Luca BagatinE’ passato un anno dalla tragica morte di Roberta Tatafiore, la militante dei diritti civili delle donne e delle prostitute, la libertaria, la sociologa, la scrittirice, la giornalista eclettica. Una morte che lei stessa ha cercato, voluto, pianificato. E così, alla fine, Roberta ci ha lasciato un diario, pubblicato nei giorni scorsi dalla Rizzoli: "La parola fine - diario di un suicidio". Un diario profondissimo, nel quale parla, senza pudori, della "composizione della sua morte". Toccante è anche l'introduzione-biografia dello scrittore e giornalista Daniele Scalise, già militante dei diritti civili degli omosessuali e contro le discriminazioni razziali. Scalise traccia i primi anni della Tatafiore, nata a Foggia nel 1943, in piena Seconda Guerra mondiale, sotto i bombardamenti degli Alleati. Racconta dei rapporti con la madre, con le sorelle e con il padre che sarà poi - nel 1960 - ucciso da un operaio uscito di senno della fabbrica nella quale lavorava. Sarà questo che, forse, segnerà la vita di Roberta. Ma sarà anche la sua profonda sensibilità a tratti "mortifera" e "suicidaria", come afferma lei stessa nel suo diario. E via via, gli anni '70 di Roberta Tatafiore, come giornalista femminista per il giornale "noidonne", di ispirazione social-comunista e la sua militanza nell'Unione Donne Italiane. Roberta Tatafiore, come ricorda Scalise, studierà successivamente il tedesco e sarà la curatrice e traduttrice italiana del celebre best seller "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" di Christiane F., che racconta la storia di questa ragazza dalla vita difficile fra tossicodipendenza e prostituzione. Negli Anni '80, sarà la stessa Tatafiore a occuparsi di prostituzione, con l'incontro - a Pordenone - di Pia Covre e Carla Corso, fondatrici del Comitato per i Diritti Civili delle Prostutite (con il quale, ironia della sorte, collaborai io stesso una decina d'anni fa). Con Carla e Pia fonderà dunque il periodico "Lucciola" e, come sociologa, studierà a fondo il fenomeno, ponendosi sempre dalla parte delle prostitute, dei loro diritti e affermando sempre: "E Dio non voglia che arrivi anche da noi una legislazione come quella svedese, contro il "cliente" e per la rieducazione delle prostitute"! Arriverà dunque a collaborare, come consulente, con il ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco per la stesura di una legge per la depenalizzazione della prostituzione. Legge che, tuttavia, non arriverà mai. L'impegno militante di Roberta Tatafiore nell'ambito dei diritti civili proseguirà negli anni '90 con la vicinanza ai Radicali che, nel 1994, si stavano avvicinando al nascente movimento di Silvio Berlusconi e nel 2000 sarà fra i fondatori di Polo Laico, assieme a Marco Taradash, Giovanni Negri, Arturo Diaconale, Davide Giacalone, Vittorio Sgarbi, Alessandro Lozzi, Peppino Calderisi, Vittorio Lussana e altri: per un centrodestra laico, liberale e libertario. Il progetto naufragherà presto per l'indisponibilità di Berlusconi a candidare in parlamento rappresentanti dell'area laico-liberale. Roberta inizierà dunque a collaborare a testate quali ‘l'Indipendente’, diretto da Giordano Bruno Guerri, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’ e, infine, per ‘Il Secolo d'Italia’ - quotidiano di Alleanza Nazionale - curando la rubrica ‘Thelma & Louise’ assieme a Isabella Rauti e affermando - nel suo stesso diario - "Mi piacciono la direttrice (Flavia Perina n.d.r.) e il vicedirettore di questo stravagante foglio di ‘fronda e di governo’, perché scrivere per l'unico quotidiano di destra che opera un’intelligente rivisitazione della cultura fascista mi interessa, perché Gianfranco Fini è il politico più laico e sagace del momento". Sarà profetica. E proprio alle pagine de ‘Il Secolo d'Italia’ affiderà la sua difesa estrema del diritto all’eutanasia, con particolare riferimento al ‘caso Eglaro’, che sarà l'ultimo ad appassionarla politicamente. "La parola fine - diario di un suicidio" è dunque un documento toccante. Nel leggerlo non si può non riflettere sulla vita, sulla morte, sul "a chi appartiene la vita"? E non si può non commuoversi, non rimenerne rapiti. Roberta Tatafiore programmò di scriverlo il 1 gennaio del 2009 e di concluderlo il 31 marzo. Poi, si sarebbe tolta la vita in un albergo dell’Esquilino, poco lontano da casa sua, con l’assunzione di barbiturici. La sua è stata, dunque, una scelta meditata, consapevole. "La parola fine" è l’unico e ultimo documento che ci rimane di una donna che ha voluto presentarci il suo suicidio come "gesto politico", ovvero, come lei afferma libertariamente: "Il salto nel vuoto di chi non sa adeguarsi alla norma. A chi appartiene la vita? Alla società? A Dio? A noi stessi? Credo che la vita appartenga a ogni individuo libero di affidarla a chi vuole in base a ciò che gli suggerisce la coscienza". E’ la frase che conclude, nel retro-copertina, il diario di Roberta Tatafiore, una donna coerente sino alla sua ultima, estrema, scelta.




(articolo tratto dal blog www.lucabagatin.ilcannocchiale.it)
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