Vittorio Lussana

Io potrei anche tentare di demistificare la reale situazione storica dei Vangeli cattolici o la figura del Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal Cattolicesimo e dalla Controriforma. Ma come potrei cercare di demistificare il problema della sua nascita e della sua morte? Della religione cattolica, ciò che è impossibile riuscire a ridimensionare è quel tanto di irrazionale, di religioso appunto, che vi è nel mistero forse più grande dell’intera storia dell’umanità. Tuttavia, le mie idee, riguardo alla pretesa di ‘pura oggettività’ della religione, non prendono mai le mosse dalla volontà di mettere in discussione dogmatismi o miti, ma si riferiscono, in primo luogo, alla questione della nascita, della vita terrena, del sacrificio e della morte del figliolo del falegname di Nazareth. Sotto quest’ottica, il figlio di Dio che viene al mondo per annunciare all’intera umanità che si deve morire per avere in dono la vita eterna perché noi, qui sulla Terra, siamo solo di passaggio, rappresenta una ‘forma’ che si tramuta nel linguaggio stesso della nostra esistenza, il concetto di fondo attraverso il quale ci esprimiamo e a cui attribuiamo la massima importanza. Riflettendo intorno a tutto questo, ogni filtro razionalistico laico finisce con il dover ammettere che il linguaggio della religione, in realtà, è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzioni di continuità. Non casualmente, credo, Pier Paolo Pasolini si affidò alla musica per sottolineare le vicende più significative del suo ‘Vangelo secondo Matteo’. In particolare, alle scene della passione di Gesù egli associò la ‘Musica funebre massonica’, una delle più alte creazioni di Mozart mediante la quale il grande compositore austriaco intese esprimere la propria idea della morte: nessuna titanica lotta contro un destino ineluttabile, bensì una cara amica, l’esorcismo di un dolore per una separazione da cui non lasciarsi sopraffare. Nel Gesù di Pasolini vi è un solo momento della lunga sequenza della crocifissione in cui il racconto non è affidato al solo binomio ‘immagini-musica’, quello in cui Cristo pronuncia le parole: “Voi udrete con le orecchie ma non intenderete, vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile”. Inoltre, tanto per rimanere ancora un momento nell’ambito delle scelte musicali operate da Pasolini nel suo ‘Vangelo’, ho sempre giudicato degno di nota l’accostamento delle ultime scene del film (Maria che si reca insieme ad altri alla tomba del Figlio, il sepolcro che si apre e il Cristo che non è più avvolto nel sudario, poiché è risorto) con il ‘Gloria’ di una messa cantata congolese! Nel canto, il testo è in latino, ma la musica ha tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folclore africano, quasi a sottolineare l’universalità dei sentimenti religiosi più profondi. Un laico tende per natura ad interessarsi maggiormente alla figura umana, più che a quella divina, del Cristo, poiché ne apprezza le reazioni di rabbia contro l’ipocrisia e la falsità. Il Cristo dei laici è dunque sorretto da una forte volontà di redenzione per le vittime della istituzionalizzazione politica della religione operata dai Farisei, contro quei “sepolcri imbiancati” che l’hanno adottata quale strumento di repressione sociale. In pratica, il Cristo dei laici non venne a “portare la pace, ma la spada”, affinché sia possibile accedere al regno di Dio con un cuore puro. Ciò rende, naturalmente, Cristo un ‘rivoluzionario’. Tuttavia, nelle mie riflessioni sul concetto di Rivoluzione, mi è sempre apparsa un’idea piuttosto ‘bizzarra’ quella tesa a raffigurarla come un fenomeno realizzabile tramite la violenza fisica o da dietro delle barricate. Anzi, ritengo tale concezione una suggestione ‘antistorica’. Nel particolare momento in cui Cristo ha vissuto, dire alla gente: “Porgi al nemico l’altra guancia” ha rappresentato un concetto di un anticonformismo clamoroso, un vero e proprio scandalo. Dunque, ho sempre ritenuto la figura di Gesù come rivoluzionaria soprattutto in questo senso. Essere laici, in particolar modo in Italia, significa non essere cattolici nel senso restrittivo e condizionante di questo termine, non avere cioè, nei confronti dei Vangeli, né le inibizioni di un cattolico praticante (inibizioni in quanto terrore per delle mancanze di rispetto), né quelle di un cattolico ‘inconscio’, che teme il cattolicesimo stesso come ‘ricaduta’ della condizione conformista e borghese da lui superata attraverso una moderna concezione della laicità. Pertanto, da simili premesse possiamo cominciare a trarre una serie di importanti considerazioni di principio: la laicità, come la religione, non è una filosofia ‘materialista’. Anzi, in essa si intravedono momenti di idealismo, di disperazione, di volontà conoscitiva e di fede, elementi, insomma, tipici della religione. Dove scienza e religione divaricano rispetto al proprio sentiero comune è sulla questione del mistero, poiché la laicità può avere finalità ‘poetiche’, ma non prevede nessuna incursione nel terreno del miracolismo o del mero ritualismo dogmatico. Tuttavia, la laicità, pur dissociandosi da quegli elementi materialistici che la rinchiuderebbero in uno schematismo ideologico, non può nemmeno considerarsi una filosofia più di tanto ‘storicista’ o relativista, poiché tende a volgere il proprio sguardo in avanti sino a raggiungere una ‘forma’ di idealismo poetico, di immanenza spirituale, tale da assumere il Cristo non in quanto Figlio di Dio ma, più semplicemente, come un personaggio dall’immensa natura umana. In Cristo, mai l’umanità è stata così alta, rigorosa e ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità stessa. Da non cattolico, un laico può tranquillamente trarre dal Vangelo indicazioni di altissimo valore spirituale proprio grazie al proprio ‘distacco’, per la mancanza di quelle inibizioni – il filosofo siciliano Giovanni Gentile le avrebbe definite “contaminazioni formali” - che, invece, generalmente mantiene un cattolico ‘conformista’. In tal senso, un laico è libero da qualsiasi schematismo e, proprio per questa ragione, è maggiormente in grado di comprendere appieno la profonda crisi di quel razionalismo ‘ideologico’ verificatasi nel ‘900, una crisi avvertibile non solamente nella letteratura, ma individuabile anche in molti scrittori e nelle stesse incertezze del mondo contemporaneo. Una crisi che può assumere i contorni di una regressione irrazionalista verso forme di religiosità che oserei definire ‘estreme’, che rischiano di andare ben oltre l’irrazionalismo ‘fideista’ fino a sconfinare nel misticismo ascetico, scavalcando persino l’ortodossia più rigida. Ma un uomo che venne al mondo con il chiaro intento di sacrificarsi per il mondo stesso, non può rimanere prigioniero di una religione della paura, improntata su un dogmatismo ritualista, che ‘mostra il fianco’ al vero relativismo della nostra modernità: quello del mero possesso dei beni materiali come unico scopo dell’esistenza umana. La laicità, in tal senso, può occupare quello spazio lasciato libero dal crollo delle ideologie marxiste. Ciò porterebbe con sé due fattori culturali estremamente importanti: a) ricreerebbe una condizione di sana ‘concorrenza’ nella cura delle anime e nella formazione spirituale dei cittadini; b) rilancerebbe una ‘sfida’, questo indubbiamente sì, al cuore del mondo cattolico, imperniata sul grado di duttilità necessaria ad affrontare le questioni più controverse della modernizzazione. In base ad una simile prospettiva, tuttavia, la laicità non sarebbe destinata a subire la propria ‘crocefissione’, poiché assumerebbe un ruolo tutto sommato complementare a quello della religione, rendendola persino più attuale, più adatta ai nostri tempi. Insomma, se il cattolicesimo di Ratzinger intende mantenere le proprie posizioni, non è detto che ciò possa rappresentare, di per se stesso, un male per la diffusione della laicità. In quanto fede. Buon Natale a voi tutti.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri' pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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