Giovannella PolidoroSecondo il rapporto biennale “Science, Technology end Industry” (STI), pubblicato in dicembre dall’OCSE, che raccoglie diversi indici comparabili a livello internazionale, in Italia nel periodo compreso tra il 2005 e il 2007 si è registrato un calo in materia di investimenti nell’innovazione rispetto al trend degli altri Stati. La scarsa creatività delle imprese italiane non sarebbe, secondo il rapporto OCSE, da mettere in relazione con la crisi globale che ha travolto le economie di mezzo mondo, bensì con le scelte di politica economica ed industriale messe a punto dal governo italiano. Per cui, stando ai dati raccolti dall’OCSE, l’Italia nel 2007 avrebbe destinato alla Ricerca e allo Sviluppo (R&S) solo l’1,1% del PIL, la metà rispetto agli investimenti effettuati, nello stesso periodo, dagli altri Paesi del G7 (2,2%). Il rapporto biennale “Science, Tecnology end Industry” (STI) prende, infatti, in considerazione 5 aree di interesse ben specifiche, ed esattamente: 1) risposte alla crisi economica; 2) crescita competitiva in settori quali: brevetti, connessione alla banda larga, nanotecnologie, biotecnologie e pubblicazioni scientifiche in R&S; 3) sviluppo del commercio economico mediante l’impiego dell’e-commerce e dell’e-business; 4) cooperazione internazionale in Ricerca e Sviluppo (R&S); 5) investimenti nell’economia della conoscenza. Ebbene, dal rapporto biennale OCSE, “Science, Technology end Industry”, si evince anzitutto che: le imprese italiane finanziano solo il 40% degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S), mentre la media tra i Paesi del G7 è del 53%. A livello di crescita competitiva in settori, in Italia i brevetti registrati indicano una maggiore specializzazione nel campo della sanità e delle tecnologie per la salvaguardia ambientale, mentre risultano scarsi se non addirittura inesistenti gli investimenti in nanotecnologie. Inoltre, la percentuale di individui con connessione alla banda larga è fra le più basse dei Paesi OCSE, facendo registrare una percentuale pari al 19%. Riguardo allo sviluppo del commercio economico, le aziende italiane rispetto ai loro competitors sfruttano poco i servizi di e-commerce sia nella fase di vendita (3%) che nella fase di acquisto (12%). I dati sulla cooperazione internazionale in Ricerca e Sviluppo (R&S) evidenziano, poi, il basso numero di brevetti internazionali detenuti sia in regime di “co-patenting”, che si realizza quando due o più inventori provengono da paesi diversi, sia in regime di “cross-border” cioè quando il titolare del brevetto e l’inventore risiedono in due nazioni diverse. L’Italia appare, pertanto, poco coinvolta nelle attività di ricerca internazionale dal momento che le patenti internazionali e quelle di cross-border rappresentano rispettivamente, solo, il 14% e il 7% del totale dei brevetti italiani, contro una media OCSE di oltre il 20% per entrambi i settori. Ad avvalorare questa tesi si aggiunge un ulteriore dato: la scarsa attrattività delle università italiane, poiché, solo il 5% degli studenti stranieri frequenta corsi di dottorato in Italia. Meno compromesso risulta, invece, l’investimento in conoscenza: le performance del sistema educativo italiano appaiono difatti in linea con quelli degli altri paesi OCSE: "Il tasso di laureati per gli uomini è lievemente superiore alla media - conclude il rapporto - mentre il tasso di laureati che completano il dottorato è lievemente al di sotto”. Insomma, in base al rapporto OCSE, il maggiore divario fra l’Italia e gli altri Paesi del G7 si riscontra proprio nel campo dei brevetti industriali, un tempo punta di diamante dell’economia italiana e del made in Italy. Le imprese italiane nel 2009 hanno, tra brevetti e marchi, effettuato circa 9.600 registrazioni, facendo rilevare un aumento rispetto al 2008, del 2%: una percentuale ancora molto bassa rispetto alla media europea e che, comunque, accorcia di poco il gap con gli altri paesi OCSE. Secondo i dati 2009 dell’Ufficio Brevetti e Marchi, diffusi dal Ministero dello Sviluppo Economico, la creatività, nel nostro Paese, sembra avere un diverso andamento anche a livello regionale, rilevando un ulteriore divario. Il 70% delle richieste di registrazione per marchi e brevetti proviene da imprese del Nord, che svolgono attività produttive soprattutto nel settore industriale e terziario. Il Sud, anche sul fronte dell’inventiva, sprofonda in classifica con meno di 2 invenzioni per 100 mila abitanti. Nella classifica nazionale le regioni “più creative”, in relazione alla popolazione residente, sono, infatti, risultate essere: Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. In termini assoluti, se si guarda al numero di domande pervenute alle diverse Camere di Commercio senza tener conto della popolazione, la regione leader indiscussa dell’ingegno italico è risultata essere la Lombardia con ben 2.533 richieste di registrazione per brevetti e marchi. Infine, va rilevato che a sorpresa, la regione meno creativa è stata la Valle d'Aosta, con appena 2 richieste complessive di brevetto in tutto il 2009. Chiudono, poi, la classifica nazionale le regioni del Sud: Molise (1,2), Basilicata (1,4), Sardegna e Calabria (rispettivamente con 1,5).






(articolo tratto dal sito web www.fastweb.it dell'11 gennaio 2010)
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giovanna nuvoletti - Milano Italia - Mail - mercoledi 3 febbraio 2010 18.18
Una situazione drammatica. E lo è per scelta. Perchè chi ci governa non crede nella scienza e nella tecnica. Non crede nella ricerca - forse in astuti escamotage? Peccato, eravamo un popolo sveglio


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