Adolf Hitler era assillato da una domanda: ”Da dove si inizia per cambiare la Storia”? Un quesito che chiude il testo del 'Mein Kampf', secondo la rielaborazione del drammaturgo, Stefano Massini. Questi, infatti, di recente ha riproposto il programma politico del dittatore nazista, articolandolo come un delirante monologo che si snoda, pagina dopo pagina, in un crescendo di rabbia e di follia. Massini ci restituisce molto bene l’immagine di un uomo mediocre, ai margini della società, incapace di scorgere la miseria morale dentro di sé, ma molto abile a proiettarne lo 'spettro' nel mondo che lo circondava: dal natio paesino austriaco di cui era originario, odiato per la sua semplice e pacata quotidianità, alla realtà di Vienna del primo dopoguerra, divisa tra i fasti decadenti dell’alta aristocrazia asburgica e il disagio sociale dei ceti popolari stipati nei sobborghi periferici. La percezione della sua piccolezza e la rabbia interiore che da essa sprigionava presero forma nella mente di Hitler in un rancore senza misura per le sorti politiche ed economiche della Germania sconfitta nella prima guerra mondiale, in una brama famelica di riscatto nazionale. Nel dissesto sociale in cui la Germania del primo dopoguerra versava drammaticamente, Adolf Hitler trovò l’occasione della sua vita per imporsi all’attenzione della collettività. E per farlo, sceglie il modo più facile: parlando alla ‘pancia’ del popolo dolente, cercando di risvegliare la reazione per l’umiliazione subita, evocando altresì origini leggendarie, proprie del suo patrimonio mitologico, quale meta ideale a cui ispirarsi. Ma soprattutto, egli riuscì a canalizzare il rancore del popolo tedesco nel modo più efficace: individuando un 'nemico' contro cui sfogarsi. Ovvero, gli Ebrei. La loro colpa risiedeva, essenzialmente, nella loro diversità, nel possedere abilità e costumi che gli consentivano di distinguersi tra le masse. Non c’era alcun nesso tra questi aspetti e le cause del disastro socioeconomico in cui la Germania si trovava: era solo un pretesto per scalare le vette del successo politico e del potere, per rivalersi con facilità, su chi, essendo una minoranza, era più debole. Questa drammatica realtà emerge tragicamente ancora oggi dai fatti di cronaca. Si pensi all’omicidio di Sharon Verzeni, avvenuto il 30 luglio 2024 a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo: ad attirare l’attenzione del suo assassino era il solo fatto di aver scorto nella giovane donna un senso di felicità e di pacificazione che, con tutta evidenza, mancavano in lui. Oppure, si pensi al diciassettenne che a Paderno Dugnano, nel milanese, quasi contestualmente ai fatti di cui sopra, ha sterminato, in piena notte, la propria famiglia, senza un’apparente ragione. Non può non tornare alla mente la morte di Marta Russo, uccisa il 9 maggio 1997 tra le stradine interne all’Università ‘La Sapienza’ di Roma senza un movente preciso, probabilmente in esecuzione di un aberrante progetto di ‘delitto perfetto hitchcockiano’ ideato dai suoi carnefici. Da ultimo, si consideri la strage compiuta in Germania al mercatino di Natale di Magdeburgo il 20 dicembre scorso, che è costata la vita di cinque persone e il ferimento di altre duecento. L’autore, uno psichiatra di origine saudita, ha confessato la sua avversione per il consolidarsi di un modello sociale fondato sul multiculturalismo e sull’integrazione razziale. Ma questi fatti evidenziano un altro problema: l’incapacità dello Stato moderno di intercettare queste sacche di marginalità; la presenza di soggetti apparentemente normali o mediamente inseriti nel contesto sociale che, a sorpresa, si dimostrano pericolosi detonatori di odio. Stiamo edificando una società sempre più computerizzata e protesa a interscambiare continuamente i suoi modelli organizzativi con prototipi sempre più sofisticati, grazie all’ausilio, oggi, dell’intelligenza artificiale. Ma illudersi di eliminare dalla vita il dolore, per inseguire il mito dell’esistenza perfetta, finisce solamente con l’innescare processi distorsivi di estrema pericolosità. La regressione e il ripiegamento nel privato che allignanono sempre più frequentemente nelle persone e che, costantemente ignorati, finiscono per implodere psicologicamente o con l'esplodere tragicamente, discendono dall’incapacità, ormai radicata, di convivere con il dolore e le difficoltà della vita. Ma soltanto coesistendo con esso e accettandolo nella nostra vita quale presenza indefettibile, ma foriera di importanti insegnamenti, è possibile evolvere veramente. Pertanto, allo scopo di individuare la strada per prevenire e contrastare ogni forma di orrore sociale ed evitare che la Storia si ripeta, s’inizi da qui: dal prestare ascolto e attenzione al dolore dell’Altro.