Il significato della testimonianza di 
Luca Coscioni, recentemente scomparso, è stato correttamente ed a pieno 
recepito dalla classe politica e dall’opinione pubblica italiana? Se come sembra, non lo è stato affatto, quali le cause e quali i rimedi? Prendiamo spunto per alcune riflessioni sull’argomento dallo svolgimento del primo 
“Congresso Mondiale per la Libertà di Ricerca Scientifica”, organizzato proprio 
dall’Associazione Luca Coscioni, che si è svolto presso la Sala della Protomoteca del Comune di Roma, proprio nei giorni in cui avveniva il suo trapasso. L’incontro, promosso da un gruppo di ricercatori e professori universitari italiani, ha coinvolto personalità internazionali in un 
dibattito transnazionale su temi riguardanti 
scienza, società, politica, diritto, etica della ricerca, tecnologia ed economia nonché gli ultimi sviluppi in merito alla ricerca sulle 
cellule staminali.
Nell’ambito di un variegato ed approfondito dibattito, durato tre giorni, abbiamo scelto a simbolo del messaggio scaturito dal confronto internazionale un concetto espresso da 
Carl Djerassi, Professore Emerito presso 
l’Università di Stanford che ha affermato: 
"Lasciando da parte per un momento le motivazioni religiose, che sono di particolare rilievo nel dibattito sulla ricerca delle cellule staminali, vorrei affrontare un punto più centrale: il timore che una nuova tecnologia possa alterare in senso negativo i codici culturali o comportamentali di una società. Io sostengo che solitamente ignoriamo la possibilità opposta: che in certi momenti i cambiamenti sociali richiedono che la tecnologia sia sviluppata o che certe rivoluzioni attitudinali, come il ruolo delle donne nelle società, creino una finestra di opportunità per sviluppi scientifici o tecnologici perché siano rapidamente accettati". Già, il male della società italiana è proprio questo, dalle staminali al nucleare, dalla fecondazione assistita ai treni ad alta velocità o ai rigassificatori, cioè il 
timore di cambiamenti a volte minimali o solo paventati nel consuetudinario provincialismo persino di piccole comunità locali. Il progresso, ma più semplicemente il cambiamento, dal momento che questa opposizione è generalizzata e non risparmia qualsiasi forma di realizzazione tecnologica comprese 
forme storiche ed obsolete, quali quelle relative allo sfruttamento del vento, viene visto come fattore di sconvolgimento, di pericolo, di potenziale minaccia, di diabolica intrapresa da cui non può che scaturire la vendetta divina. Certo, questo è un indice di società arretrata, per molti versi 
oscurantista ed antindustriale, di tradizioni 
antiscientifiche in parte derivanti da una cultura di umanismo contrapposto alla scienza, in parte da 
retaggi di religiosità popolare. Ma cosa hanno fatto, in particolare nel recente passato, quanti hanno 
promosso iniziative in nome della laicità, del pensiero scientifico, della libertà di ricerca? Assolutamente nulla di producente, anche e soprattutto per un 
approccio che si è rilevato 
superato e controproducente. Cosa è avvenuto nel dibattito che ha preceduto, proprio per rimanere in tema, il cosiddetto referendum sulla fecondazione assistita? Coloro che si proponevano come paladini di 
liberalismo laico e, in suo nome, invocavano la libertà di ricerca scientifica, hanno finito con il comportarsi da veri e propri 
talebani del laicismo, sforzandosi di conculcare il sacrosanto e inalienabile diritto di espressione del proprio pensiero di chi esprimeva opinioni o convinzioni diverse, piuttosto che 
spiegare le proprie e convincere il pubblico a favore delle proprie tesi. A mio avviso è una forma di 
oscurantismo medioevale anche quella di negare ai rappresentanti confessionali il diritto di esprimere e propagandare il proprio pensiero, di parlare, con metafora calcistica, 
“di interventi a gamba tesa” ogni qualvolta un qualificato 
esponente religioso esercitava il suo diritto, inalienabile per chiunque in una società liberale, di 
esprimere e divulgare il proprio pensiero. La libertà è un valore universale che va rivendicata e difesa in assoluto, 
“erga omnes”, non solo a proprio esclusivo uso e consumo; altrimenti si cade 
nell’intolleranza assolutistica che noi laici rimproveriamo alle religioni. Il risultato referendario è stata anche la conseguenza di questo 
fondamentale errore: di essere 
apparsi alla parte più aperta dell’opinione pubblica italiana 
gli integralisti di turno, bigotti ed oscurantisti su posizioni laiche di fronte ad una 
Chiesa che, al contrario, è apparsa 
più aperta e dialogante, persino liberale, nella promozione delle sue verità assolute. Il confronto sarà sempre più difficile perché 
l’attuale pontefice è persona di grande intelligenza e di razionale approccio, attento persino agli atteggiamenti del modo di comunicare ed ai loro effetti sulle opinioni pubbliche. Queste considerazioni portano ad 
esortare le forze laiche a fare una profonda autocritica, a rivedere il loro 
approccio e, al limite, a 
rinnovare la propria classe dirigente se questa è incapace di adattarsi al mutare dell’evoluzione dell’opinione pubblica. 
I digiuni di Pannella – per essere brutali – non sono più un’arma efficace, perché, al limite, la sua eventuale morte per inedia non avrebbe oggi ripercussione alcuna, se non addirittura 
liberatoria. La controprova è stato l’ultimo digiuno sul numero delle firme per la presentazione di nuovi simboli elettorali. La carta da giocare è, invece, 
la qualità delle argomentazioni e l’umiltà di comunicarle alla gente confrontandosi con le diverse opinioni, sia laiche che confessionali. In questa maniera si può rendere omaggio alla testimonianza di 
Luca Coscioni ed a quella meno drammatica di quegli scienziati che 
sono impegnati per la libertà di ricerca scientifica e per il progresso dell’umanità. Sapranno però 
diventare liberali i tanti suoi sedicenti paladini, o dovrà invece attendersi un 
ricambio di mentalità e di approccio, peraltro difficile da attuare perché il potere è potere in tutte le strutture ed, una volta radicato, 
si chiude in se stesso e tende a perpetuarsi attraverso la creazione di cloni, non di 
nuovi leader affermatisi attraverso la dialettica interna?
			    
Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 3 marzo 2006