Pochi figli, insostenibilità economica e un inevitabile tracollo. Potrebbe riassumersi così il triste scenario disegnato su un orizzonte temporale non troppo lontano, reso sempre più tangibile dagli impietosi numeri diffusi dall’Istat, che registra, per il 2024, una media di 1,18 figli per donna, superando così il record negativo di 1,19 certificato nel 1995. Un'emorragia che non accenna ad arrestarsi a causa di ragioni molteplici e complesse, da ricercare nella mutata società in cui viviamo. Come in un ‘domino’, tali motivazioni risultano legate tra loro. Tuttavia, appare evidente come la mancata staffetta generazionale abbia un’origine comune nel fattore economico: lavoro precario, salari inadeguati e un mercato immobiliare alle stelle sono un mix letale per le coppie italiane, che non di rado rimandano il concepimento, con il risultato di dover fare i conti con un’età biologica non più verdissima e, dunque, con una fertilità ridotta. Se le premesse economiche non incentivano, diventano ancor più scoraggianti se rapportate ai costi da sostenere per crescere un figlio: iscrizione a un asilo nido nel caso (molto probabile) in cui entrambi genitori lavorino; spese essenziali quotidiane, soprattutto quelle legate alle urgenze e agli imprevisti. Appurato che il fattore economico rimanga la matrice che incide negativamente sulle nascite in Italia, è altrettanto indiscutibile come anche le stesse aspettative dei 'millennials' e dei giovani adulti in generale non abbiano più il loro focus centrato sulla realizzazione familiare come scopo primario da raggiungere. Principi e valori mutati, dettati da nuovi stili di vita più frenetici e individualisti, privilegiano la realizzazione personale: una sorta di traguardo da raggiungere come affermazione del proprio sé, in una società sempre più competitiva. Ne consegue un tempo libero limitato ed estremamente prezioso, destinato a una gestione esclusiva, esente, possibilmente, da vincoli. Davanti alle difficoltà, permane comunque la necessità di porre rimedio alle 'culle vuote': non bastano le mancette mensili elargite dal governo di turno per ovviare a un problema che rischia di manifestarsi con i suoi esiti più nefasti, quando nelle casse dell’Inps non verranno versati i contributi di questa ‘generazione fantasma’. Molti Paesi industrializzati si trovano a fare i conti con il calo demografico, tra cui il Giappone, che ha avviato una riforma strutturale che consiste nella riduzione della settimana lavorativa, fissandola a 4 giorni. Il 'taglio' prevede anche esenzioni orarie, ma entrambe le formule richiedono una riduzione, bilanciata e proporzionata, dello stipendio. Un accordo che punta a migliorare la ripartizione tra vita privata e lavorativa, con la speranza di aumentare il livello delle nascite, nel Paese che conta il numero di anziani più longevi al mondo. Una vera e propria trattativa sociale che andrebbe emulata, al di là dei colori politici dei nostri governanti, che troppo spesso hanno sottostimato una questione che, oggi, non può più essere rimandata.