Nel mondo che ci è toccato vivere, la realtà non è più un fluire organico di eventi spontanei. È un copione, un teatro delle ombre diretto da registi senza volto, orchestrato sotto la regia invisibile di un potere profondo, silenzioso, eppure onnipresente: il 'Deep Power'. Le crisi non esplodono più: si accendono con precisione chirurgica, come fuochi artificiali preparati nei laboratori dell'ingegneria geopolitica. I conflitti non sorgono da rivalità storiche, ma da esigenze logistiche, necessità di bilancio, aggiornamenti al piano generale.
“Nulla è più difficile da sopportare che una serie di giorni felici" (Johann Wolfang Goethe)
Prendiamo l’ultimo fatto. Il nuovo Stato islamico di Siria – apparso come un fungo velenoso nella terra già devastata del Medio Oriente – non è un errore della Storia, ma una sua funzione: un esperimento. In pochi giorni dalla sua proclamazione, ha mostrato il suo volto: un attacco feroce alla chiesa di Sant’Elia a Damasco. Un massacro rituale travestito da atto di guerra. Sangue e polvere su pietre millenarie, con l’eco di preghiere spezzate, nel silenzio tombale dell’indifferenza globale. Il pontefice, dal suo trono dorato in Vaticano, invia parole: solo parole. Benedizioni remote, appelli alla pace pronunciati post mortem, come corone di fiori lasciate su una bara già chiusa. Il messaggio è chiaro: le parole non fermano i proiettili. E chi siede ai gangli del potere – quelli veri – non teme le omelie: le tollera, le include nel palinsesto. Sono parte dello spettacolo.
"Tutti i grandi eventi e personaggi della storia si presentano due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa" (Karl Marx)
Ma chi sono questi nuovi burattinai? Non hanno nomi noti, né appaiono nei telegiornali. Nessun volto: solo sigilli digitali. Fondazioni, think tank, consigli sovranazionali. Parlano un linguaggio tecnico, asettico, fatto di interventi 'mirati', 'stabilità regionale', 'equilibri macroeconomici'. Le loro firme non macchiano documenti, ma algoritmi. Le loro decisioni disegnano le mappe, regolano i mercati e autorizzano, con un click, guerre, carestie, e crolli economici.
"La politica è l'arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda" (Paul Valéry)
La democrazia è ridotta a rito. Una scenografia, un’illusione condivisa per dare al popolo la sensazione di avere voce. Votare è diventato come urlare in un teatro vuoto. La rappresentanza è solo un filtro, un diaframma tra la verità e l’apparenza. Il popolo, infatti, è mero spettatore. Vota, discute sui social, si commuove per qualche immagine, poi torna a consumare, a lavorare, ad anestetizzarsi nel ciclo eterno del 'prossimo problema'. E intanto, chi comanda davvero se la ride. Non perché siano pazzi, ma perché hanno vinto: hanno fatto della distopia una 'norma accettata'.
“La libertà è la schiavitù che si è imparati ad amare” (George Orwell)
Non basterà più invocare la pace. Quella parola è stata svuotata, corrotta, usata come pretesto per fare la guerra. Servirebbe un reset del potere: un risveglio, una rivolta delle coscienze, prima ancora che delle piazze. Serve disinnescare questa macchina del controllo, dove ogni evento è una tessera di un puzzle che solo pochi possono vedere per intero.
"Ribellarsi è giusto, disobbedire è dovere" (Don Lorenzo Milani)
Fino a quando non si metterà mano al sistema stesso – e non solo alle sue vittime – ogni lacrima, ogni appello, ogni minuto di silenzio sarà solo una cerimonia di complicità. E la Storia, ancora una volta, verrà scritta dai degenerati. Dai programmatori del consenso. Dai progettisti dell’oblio.
"Il sonno della ragione genera mostri" (Francisco Goya)
Postilla
Se state leggendo queste parole e nulla è cambiato, allora sappiate che questa distopia era reale. E che l’unico errore fu restare in silenzio.
"Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che li guardano senza fare nulla" (Albert Einstein)