Vittorio Lussana

L’indirizzo schiettamente laico di una linea editoriale viene spesso contestato in quanto mera ‘suggestione’, come semplice orpello decorativo che potrebbe benissimo vedersi innestato in svariati altri distinti contesti ideologici o politici. Ma la laicità non rappresenta affatto una forma di snobismo edonistico, bensì il semplice tentativo di dettare nuove forme di razionalità all’interno di un panorama culturale complessivo alquanto disordinato, se non addirittura astratto. La laicità di un giornale è perciò tendente a generare nuovi punti di riferimento di ‘area’ e non semplicemente politici o di partito, poiché discendono da elaborazioni che cercano di unire, non di dividere. Inserire una linea di questo genere all’interno di un panorama ideologico ‘altro’ rappresenterebbe solo un modo per accreditarsi ideologicamente, come quando ci si presenta con un vezzoso biglietto da visita. Ciò comporta il dato di fatto che un qualsiasi organo di informazione, nell’attuale fase politica, una posizione precisa forse non possa neanche prenderla, perché finirebbe col trovare punti di contatto con ogni tradizione, ma anche precisi e netti luoghi di divisione, se non di vera e propria incomprensione. La laicità della comunicazione non è solamente una connotazione culturale utile, come spesso accade, a darsi un contegno nel corso di un dibattito, bensì la più pericolosa, scomoda ed insinuante accusa nei confronti del mondo politico, sociale e culturale preso nel suo complesso, il quale continua a rifiutarsi di osservare in profondità numerose questioni rinunciando a quei ‘paraocchi ideologici’ che le impediscono di vedere le cose con un più elevato grado di razionalità e di obiettività. Una questione di indagine fondamentale, ad esempio, è proprio quella relativa alla grave crisi culturale e psicologica che attraversa la società italiana da alcuni decenni a questa parte. Una difficoltà che deriva dalla mancata analisi della relazione esistente tra la morale cattolica e uno sviluppo tecnologico dotato di un altissimo grado di scientificità. Si tratta di un terreno scarsamente indagato in quanto viene spesso sottostimato il grado di percezione della natura intrinsecamente culturale della rivoluzione scientifica in atto, la quale non è altro che una nuova razionalità produttrice di valori. Limitarsi a osservarne gli effetti sotto il mero profilo dei cambiamenti di costume rappresenta ben poca cosa: un mero esercizio di ‘colorazione’ della realtà la quale, invece, possiede un proprio ‘scheletro’ di sistema niente affatto ‘neutrale’. E ciò non solamente dal punto di vista dei consumi, ma anche da quello delle nuove regole, dei nuovi comportamenti, dei nuovi bisogni che tecnologia e scienza richiedono o sono in grado di stimolare. La morale, in genere, è dominata dalla questione del ‘controllo etico’ sull’uso degli strumenti tecnologici e scientifici, un approccio che le impedisce di interrogarsi sui nuovi problemi che proprio il dinamismo culturale espresso dallo sviluppo scientifico finisce con l’imporre alla morale stessa e alla sua organizzazione. Gli atteggiamenti più comuni che si possono riscontrare continuano a dar luogo a risposte contraddittorie, in cui trova posto tutto e il contrario di tutto, dalla deprecazione apocalittica all’esaltazione degli aspetti miracolistici del progresso tecnologico, senza naturalmente dimenticarsi di passare attraverso il trasalimento mistico, la deriva apologetica o le preoccupazioni censorie. Ma tutto questo dimostra semplicemente come non solo la morale cattolica, ma quella di tutte le religioni dell’intero pianeta siano da tempo ‘a rimorchio’ rispetto all’avanzamento tecnologico in atto. La qual cosa si traduce in un sensibile, anche se da molti non percepito, allontanamento tra prescrizione e vissuto, tra norma e prassi. Questo fenomeno avviene perché il processo di secolarizzazione delle moderne società non è affatto un ‘principio’, bensì una finalità, non rappresenta assolutamente l’inizio di un nuovo mondo o di una nuova era, ma la conclusione definitiva di una ‘lacerazione etica’ già avvenuta da tempo. In termini puramente sociologici, la società si è ormai laicizzata, anche se essa non sembra esserne consapevole o non lo vuole ammettere per motivazioni di carattere meramente ideologico o di forzato ‘allineamento’ politico. Si tratta di un distacco tra dimensione laica e dimensione sacrale da cui deriva un sempre più forte senso di schizofrenia, di cui sono avvertibili i sintomi nell’ambito stesso del nostro ‘ethos collettivo’ ed il cui prodotto finale è divenuta la prevalenza di un’etica ‘soggettivista’ o meramente corporativa della società, ormai composta solamente da ‘frammenti’ isolati dal proprio contesto. Non accorgersi di tutto questo, non riuscire a cogliere l’errore delle continue derive culturali che stanno avvenendo nel nostro Paese, da quella prettamente tradizionalista a quella più tristemente provinciale e ‘localista’, non può far altro che generare un quadro sociale complessivo sempre più depresso e sconcertante, che rischia veramente di ‘tagliarci fuori’ dal resto del mondo, che tende a trasformare il nostro Paese in un ‘cortile’. Un atteggiamento politico modernamente laico non può non sottostare ad una presa d’atto obiettiva, se non addirittura indifferente, verso una gestione della cosa pubblica di matrice progressista o, viceversa, di natura moderata e conservatrice. Perché ciò è un dato che non entra affatto in relazione con il reale contesto di una società che proprio non riesce più a trovare un grado normale di felicità, di appagamento, di realizzazione psicologica e pratica della propria vita. Le cause del nostro attuale malessere sono altre, derivano da fattori diversi e ben distinti, che riteniamo non siano stati analizzati per tempo sia sul terreno strettamente economico, sia su quelli politici e culturali. Una questione che non può essere affrontata attraverso desuete schematizzazioni ideologiche, né tantomeno con il semplicismo paternalistico.




(articolo tratto dal web magazine www.periodicoitaliano.info)

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Vittorio Lussana - Roma - Mail - lunedi 5 ottobre 2009 17.53
RISPOSTA A LOREDANA: e invece ti sei mai chiesta, Loredana, se con questa 'scusa' del linguaggio iniziatico e del politichese non si sia fatto di tutto, in questi ultimi 15 anni, per portare la politica e la società stessa al livello del 'tappeto'??? Comunque, grazie del tuo commento e del complimento iniziale.
VL
Loredana - Pordenone - Mail - lunedi 5 ottobre 2009 1.0
Bell'articolo, anche se l'approccio è troppo intellettuale, un linguaggio quasi per iniziati buono per un circolo culturale. Spero che l'autore possa perdonarmi questa critica, ma è questo linguaggio che ha fatto perdere consensi alla politica, anche quella più illuminata e meglio preparata.


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