Registriamo con sincero dolore la scomparsa di Stefano Rodotà, uno degli esponenti della sinistra italiana maggiormente degni di stima, fiducia e rispetto, umano e politico. Un giurista raffinato, che ha fornito un contributo decisivo ai mutamenti intervenuti nella cultura progressista italiana. Il suo merito principale, a nostro parere, fu quello di riuscire a 'sganciare', sotto il profilo schiettamente intellettuale, il mondo italo-marxista da una totalità dottrinaria la quale impediva ogni utilizzo efficace di quel 'senso dello Stato' che ha sempre moralmente connotato i comunisti italiani. Un 'macigno' concettuale che bloccava ogni via di fuga dei post marxisti dalla 'statolatrìa', impedendo loro ogni 'digestione dottrinaria' dello Stato di diritto basato sulle libertà, sia pubbliche, sia individuali o private. Aver cercato di 'rieducare dal basso' i comunisti italiani rappresenta, secondo noi, il merito principale di questo insigne studioso, che ha saputo riscattare, pur non senza difficoltà, una buona parte della sinistra italiana dal proprio passato determinista e antiparlamentare. Egli non fu mai un comunista: semplicemente, aveva compreso come il patrimonio ideale, elettorale e politico del Pci potesse risultare utile alla causa della democrazia italiana, la quale, per lunghi decenni, risultava bloccata non soltanto per la sostanziale impossibilità di ricorrere ad alternanze 'di sistema', ma persino nei più relativi passaggi di ricambio 'periodico'. La vera cultura di appartenenza di Stefano Rodotà era quel liberalismo 'gobettiano' che, già negli anni '70, aveva cercato di favorire un percorso di evoluzione del Partito comunista italiano, al fine di farlo approdare sulle 'sponde' della socialdemocrazia. Un 'disegno' condiviso, in teoria, anche da Bettino Craxi, che tuttavia lo considerava, in quella fase storica, ancora di là dal venire. Con il crollo del muro di Berlino del 1989 e la 'svolta occhettiana' del 1991, il vecchio popolo comunista si ritrovò improvvisamente costretto ad avanzare in un 'territorio dialettico' liberaldemocratico completamente privo di 'mappe'. Solamente un uomo era consapevole della direzione verso cui il mondo post marxista potesse indirizzarsi: Stefano Rodotà. Egli fu il principale 'indipendente di sinistra' che riuscì a sensibilizzare allievi e studenti verso le tematiche dei diritti civili e delle nuove libertà pubbliche, teorizzando una laicità 'liberal' che avvicinasse l'ex Pci, nel frattempo divenuto Pds, verso problemi e questioni a lungo considerate patrimonio esclusivo di alcune minoranze avvedute e nobilissime. Il 'ritardo' culturale della sinistra post comunista era, obiettivamente, evidente, soprattutto sotto il profilo giuridico. E le resistenze contrarie a questa sorta di 'esodo' furono fortissime: l'impressione era spesso quella di trascinare, con grandissima fatica, un 'somaro' recalcitrante lungo quei 'terrapieni' che separano due strade ben distinte tra loro. Ma esattamente questo fu il merito di Stefano Rodotà: egli seppe restituire al confronto democratico italiano un patrimonio di valori, idee e princìpi che rischiavano di rimanere prigionieri all'interno di uno schematismo ideologico assai contraddittorio. Egli è stato uno dei più sinceri artefici e interpreti della 'rieducazione laica' della sinistra italiana: un processo quasi paragonabile alla 'secolarizzazione' subìta 'obtorto collo' dal mondo cattolico. Si tratta di dinamiche estremamente lente e complesse, soprattutto in Italia. Tuttavia, in tempi di riflessione intorno ai nuovi compiti e obiettivi che il mondo progressista dovrebbe darsi per riuscire a rigenerare una democrazia basata su valori e princìpi assai più seri e coerenti rispetto al qualunquismo attualmente imperante, rilanciare una dialettica più razionale e ragionevole in merito al contributo intellettuale fornito da un esponente 'illuminato' come Stefano Rodotà potrebbe rappresentare un buon punto di partenza, in grado di far comprendere ai cittadini verso quale orizzonte sarebbe necessario dirigersi al fine di evitare nuove 'disavventure'. E cioè verso un futuro imperniato attorno a un nuovo progetto di società, più libera e giusta, capace di affermarsi sia attraverso princìpi innovativi, portatori di valori, sia come 'rinascita' di un Paese che potrebbe dimostrare al mondo di aver saputo liberarsi dalle sue pesantissime 'zavorre' d'inciviltà, giuridiche e morali.