Vittorio Lussana

Milano è nuovamente al centro di un ciclone giudiziario: sembra veramente che, in Italia, non si riesca mai a fare niente senza dover ricorrere a un sistema di corruzione a 'macchia d’olio'. Perché ci siamo dimenticati, sin dai tempi di Tangentopoli, che non sono da valutare solamente le responsabilità storiche della nostra classe politica, ma anche quelle di un’imprenditoria italiana che, grazie alla politica, ha sempre fatto comodamente i suoi ‘affari’. Per troppo tempo, Bettino Craxi è stato pubblicamente chiamato in causa come il principale responsabile di tutto un complesso sistema di potere basato sulla corruzione. Gli venne imputata persino l’esplosione del nostro gigantesco debito pubblico senza ricostruire i fatti in scienza e coscienza, al fine di ricollegare le effettive responsabilità - non solo quelle penali, ma anche quelle politiche – rinunciando alle approssimazioni giustizialiste o demagogiche. Eppure, ciò è quanto dovremmo cominciare a fare, poiché è tornato molto comodo utilizzare il ‘craxismo’ come principale ‘parafulmine’ di tutta una serie di problemi che, invece, risultavano e risultano storicamente cronicizzati. La crescita della nostra spesa pubblica fu una scelta dettata dal tentativo di creare un sistema di welfare che assicurasse una globalizzazione verso l’alto della società italiana. Ciò venne stabilito sin dagli anni ’60 del secolo scorso. Il deficit dell’erario e i titoli di debito dello Stato, sino al 1981, vennero ‘coperti’ e rifinanziati dalla Banca d’Italia, la quale era costretta a stampare nuova carta moneta proprio al fine di soccorrere il Tesoro, generando un tasso d’inflazione spaventoso per il conseguente aumento della circolazione monetaria. Il divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia, deciso dal Governo Forlani nei primi anni ’80 del secolo scorso, fece nascere l’esigenza di dover contabilizzare un debito già esistente sin da allora. Il sistema di welfare che possediamo oggi, dunque, è stato creato totalmente attraverso il debito. Negli anni di Tangentopoli, ogni cosa degenerò improvvisamente in un cortocircuito irrefrenabile di populismi eversivi e 'doppie verità', di indignazioni di comodo e opportunismi travestiti da giustizialismo. Ma lo stato sociale, assistenziale e ‘sprecone’ per come era stato concepito qui da noi, ha divorato risorse sin dalle origini della nostra Storia repubblicana, poiché il clientelismo e il notabilato democristiano lo imposero in quanto metodologia di mantenimento dello 'status quo', rispetto all’egemonica capacità organizzativa, propagandistica, elettorale e financo culturale della sinistra italiana. La riforma sanitaria del 1978, tanto per tornare all’esempio proposto, fu ben presto trasformata in una ‘greppia’ di posti e incarichi per politici ‘trombati’, lottizzazioni, ruberie e malversazioni. Interi parlamenti e governi hanno sempre largheggiato nel concedere pensioni non dovute, lesinando invece sui vitalizi per chi veramente era avanti con gli anni o non aveva altre fonti di guadagno. Norme e regolamenti, a loro volta, hanno sempre concesso l’inimmaginabile – pensioni ‘baby’, false invalidità, disabilità inventate - mentre pochissimo danaro veniva speso per risolvere il grave problema delle strutture, delle barriere architettoniche, dell’inefficienza dei servizi da fornire alla collettività, della condizione paurosa in cui si trovavano - e si trovano - i nostri ospedali o istituti scolastici. Tutto questo non doveva essere interamente ‘accollato’ al Partito socialista italiano della fase ‘craxiana’: al contrario, sotto il profilo della concorrenzialità, il Psi, rispetto ad altri Partiti, ha sempre cercato di colmare carenze e lacune, svogliatezze e grossolanità. Fu invece la Dc a imporre, per ragioni storiche ed elettorali, il modello delle ‘zone grigie’, nel tentativo di accontentare tutti. Una metodologia a cui gli altri Partiti, molto semplicemente, si erano adeguati. Insomma, il ‘clientelismo’ lo possiamo annoverare sotto le categorie che più ci piacciono, ci convincono o ci aggradano: da quello cooperativistico del Pci, a quello disordinatamente anarchico del Psi; da quello circondato da un alone di ‘borghesia arcadica’ dei liberali a quello populista, vociferante e plebeo, dei cattolico-democratici. Ma pur sempre di clientelismo si trattava e si tratta, finalizzato a carpire un comodo consenso che, per lungo tempo, ha costretto lo Stato a ricorrere all’emissione di buoni ordinari del Tesoro - o titoli analoghi - per racimolare liquidità, impegnandosi a pagare tassi di interesse sul debito sempre più alti. L’incidenza degli interessi sui nostri titoli pubblici è ciò che, oggi, grava veramente sul bilancio dello Stato, regolarmente fuori controllo. E anche quando si decise, in una fase successiva, di porre in essere una serie di regolamentazioni, che garantissero una riduzione degli sprechi e un maggior controllo della spesa corrente attraverso gestioni che ne facilitassero la ‘trasparenza’, ci si è limitati a trovare nuovi escamotages - come per esempio le consulenze esternalizzate o le società ‘multiservizi’ - che hanno reiterato, con altre forme e secondo altri metodi, il medesimo meccanismo feudale, parassitario e assistenzialista. Il vero grande problema del nostro Paese, soprattutto quando si propongono gli esempi di alcuni nostri grandi imprenditori o capitani d’industria, in realtà è quello di un ceto imprenditoriale sostanzialmente ‘sovvenzionato’: è facile fare i ‘capitani coraggiosi’ in questo modo. E l’imprenditoria medio-piccola, per parte sua, si è ritrovata costretta a sopportare il pesantissimo ‘tallone’ di relazioni e intrecci che, alla fin fine, non hanno fatto altro che riproporre l’antico ‘alibi’ di uno Stato omnicomprensivo, pachidermico e inefficiente. Perché uno Stato spogliato dei propri mezzi e, in molti casi, persino delle sue funzioni, finisce per forza di cose col rivalersi sui più deboli, oppure a dover gestire l’esistente con fare sonnolento, dato che subisce anche la concorrenza delle mafie. In ogni caso, non fu certo Bettino Craxi a inventarsi la formula della ‘spesa a pioggia’. Al contrario, Craxi cercò d’individuare quelle riforme istituzionali necessarie per far uscire il Paese da una situazione di perenne instabilità, che portava sistematicamente a elezioni politiche anticipate, le quali esasperavano la tendenza dei Partiti a dover conquistare nuovi consensi spendendo e ‘spandendo’, mentre Camera e Senato aggiravano allegramente la norma costituzionale che imponeva la copertura finanziaria a giustificazione di ogni genere di spesa. La ‘scena madre’ di questa recita ‘a soggetto’ è sempre stata l’approvazione, a fine anno, della cosiddetta legge di bilancio, la famosa Finanziaria, regolarmente stravolta da emendamenti ‘spenderecci’. Insomma, austerità, moralità, etica pubblica, ammonimenti sui pericoli incombenti, ritorno a una politica basata sulla trasparenza, hanno sempre rappresentato una messa in scena stucchevolmente teatrale: moniti inutili o promesse retoriche. La vera storia delle scorrettezze italiane è sempre la stessa: quella di una politica che ha sempre avuto molte cose da nascondere e che, oggi, non è nemmeno soddisfatta del ‘tunnel’ in cui è finita, del disamore o del vero e proprio disprezzo con cui essa si sente giudicata dai cittadini. Tuttavia, è ormai giunto il momento di dover pagare il prezzo per non aver seguito i consigli e non aver scelto, nel passato più recente, una politica di verità. Perché ciò che contraddistingue la ricerca della verità può giungere a riscontri inaspettati, soprattutto quando la cultura complessiva di una società riesce ad affrancarsi dai pregiudizi, al fine di voltare radicalmente pagina rispetto a un corporativismo opportunista e ‘dissimulatorio’ ormai totalmente superato dalla Storia. Nell’ordinamento americano è prevista una cauzione per l’imputato in attesa di giudizio. Ciò garantisce che una persona sottoposta a indagine non debba scontare una pena ‘prima’ che venga emessa una sentenza, ma solamente dopo. Qui da noi, invece, avviene esattamente il contrario: prima si subiscono la ‘gogna’ mediatica e i provvedimenti restrittivi e solo in un secondo momento, ci si ritrova facilmente scarcerati, spesso da colpevoli: un vero e proprio ‘regno dell’assurdo’. Il sistema italiano è falsamente garantista: questa è la verità che ci detta la condizione storica del nostro Paese. Ed è questa la vera motivazione politica di fondo per cui l’Italia rimane, per cultura e tradizione, un Paese giuridicamente inquisitorio e arretrato.

 




Direttore responsabile di www.laici.it

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