Antonio Di GiovanniIn questi giorni, le regioni della nostra penisola sono tappezzate di manifesti elettorali colmi di slogan che inneggiano al cambiamento, auspicando e promettendo l’avvento di un’altra Italia nuova, più moderna e dinamica. Ma nessuno che suggerisca, invece, una nuova figura di italiano, un italiano diverso e, soprattutto, cambiato radicalmente. E’ inutile continuare a cercare una nuova Italia, ma é d’obbligo, a questo punto, cercare la via per un nuovo modello di italiano. La formazione del buon cittadino, che con le sue azioni contribuisce a fare la storia della propria comunità, si intreccia con il ben più complesso percorso della formazione individuale dell’uomo, soggetta, nel nostro Paese, ai turbamenti interiori, a illogicità, a eccessi, a ombre e cattivi comportamenti. Cosa dire, quindi, di una nazione come la nostra che, proprio in questi ultimi anni, si pone con maggior forza agli sguardi e ai giudizi degli altri Paesi? Parliamo troppo, ma scriviamo poco e male e leggiamo ancor meno, immersi nello scatolone televisivo che spara ‘format’ per decerebrati. Io non so se qualcuno se ne rende conto, ma stiamo assistendo a un vero e proprio shock culturale, associato a sentimenti di estraniamento, rabbia, ostilità, indecisione, frustrazione e tristezza. È molto probabile che questo processo porti taluni soggetti a cercare contatti solamente con persone dello stesso background culturale. Stesso discorso vale per tutti coloro che sono coinvolti in notizie di corruzione, concussione, favori in cambio di prostitute, in breve una serie di atteggiamenti compiuti da personaggi delle istituzioni, importanti manager di aziende e personalità in vista, che contribuisce fortemente all’impoverimento della figura stessa dell’italiano, fino a lederne l’orgoglio di appartenenza a una nazione. Tutti pronti a giudicare e, al contempo, tutti pronti a chiedere favori rivolgendosi all’usciere di turno per ottenere il numeretto più basso per fare meno fila, o al politico più importante per il classico posto di lavoro o per l’appalto. Cattive abitudini che rispecchiano, a diversi livelli, un malcostume nostrano, praticato da quegli stessi italiani impegnati a dare di sé un’immagine ‘bigottamente per bene’, scagliando giudizi più o meno severi sull’operato altrui. Cambiare l’italiano dovrebbe essere l’imperativo categorico della società contemporanea, per non vedere più il furbetto, l’opportunista, l’evasore, il menefreghista. Diciamoci la verità: qualcuno deve pur pensare a cambiare atteggiamento per far sì che l’Italia sia davvero diversa. In politica come in tutte le sovrastrutture sociali, esiste un sottobosco costituito da semplici cittadini che, in varie vesti, dal grosso imprenditore al semplice impiegatuccio, alimentano il sistema delle corruzioni, dei favoritismi e delle raccomandazioni. Queste affermazioni sono forse da scandalo per il lettore? Se pur vi fosse chi vi trovasse inesattezze, egli non potrebbe certo non ammettere di aver sentito dire almeno una volta nella propria vita: “Lei non sa chi sono io” o “mandami il tuo curriculum, che ci pensa il mio amico politico”. Ecco, dunque, chi sono gli italiani! E noi, siamo anche quelli che abbiamo attività commerciali e due stipendi con un ISEE (Indicatore economico della situazione reddituale) che arriva, stranamente, a non più di 10 mila euro l’anno, riuscendo così a ottenere il buono libri o il buono mensa per la scuola dei nostri figli o a non pagare la tassa sulla nettezza urbana. E ancora, noi siamo quelli che scaricano il contachilometri prima di vendere l’auto, che decidono di infilare in valigia come ‘souvenirs’ gli accappatoi degli alberghi, quelli che se il docente si permette di strillare nostro figlio corriamo subito a scuola per intimargli di non permettersi di farlo mai più. Siamo quelli che parcheggiano in doppia fila, fregandosene di bloccare l’altra macchina regolarmente parcheggiata. Siamo anche quelli capaci di aprire associazioni inutili solo per prenderci dei finanziamenti pubblici. O vogliamo, infine, parlare delle pensioni di invalidità false, con ciechi che guidano l’auto e paraplegici che giocano a tennis? Siamo sempre pronti a lamentarci di non arrivare a fine mese e possediamo, comunque, due telefonini a testa, non meno di 3 televisori lcd a casa, due macchine e, in alcuni casi, abbiamo, in più, anche il fuoristrada, che serve sempre, non si sa mai. Insomma, siamo un esercito di ‘furbetti’ chiamati italiani. All’estero ci vedono proprio così. E ci stigmatizzano allo stesso modo della nostra classe politica e del nostro modus operandi. Ma tranquilli, oggi c’è Facebook!!! Il social network che ci ha fatto diventare tutti dei bravi contadini con “Farmville”, bravi teppisti con “Guerra di bande”, esperti criminali con “Rapitore seriale” e, non ultimo, l’intelligentissimo “Pet Society” grazie al quale apprendiamo la fondamentale arte di far socializzare dei simpaticissimi e rigorosamente virtuali gattini.


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Jodie - Roma - Mail - giovedi 4 marzo 2010 21.3
"il furbetto, l’opportunista, l’evasore, il menefreghista" ...sembra di sentire il grande Totò quando, in "Siamo uomini o caporali", delinea la personalità dei caporali ... passano gli anni, passano le mode, cambiano le tendenze ... ma i "caporali", loro, non cambiano! Perchè, come diceva Totò: "caporali si nasce" ahimé, aggiungo io!!!!
Giancarlo - Roma - Mail - mercoledi 3 marzo 2010 8.34
..."governare gli Italiani non è difficile, è impossibile"...


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