La notizia di questi giorni è il ritrovamento di due fascicoli, a lungo tenuti segreti dallo Ior (Istituto per le opere religiose, ndr) e dai vertici ecclesiastici vaticani. Ma noi avevamo già in programma di scriverne, poiché il 22 giugno scorso cadeva il 42esimo anno dalla scomparsa di Emanuela Orlandi: la quindicenne cittadina vaticana il cui volto è diventato il simbolo di uno tra i più intricati e oscuri misteri del nostro Paese. Complici la cittadinanza della ragazza e il sospetto coinvolgimento della Chiesa cattolica, il ‘caso Orlandi’ ha avuto, infatti, una risonanza mediatica eccezionale per l'epoca. E ancora oggi, continua a scuotere l'opinione pubblica, tra 'piste' mai chiarite, ipotesi inquietanti e nuove testimonianze di dubbia veridicità. L'unica certezza è che il 22 giugno 1983, la piccola Emanuela Orlandi, era uscita di casa per recarsi alla sua consueta lezione di musica. Portava con sé il flauto traverso, che presto divenne protagonista di una delle fotografie più note, tra quelle rese pubbliche dopo la scomparsa della sua proprietaria, diventando un po' il simbolo di Emanuela stessa, della sua promettente giovinezza, destinata a disperdersi chissà dove e chissà come. Qualche ora dopo, in una telefonata a casa a cui rispose la sorella Federica, la giovane Emanuela aveva raccontato di aver avuto un incontro lungo la strada con un uomo che le avrebbe proposto un piccolo lavoro di volantinaggio per l'azienda Avon. La sorella le suggerì di chiedere il parere dei genitori, prima di accettare. E questo è tutto: l'ultimo contatto di Emanuela con la propria famiglia. Quello che inizialmente fu trattato dalle Forze dell'ordine come un allontanamento volontario, si sarebbe presto rivelato una matassa intricatissima, quasi impossibile da sbrogliare: una tela letale con al centro un 'ragno' ogni volta diverso: il terrorismo internazione; la banda della Magliana; il Vaticano stesso. Una serie di ‘piste’ che promettevano di condurre alla verità, ma che ogni volta hanno portato, inesorabilmente, in un vicolo cieco. Ciascuna, forse, contenente in sé un frammento di verità, ma mai sufficienti a dare pace alla famiglia Orlandi: alla mamma Maria, ormai molto anziana, che di Emanuela dice: "Non vedo l'ora di riabbracciarla. Adesso, o quando morirò"; alle sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina, che ogni giorno vedono allo specchio il riflesso di ciò che Emanuela avrebbe potuto essere e che forse, da qualche parte lontana da loro, è stata; al fratello Pietro, fulgido esempio di amore fraterno che, da quel primo giro in moto per Roma alla ricerca della sorella, nella notte tra il 22 e il 23 giugno 1983, non ha mai smesso di cercarla, o per lo meno di trovare la verità intorno alla sua scomparsa. Né sono valse a fermarlo le parole lapidarie del compianto Papa Francesco, che pur avendo insistito, forse più dei suoi predecessori, affinché le informazioni venissero 'a galla' - per sua volontà, le indagini sul caso sono state riaperte nel 2023 - inizialmente accolse le domande di Pietro con un'unica risposta: "Emanuela sta in cielo". Nel frattempo, intorno alla famiglia Orlandi, si scatenò un lungo 'balletto', inquietante e morboso, di false testimonianze, telefonate anonime, nastri registrati con la presunta voce di Emanuela che porterebbero a conclusioni agghiaccianti; insieme a inchieste giornalistiche più serie, libri e documentari, che tentavano di gettare una luce, per quanto opaca, sul mistero della scomparsa di un'adolescente come tante, la cui figura, d'un tratto, divenne, suo malgrado, straordinaria. Tra i più recenti, ‘Vatican Girl’, miniserie italo-britannica distribuita da Netflix, che non dimentica di menzionare l'altra Emanuela: la giovanissima Mirella Gregori, anche lei quindicenne e anche lei scomparsa nel nulla appena 40 giorni prima della coetanea vaticana, il 7 maggio 1983. Il suo caso ebbe - e ha tuttora - meno risalto nei media, probabilmente perché la Gregori era una semplice cittadina romana: la cupola di San Pietro, maestosa e piena di segreti, non si ergeva alle sue spalle, la sua sparizione non offriva la ghiotta opportunità di 'sbirciare' tra i ‘vizietti’ degli alti prelati e le sue ricerche non furono disseminate di indizi indecifrabili e 'piste' misteriose. Per lo meno, non nella stessa quantità. Non sembrava, insomma, che ci fosse dietro "qualcosa di grosso". Eppure, è impossibile non cercare un collegamento tra due adolescenti coetanee, quasi 'vicine di casa' sebbene abitassero in quartieri distinti e, addirittura, in due Stati diversi, entrambe scomparse nello stesso periodo ed entrambe mai più ritrovate. Impossibile non provare la medesima compassione per le loro famiglie; impossibile non continuare, anche dopo oltre 40 anni, a sperare nella verità e a riporre fiducia nella coscienza umana - sebbene già tante volte quella fiducia sia stata disattesa - affinché chi sa, parli. Per Emanuela. Per Mirella. Per porre fine all'angoscia delle loro famiglie. Per il papà di Emanuela e per i genitori di Mirella, ormai scomparsi da anni senza aver potuto riabbracciare le loro figlie e che, forse, una volta dall'altra parte, hanno finalmente potuto incontrarle di nuovo. Tutto questo, a 42 anni dalla scomparsa della ragazzina vaticana che amava la musica, ma che in quel giorno così caldo non aveva poi tanta voglia di andare a scuola a piedi e che voleva che il fratello l'accompagnasse; e di quell'altra, uscita di casa per "dieci minuti, mamma" a salutare un amico e mai più ritornata. Quell'altra che, poco prima di sparire, aveva visto il Papa da vicino (la si vede sorridere in una foto dell'epoca, emozionata davanti a Giovanni Paolo II, splendente della sua fede giovane e ingenua). Questo è, ancora oggi, l'unico pensiero rassicurante. L'unica consolazione.