Vittorio LussanaDivampa all’improvviso la discussione sulla nuova forma di Governo che dovrebbe assumere il nostro Paese a seguito di una possibile riforma costituzionale dello Stato. Personalmente, propendo da sempre per un ‘premierato’ forte, ovvero verso un sistema molto simile a quello tedesco, assai ben organizzato sotto il profilo del proprio ‘equilibrio federalista’, ma comincio a comprendere le finalità concrete di chi si è sempre espresso nella direzione di un sistema semipresidenzialista sul modello francese. Anche se, all’interno di un simile dibattito, mi appare culturalmente più accreditato a  discuterne un Massimo Cacciari, rispetto ai ‘terribili semplificatori’ - tanto per citare un noto concetto di Josè Ortega y Gasset - che popolano il mondo del centrodestra italiano. Questo genere di discussioni, tuttavia, francamente appaiono, allo stato, alquanto vuote e formali. Soprattutto perché prive di quella riflessione di carattere complessivo che dovrebbe inverare o incarnare la Repubblica italiana del futuro. Il vero processo di superamento, l’autentica evoluzione da attuare rimane infatti vincolata all'appianamento di alcuni ‘strascichi’ e di numerosi ‘retaggi’ insiti ancora oggi all’interno della nostra comunità. A sinistra, l’impronta ‘marxiana’ è ancora molto forte nella sua influenza, mentre negli ambienti moderati albergano svariate tendenze e condizionamenti filosofico-morali che discendono direttamente dalla visione della teologia cattolica. Ambedue tali ‘mondi’ sono destinati a essere superati, poiché la vera ‘porta stretta’ che il nostro Paese e l’intera Unione europea debbono cercare di ‘imboccare’ è quella di una moderna e condivisa ‘laicità spirituale’. Il pensiero di Karl Marx può essere scisso in una visone storica - ovvero in uno storicismo filosofico - e in una metafisica astratta. Egli sostituì all’idea hegeliana la materia, ma nel far ciò incorse in un’evidente contraddizione, data l’impossibilità logica di una filosofia della Storia del relativo, dell’a posteriori. Il materialismo storico, infatti, è sempre stata una mera derivazione dell’hegelismo. Uno dei risultati più validi del pensiero del filosofo di Treviri fu certamente il concetto di prassi, che eliminava il dualismo tra teoria e pratica, tra conoscere e fare. Infatti, secondo tale concetto, la conoscenza non può mai essere disgiunta dell’esperienza, poiché essa si scopre man mano che si realizza. Ma quest’idea, per quanto ingegnosa, era vecchia quanto l’idealismo stesso e potremmo persino tracciarne il percorso da Socrate sino a Hegel, passando per Platone e per Vico. Il marxismo si è conformato come un materialismo ‘dualista’ poiché nato dallo spiritualismo hegeliano, per asserire, alla fine, la sua contraddizione pratica sia in termini economici - come la stessa esperienza cinese e la cosiddetta ‘doppia economia’ di Cuba hanno storicamente dimostrato - sia sotto il profilo eminentemente sociale. Possiamo certamente chiederci, a questo punto, se la concezione materialista della Storia sia stata, per lo meno, una filosofia della Storia. Ma anche in questo caso, l’affermazione positiva è un qualcosa di puramente formale, poiché Marx ha dedotto da Hegel la forma dialettica grazie alla quale determinare a priori il corso dello sviluppo storico nella sua necessità, formulando così la possibilità di previsione della sua direzione nei suoi tratti generali ed essenziali. Ciò rappresenta il vero carattere scientifico e non utopistico del materialismo storico. Tuttavia, nella dottrina di Karl Marx quel che rimane essenziale del processo storico è la materia, cioè il fatto economico, non l’idea, come invece per Hegel. Su questo punto, il marxismo ha dunque manifestato la propria insufficienza rispetto all’hegelismo: per Hegel, l’idea non trascende la materia, bensì rappresenta l’essenza del reale, la quale comprende, al suo interno, la materia stessa in quanto momento relativo. Ritenendo, invece, la materia - che è relativa - diversa dall’idea - che viceversa è assoluta - e scambiando il relativo con l'assoluto, i marxisti hanno sempre attribuito a ciò che era relativo la funzione dell’assoluto. E, dato che l’assoluto si sviluppa dialetticamente e che tale sviluppo è determinabile a priori, sono sempre giunti alla conclusione, errata, di considerare determinabile a priori anche ciò che era considerabile come meramente empirico, cioè la materia, il fatto economico, ritenendo prevedibile quel che non poteva esserlo. Tutto ciò non appartiene alla filosofia della Storia: il fatto è di pertinenza della storiografia, che si occupa di quel che è già accaduto, non della filosofia storica. Come scrisse giustamente Benedetto Croce: “Il marxismo è solamente un buon paio di occhiali”. Dal punto di vista filosofico, il materialismo storico è stato solamente una deviazione del pensiero hegeliano, poiché ha concepito una dialettica determinabile a priori del relativo. Certamente, Marx mantiene, ancora oggi, dei meriti: ha criticato il materialismo tradizionale, che concepiva l’oggetto come un dato e non come un processo in divenire e il soggetto come una visione o rappresentazione passiva dell’oggetto stesso. Il maestro di Treviri, invece, ha concepito l’oggetto in quanto intrinsecamente legato all’attività umana: è cioè la prassi umana a modificare e a produrre l’oggetto, il quale a sua volta modifica anche il soggetto in modo che l’effetto reagisca sulla causa e il loro rapporto si rovesci, rendendo l’effetto ‘causa della causa’, che dunque diviene effetto pur rimanendo causa. In questo consiste il cosiddetto ‘rovesciamento della prassi’: essa aveva come principio il soggetto e come termine l’oggetto. Rovesciandosi, si torna dall’oggetto (principio), al soggetto (termine). Per Marx, insomma, era l’individuo sociale a essere reale, ma esso non può sciogliersi dai vincoli della società, la quale è effetto stesso della sua prassi. E lo studio della prassi sarebbe possibile, a priori, solo in virtù del ritmo dialettico che la caratterizza. Su questa base è appunto possibile determinare a priori lo sviluppo della Storia, ossia costruire una buona filosofia della Storia, uno ‘schema a priori’, per l’appunto. Lo sviluppo della prassi, infatti, non può non produrre divisioni della realtà, cosicché la lotta di classe non diviene più un fatto accidentale, bensì arriva a possedere uno sbocco inevitabile. Ma se così è, allora la filosofia della Storia di Marx è caratterizzata dal determinismo o, addirittura, dal teleologismo (o da ‘machiavellismo’…). Marx è indubbiamente stato un filosofo prima che un rivoluzionario. Ma dato che una filosofia è confutabile solo filosoficamente, proprio dal punto di vista filosofico il marxismo presenta il ‘radical vizio’ di un’indebita mescolanza tra schemi razionali a priori e determinazione del contenuto della Storia a posteriori. A cominciare dal fatto economico, che è puramente empirico. L’errore di Marx è dunque consistito nell’aver preteso di trasportare la Storia, che è propria dello spirito, nella materia. Ma proprio il materialismo settecentesco aveva dimostrato l’inconciliabilità di questi due princìpi, cioè della forma identificata con la prassi, con la materia, che in realtà è inerte. Il marxismo si è configurato come un ‘eclettismo’ composto da più elementi in contraddizione tra loro. Il pensiero non è affatto una forma derivata e accidentale dell’attività sensitiva: al contrario, è proprio il pensiero a essere reale, poiché pone l’oggetto. O il pensiero è e pensa, o non pensa e, allora, non è pensiero, poiché quando il pensiero pensa, esso ‘realizza’. A questo punto, appare evidente come la laicità superi il marxismo, poiché quest’ultimo si è caratterizzato in quanto empirismo teleologico e determinista. Ma la stessa cosa avviene anche nei confronti del moderatismo cattolico: la Chiesa, in quanto comunità espressione dell’ordine della ‘grazia’, è tenuta a fondare una nuova condizione politica dell’umanità, nella sostanza una nuova Storia, trasformando la società civile in anticipazione escatologica indirizzata verso una nuova cristianità. Questa trasformazione della società potrebbe infatti condurre le strutture civili stesse a esprimere i valori sostanziali del cristianesimo attraverso la via di una ‘laicità condivisa’, ovvero rifuggendo il più possibile ogni forma di cristianizzazione esteriore, puramente formale, legata a mere simbologie. Abbracciando una moderna concezione della laicità impregnata di valori interiori e spirituali, i cattolici potrebbero sentirsi maggiormente tenuti, nel giudizio relativo, ai reali compiti dello Stato, che non può essere, in via esclusiva, promotore di comandi giuridici, bensì di una vera e propria ‘reformatio’ del corpo sociale, facendo prevalere il metodo dell’azione organica rispetto alle manovre intestine o ai compromessi ambigui. Ciò permetterebbe con facilità anche ai cittadini che si riconoscono nelle radici culturali cristiane di approdare prioritariamente, sul terreno dei princìpi, all’inalienabilità della persona umana, reindirizzando ogni genere di teorizzazione alla strutturazione di un quadro più moderno e universale di diritti civili e sociali. Reindirizzare in tal senso la politica cattolica italiana ed europea darebbe inoltre modo alla Chiesa di vedersi reintegrata, a tutti gli effetti e a pieno titolo, nel dibattito politico-culturale relativo alla futura costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Discussione dalla quale, allo stato, essa appare sostanzialmente marginalizzata, poiché giudicata per i suoi errori di mera ‘autenticazione’ della realtà sociale, laddove questa prevede un’evidente incoerenza sostanziale tra prescrizione e comportamenti. Questo tipo di ‘scollamento’ viene ambiguamente accettato e autenticato dalla Chiesa, che fa finta di non vedere poiché non intende fornire riconoscimenti pubblici a nuove forme giuridiche di libertà del cittadino. Ma così facendo, la Chiesa rimane inchiodata alle proprie ambiguità, alle doppiezze imposte da una modernizzazione mal regolata, non governata, chiudendosi in quanto gerarchia curiale dietro una lunga serie di divieti puramente formali, certificando indirettamente gli indirizzi più illeciti o anarchici. Questo problema non incontra la fede in una chiave strettamente teologica, bensì sotto un profilo schiettamente politico. Un aspetto che necessita con urgenza un nuovo protagonismo di realtà partitiche e culturali attraverso le quali la Chiesa non solo potrebbe rappresentare, ma fattivamente indirizzare, la società verso la cristianizzazione. In tempi in cui nessun modello alternativo di società si pone coerentemente e strutturalmente in una posizione di confronto dialettico con un capitalismo ‘sleale’ e ‘debordante’, che proprio non intende far rientrare la logica del profitto all’interno di un ‘contorno etico’ di società, ciò non rappresenterebbe affatto un dato di poco conto. Il confronto tra indirizzi giuridici cattolici e laici andrebbe dunque riportato su questo ‘terreno’: quello di una laicità intrisa di valori cristiani in cui la prima potrebbe riconoscere i princìpi spirituali dei secondi e, viceversa, veder riconosciute una serie di istanze modernizzatrici. La laicità, infatti, si distingue nettamente dal materialismo e dal relativismo, poiché essa rappresenta una nuova etica della convinzione. Tutta la realtà è spirito sottoforma di ‘idea’, in cui nulla al di fuori dello spirito stesso esiste realmente. La stessa filosofia non è altro che la vivente autoconsapevolezza dello spirito insito nell’idea del singolo individuo. La Storia stessa si identifica con la filosofia, mentre volontà e sentimenti si sovrappongono perfettamente all’idea. Tutto il complesso delle norme logiche, giuridiche e morali, così come lo spazio, il tempo e il mondo fisico, divengono ‘astrazioni’, che acquistano realtà e concretezza in quanto perennemente riassunti nello spirito che muove l’idea. Il protagonista di questo spiritualismo idealista è l’Io ‘trascendente’, di cui i singoli individui non sono altro che incarnazioni contingenti, astrazioni anch’essi che si fanno realtà in quanto riassorbiti e risolti nella concretezza dell’unico ‘Io’. L’Io è la sintesi di una tensione dialettica incessantemente superata e superabile in cui il momento della pura soggettività, l’arte, si oppone al momento della pura oggettività: la religione. Arte e religione sono anch’esse astrazioni, che si realizzano praticamente solo nella concretezza dello spirito, il quale si manifesta sempre attraverso l’idea. Tale visione della spiritualità laica possiede una serie di interessanti risvolti pedagogici, che riducono l’educazione a semplice ‘autoeducazione’, parificando ‘democraticamente’ il momento della docenza con quello dell’apprendimento, mentre sul fronte politico essa può considerarsi essenzialmente una dottrina liberale in senso puro - né autoritaria, né tantomeno conservatrice - idealisticamente persuasa dell’inveramento della società civile nello Stato, inteso quest’ultimo in quanto ente che si realizza nell’interiorità dell’uomo. Tutto ciò non porta affatto al superamento di ogni distinzione fra pubblico e privato, ma più semplicemente a una propensione per lo ‘Stato forte’, storicamente più collimante con le attuali esigenze politiche e culturali del nostro Paese. A dimostrazione che, prima ancora di una rivoluzione ‘tecnica’ del nostro ordinamento giuridico, servirebbe una grande trasformazione culturale e spirituale degli italiani. Solo all’interno di un simile ‘contenitore’ - che in realtà è contenuto – possono divenire possibili tutte, o quasi, le trasformazioni giuridiche che il caso italiano ed europeo impongono. Solo all’interno di un quadro universale di princìpi laicamente condivisi diviene infatti realizzabile ogni mutamento giuridico-formale, così come l’effettiva libertà del singolo cittadino.




Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it
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Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - giovedi 13 giugno 2013 12.4
RISPOSTA AL SIG. CADORNA: grazie infinite per i suoi complimenti e per come ci segue sempre con interesse.
Cordialmente.
VL
carlo cadorna - frascati - Mail - lunedi 10 giugno 2013 5.3
Il Suo ragionamento è corretto e profondo: complimenti vivissimi!
Cristina - Milano - Mail - domenica 9 giugno 2013 19.51
Bellissimo excursus socio-filosofico, reminiscenze classiche, Hegel e Kant e la critica della ragion pratica, pura e del giudizio. Aspetti intramontabili dell'individuo.


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