Andrea Accolla

Il fenomeno del turismo 'low cost' sta rimodulando il profilo urbanistico delle città italiane, con una forte spinta che trascina con sé dubbi e contraddizioni circa lo scenario abitativo e commerciale che stanno assumendo i vari centri cittadini. I negozi, dopo stoiche resistenze, si trovano costretti ad abbassare le serrande a causa delle spese gravose e dei magri guadagni, mentre le abitazioni a disposizione per gli affitti transitori, generalmente richieste da studenti e famiglie, aumentano vertiginosamente i costi, a fronte di una domanda sempre più crescente. I quartieri si spogliano del loro tessuto commerciale e culturale, rimanendo in balia della totale mercificazione delle abitazioni da parte dei loro proprietari: suite, mini-appartamenti e bed&breakfast in grado di ospitare turisti senza troppe pretese, sono ormai numerosissimi. E l’attività dell’accoglienza ‘fai da te’ ha raggiunto livelli tali da preoccupare i professionisti del settore dell’ospitalità, consapevoli del potere raggiunto dall’agguerrita concorrenza. Il fenomeno ha avuto origine dal ritrovato entusiasmo vacanziero 'post Covid', che ha spinto le persone a riscoprire il mondo secondo le proprie esigenze, soprattutto secondo le possibilità offerte dal proprio portafoglio. Piattaforme online come AirBnb e Booking hanno fatto il resto, ponendo in contatto domanda e offerta e avviando un processo di conversione abitativa vista come una moderna corsa all’oro. La riqualificazione delle abitazioni, agevolata dai bonus statali e dai notevoli incassi generati nelle aree più richieste, hanno ingolosito molti proprietari, minando l’equilibrio del mercato immobiliare con effetti decisamente negativi. In primis, sulla popolazione studentesca 'fuori sede', alle prese con un’emergenza abitativa che va a sommarsi con quella di tante famiglie che hanno visto il loro contratto d’affitto non rinnovato o addirittura rescisso, talvolta in base a una tempistica che segue il calendario dei grandi eventi nazionali, come per esempio l’anno giubilare in corso a Roma. La fame di case è profonda. Tuttavia, è indiscutibile il diritto dei proprietari di poter gestire i propri immobili secondo esigenze personali, che oggi vertono a un guadagno immediato, piuttosto che sull’impegno a contrattualizzare, in modalità pluriennale, inquilini potenzialmente morosi e a destreggiarsi tra iter giudiziari e burocratici farraginosi. Una tale 'polveriera' necessita di una regolamentazione normativa, come accade nelle principali capitali europee. Barcellona è stata l’apripista, in tema di sanzioni, attraverso atti ufficiali come l’annunciato mancato rinnovo di oltre 10mila licenze, a partire dal 2028. In Italia, si registrano iniziative a livello comunale come nel caso di Firenze, che ha irrigidito controlli e sanzioni, scoraggiando le attività di lucro legate agli 'affitti brevi'. Solo con la legge di bilancio, attualmente in discussione al Senato, sono previsti atti concreti, come l’aumento della ‘cedolare secca’ dal 21 al 26% per gli “affitti brevi”. Il Governo Meloni, dunque, tenta di arginare l’emergenza abitativa incentivando gli affitti con contratto transitorio, mediando indirettamente tra l’impresa privata e il diritto all’abitazione. Ma il fenomeno richiederebbe interventi radicali, come l’avvio di progetti di edilizia popolare, la gestione trasparente delle graduatorie per gli assegnatari, l’individuazione di incentivi per l’acquisto delle case che abbracci una platea più ampia. Regolamentare il turismo di massa non significa frenare l’accoglienza, ma restituire equilibrio alle città. Limitare gli ‘affitti brevi’ e ridurre la pressione turistica è un primo argine contro lo svuotamento dei centri storici, che rischiano di trasformarsi in scenografie senz’anima. Solo preservando la residenzialità e favorendo una convivenza tra abitanti e visitatori, si può evitare che intere aree urbane diventino 'quartieri-dormitorio’ o, peggio, parchi a tema del passato.


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