La preghiera costituisce il momento più profondo ed intimo di connessione con Dio. Un esercizio spirituale che può diventare uno strumento di supporto e aiuto per gli altri. E’ questa la premessa che ha ispirato ‘Gocce di cielo’, il libro di preghiere scritto da Padre Augusto, sacerdote lituano in Italia dal 2013, dopo una dura esperienza di riflessioni derivate suoi vari incontri con tante anime bisognose di una parola di speranza.
Padre Augusto, cosa rappresenta la preghiera per lei?
“Fin da bambino sentivo dentro di me un richiamo: aiutare le persone con la preghiera — e non solo con parole, ma anche con la presenza, con il silenzio, con lo sguardo che ascolta. Eppure, spesso mi chiedevo: “Perché alcune preghiere sembrano non essere ascoltate”? Oppure: “Perché, a volte, il bene che chiediamo non arriva”? Negli anni ho capito che non tutto ciò che desideriamo ci fa bene e non tutto ciò che non accade è assenza di Dio. La verità è che la benedizione non è una formula magica, ma un atto di fede. Se il cuore della persona è aperto, se crede profondamente che Dio possa operare attraverso quel sacerdote, allora l’aiuto arriva, la grazia scorre e la parola funziona. Perché Dio si muove dove trova fede. Al contrario, se si va da un prete pieni di sfiducia, se si chiede solo per ‘tentare’ o per abitudine, senza essere convinti che quel sacerdote possa diventare strumento di grazia, allora è difficile che qualcosa si muova. Così, tra benedizioni, consigli, esperienze e silenzi, ho cominciato ad ascoltare davvero. E da lì è nato un nuovo passo nella mia vocazione: insegnare a pregare. Non solo a dire preghiere, ma a vivere nella preghiera. Non solo a chiedere, ma a credere. Perché quando il cuore crede, anche una sola parola sussurrata all’anima smuove il cielo”.
Come questo desiderio di insegnare la preghiera si è tradotto in Gocce di cielo?
“La risposta è semplice, ma misteriosa: è nato di notte. Come diceva sempre il mio parroco nelle omelie: “Le cose più belle, Dio le ha fatte di notte. Anche il Verbo si è incarnato nel silenzio”. Quella notte pregavo per una persona a me cara, molto cara. Un uomo che stava attraversando una grande prova: un tumore violento, che aveva colpito il suo fegato e che richiedeva un trapianto urgente. Ero solo nella mia cella, ma mentre pregavo, immaginavo il suo corpo martoriato, bisognoso di misericordia. Proprio in quell’istante ho visto con gli occhi del cuore delle gocce cadere su di lui. Non era una visione, ma un’intuizione spirituale. Gocce che scendevano dal cielo e che si posavano sul suo corpo. E lì ho compreso: quando preghiamo davvero, accade qualcosa. Dopo qualche giorno, quella persona mi chiamò. Disse che il trapianto era andato bene. Allora, mi recai a trovarlo in ospedale e lui, appena mi vide, mi confidò: “Padre, so che dormivo, ero sotto anestesia, ma sentivo come se piovesse su di me. Era una pioggia calda e dolce. Mi sembrava che Dio mi lavasse il fegato col suo amore”. Quando lo ascoltai, dentro di me si aprì una certezza: la preghiera è reale, ha forma, ha peso, ha calore. Così è nato il titolo di questo libro: ‘Gocce di cielo’. Perché ogni parola di fede, ogni intercessione autentica, è come una piccola pioggia d’amore che Dio fa cadere sulla carne e sull’anima di chi soffre. Questo lavoro, insomma, non è solo un insieme di testi: è un contenitore di gocce che vengono dall’alto e che io, con umiltà, ha cercato di raccogliere e offrire”.
Il volume, infatti, raccoglie 33 preghiere: questo numero rimanda a qualche significato cristiano?
“Quando ho cominciato a raccogliere le preghiere — che chiamo ‘gocce di cielo’ — non mi ero dato un obiettivo numerico. Scrivevo, pregavo, ascoltavo. E poi scrivevo. Erano preghiere nate da richieste reali, da persone che mi avevano scritto, cercato, domandato aiuto. Alcune erano profonde e dolorose; altre quasi ingenue, ma comunque sincere. Alcune venivano dai bambini, altre da persone anziane, altre ancora da cuori feriti, che non sapevano più come rivolgersi a Dio. Ho ascoltato e risposto pregando. A modo mio, in maniera allegorica, simbolica, come piace a me, perché la mia fede è nata dal rito orientale e, in esso, i segni parlano più delle parole. Poi, un giorno, mi sono accorto che ne avevo scritte 33. Non ne ho volute aggiungere, né togliere, perché ho capito che quello era il numero giusto”.
Quali argomenti o episodi le hanno ispirate?
“Le prime preghiere toccano cose quotidiane, concrete. Le ultime parlano dello spirito, del futuro, del paradiso e del prossimo. Tutto è compreso: ciò che viviamo, ciò che speriamo, ciò che amiamo. A volte, il mistero va solo accolto. Una goccia in più avrebbe rovinato l’armonia, una in meno avrebbe lasciato sete. Dunque, non per scelta, ma perché qualcosa più grande di me le ha dettate. Fino a lì e non oltre”.
Qual è la sua preghiera preferita?
“Come per una madre o un padre tutti i figli sono amati in egual misura, così è anche per le mie preghiere. Non ne ho una preferita: le ho tutte generate in ginocchio, una per una, da un silenzio profondo o da una parola ascoltata col cuore. Però voglio mostrarvi una cosa: prendo ora il mio libro, lo tengo fra le mani come si tiene un breviario e lo apro a caso, senza pensare: si è aperts la Preghiera 7. È la preghiera che mi chiese una donna, che mi scrisse una sera col cuore spezzato: “Padre, non riesco più a perdonare. Non riesco più a sorridere. Scriva una preghiera che parli anche per me.” E io scrissi così: “Donami, Signore, il coraggio di chiedere scusa, la forza di tacere quando serve e la gioia di portare un sorriso dove ora c’è solo amarezza”. Forse oggi, tra tutte, è quella che sceglierei; domani, potrebbe essere un’altra. Perché le preghiere, come le gocce di cielo, scendono dove c’è sete. E il cuore sa sempre dove attingere”.