Maria Chiara D'Apote

Forse non tutti sanno che la maggior parte dei marchi italiani, prodotti che hanno brillato nel firmamento dell’economia italiana per decenni, sono passati in mani ‘straniere’. Il processo di svendita o di smembramento è cominciato già alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso. E solo tra il 2008 e il 2012, ben 437 aziende italiane sono state vendute agli stranieri. Una delle cause dello smantellamento o della perdita dei nostri prestigiosi asset è stata la globalizzazione, che ha penalizzato le piccole e medie imprese, esponendole alla concorrenza (sleale...) internazionale, che ha forzato la mano operando acquisizioni strategiche durante i cicli di crisi. Altre cause sono da ricercare nelle fallimentari politiche aziendali di molte famiglie e dinastie imprenditoriali, che hanno venduto per successioni difficili o scarsa liquidità monetaria.

La politica economica nostrana ha fallito?
La crisi del 'Made in Italy' è stata certamente aggravata da insufficienti politiche governative: l’incapacità di garantire e introdurre le innovazioni necessarie al rilancio delle aziende e delle industrie, insieme all’impossibilità di effettuare investimenti, ha generato condizioni insostenibili, sia nel settore pubblico, sia nel privato, causando la vendita o la liquidazione dei beni. E molti degli avanzamenti fatti tra la fine degli anni '70 e gli anni '80 del secolo scorso sono stati letteralmente 'gettati a mare',

Andiamo per categorie: la moda
Nel 2014, l’azienda cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion Co. Ltd ha acquisito il marchio Krizia, storico brand italiano di moda fondato da Mariuccia Mandelli. La proprietà del marchio è stata ceduta a quest’azienda cinese, che ne ha preso il controllo, mentre il marchio Gucci è stato venduto progressivamente, tra gli anni '90 e i primi anni 2000, entrando a far parte del gruppo Kering (Francia). Anche Valentino è oggi di proprietà del fondo Qatar Mayhoola for Investments. E La Rinascente è stata a sua volta rilevata dalla Central Retail Corporation, un gruppo thailandese con sede a Bankok. Infine, Bulgari ha venduto sia il marchio, sia le proprietà immobiliari, compresi tutti i negozi, al colosso del lusso LVMH (Francia) nel 2011.

Case automobilistiche
La torinese Fiat, diventa Stellantis (Francia/Olanda) e la Ducati, celebre casa motociclistica, sono oggi di proprietà del gruppo Volkswagen-Audi (Germania). E la Pirelli è stata acquisita, nel 2015, dal gruppo cinese ChemChina, poi parzialmente ricontrollata da soci italiani tramite accordi di governance. Anche Alfa Romeo, dopo il passaggio a Fiat, è oggi parte di Stellantis, gruppo olandese con forte influenza francese (Peugeot), mentre la celebre Lamborghini è stata acquistata da Audi (Volkswagen) già nel 1998.

Alimentari
Dopo lo scandalo finanziario, la Parmalat è stata acquisita, nel 2011, dal gruppo francese Lactalis. Stessa sorte hanno avuto le celebri Galbani, Locatelli e Invernizzi. I marchi Buitoni, Perugina, Motta e Alemagna sono passati a Nestlé (Svizzera), mentre il gruppo Cirio-Bertolli-De Rica già nel 1993 era passato sotto il controllo della Unilever e poi, nel 2008, alla Deoleo spagnola.

Altri marchi italiani falliti o scomparsi
Olivetti: da simbolo del Made in Italy tecnologico, la storica azienda di Ivrea (To) è stata smembrata e svuotata. Alcune divisioni sono finite in Telecom Italia, poi anche Telecom è stata oggetto di vendite parziali (Tim Brasil e Sparkle, ndr). La Innocenti (Lambretta), invece, antica produttrice di scooter e automobili, non è più attiva in Italia sin dagli anni '80, mentre Lancia esiste ancora come brand, pur producendo solamente il modello Ypsilon e dopo essere entrata a far parte del gruppo Stellantis. Anche la Zanussi è stata acquisita da Electrolux (Svezia) e, oggi, risulta essere un marchio ma non più indipendente, mentre la Sanson, storica azienda di gelati italiani, è stata assorbita dalla Unilever e poi dismessa. La Italcementi è stata ceduta nel 2015 al gruppo tedesco HeidelbergCement. E la Indesit, nel 2014, è stata rilevata dalla statunitense Whirlpool. La Star, infine, è stata venduta al gruppo spagnolo Gallina Blanca e il suo marchio non brilla più sulla tangenziale est milanese all’altezza di Agrate Brianza (Mb), con grande dolore di monzesi e meneghini.

Asset privati che erano patrimonio pubblico
Snam, Terna
e Italgas sono tre importanti aziende italiane nel settore dell’energia e delle infrastrutture, nate originariamente come rami del gruppo Eni (ente statale fondato da Enrico Mattei: un paladino della supremazia industriale italiana, rimasto vittima di uno ‘strano’ attentato, ndr). Le aziende sono state separate e privatizzate, parzialmente o totalmente, nel corso degli ultimi decenni. Anche Enel risulta parzialmente privatizzata: lo Stato possiede ancora una quota, ma non più il pieno controllo. Telecom Italia (Tim), nata nel 1994 dalla fusione di diverse società telefoniche pubbliche (Sip, Italcable, Telespazio e altre) inizialmente era sotto il controllo dell’Iri, istituto monopolista statale nel settore delle telecomunicazioni privatizzato negli anni '90 è oggetto, a sua volta, di scalate, indebitamenti e vendite. Oggi, l'istituto risulta quasi totalmente frammentato, con alcuni asset ancora in vendita (Sparkle, NetCo).

Il de profundis del Made in Italy
Al di là dei proclami, ancora oggi le svendite proseguono: recentemente la Bialetti Industrie spa, celebre per la sua iconica caffettiera moka, è stata acquisita da Nuo Capital: una società d’investimento lussemburghese, controllata dal magnate cinese, Stephen Cheng. Siamo ormai giunti al de profundis del Made in Italy. E nessuno, sia nel settore pubblico. sia nel privato, è stato in grado di rilanciare, o quantomeno difendere, la nostra produzione industriale. A dimostrazione di una palese mancanza di visione, che ci ha fatto trovare disarmati di fronte alla globalizzazione. La quale, andava governata e corretta, anticipando risposte e condizionandone la direzione di marcia. Inutile, ora, piangere sul 'latte versato' o accusare il sistema globale di essere la causa unica del disastro, dato che i primi a mancare l’appuntamento siamo stati proprio noi italiani. Poi, come al solito, si fa a gara a scaricare ogni colpa o responsabilità sugli altri, che si tratti della Ue o della globalizzazione medesima.


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