del debito per nascondere una gestione pubblica emergenziale di continuo e disattenta alle problematiche reali della convivenza, in particolare quelle attinenti la libertà del cittadino e l'equità fiscale (per questo i liberali vogliono avvicinare i cittadini e chi lo tassa, rendendo più trasparente l?impiego di quanto ricavato). Purtroppo, i passi fatti del governo dei tecnici sembrano proseguire l'indirizzo statalista burocratico, intento solo a far crescere le imposte sui redditi mentre parla di necessità di sviluppo che non si vede come possa realizzarsi vista l?imposizione fiscale arrivata al massimo storico. Simili cornici della libertà nel convivere, devono sempre essere assicurate dalle Istituzioni, perché sono le condizioni primarie di legalità e di sicurezza. Senza di esse, il cittadino non può svolgere le autonome attività economiche e manifestare le personali scelte di vita. E questo richiede un impegno straordinario in molte zone meridionali ove tali condizioni di fatto non sussistono e il complessivo declino civile è più accentuato.
5. Questa è l'identità politica che noi liberali ci impegniamo a sostenere politicamente e che invitiamo anche gli altri cittadini a sostenere. Difatti, una convivenza migliore non cresce spontaneamente. E' il frutto della partecipazione appassionata dei fautori della libertà. Stare legati ai fatti non significa rimanere schiavi delle concezioni prevalenti fino al momento. Con l'esercitare il senso critico e lo sperimentare, si arriva a conoscenze sempre nuove e a dare sempre nuove soluzioni ai problemi della libertà di ogni cittadino. Questo è lo scopo dei liberali e il loro contributo.
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