Alessandro LozziDa più parti si osserva, giustamente, che il Congresso del Pd riveste un ruolo importante non solo per i democratici, ma per tutti gli italiani. Come italiani interessati siamo quindi legittimati ad esprimere la nostra preoccupata opinione. Non tanto e non solo sulle candidature alla segreteria, che paiono essere l’unico argomento catalizzante di interesse, quanto piuttosto sul quadro generale di riferimento da cui dette candidature emergono. Cominciamo dai candidati principali: per quanto si impegnino a camuffare la propria provenienza è impossibile non vedere in Franceschini e in Bersani il rispettivo marchio d’origine. Come definire l’ipocrita indisponibilità alla ricandidatura che Franceschini, reiterata sino all’ultimo momento dell’ultimo giorno, se non un perfetto comportamento democristiano? E come non sentire in ogni espressione di Bersani, certo politico intelligente e preparato, il linguaggio tipico dell’apparato politico – sindacal - cooperativo che ha forgiato intere generazioni di assessori tosco - romagnoli? E non induca in errore il fatto che personaggi ex Dc, come ad esempio Bindi o Letta, parteggino per Bersani, ed ex Pci come Fassino e Veltroni parteggino per Franceschini. Non è il frutto di un amalgama fra le due componenti, che per espressa dichiarazione di D’Alema non è mai riuscita, quanto il riflesso di odii e rivalità personali che hanno caratterizzato il passato recente e remoto. Purtroppo, anche la candidatura di Marino, che inizialmente aveva fatto sperare chi sogna una sorta di Obama italiano per portare la sinistra italiana fuori dalla palude degli eredi di Peppone e don Camillo, con l’infausta uscita sullo stupratore di Roma ha mostrato tutti i suoi limiti soggetivi e oggettivi. Ma ciò che più caratterizza questo congresso, paradossalmente, non sono le candidature che ci sono, quanto quelle che mancano. Il male oscuro del Pd, ma anche (direbbe Veltroni) della politica italiana tutta, non ha il volto di Franceschini, Bersani e nemmeno di Marino. Questo male ha l’ancipite espressione di Debora Serracchiani e Beppe Grillo. Si ha un bel criticare le veline di Berlusconi se poi si consente che assurga ad esponente politico nazionale una signorina che deve il proprio succcesso alla fortuna di essere stata veicolata su Youtube al momento giusto. Diciamolo chiaramente, la Serracchiani sta allo spazio politico che occupa esattamente come un giovane del Grande Fratello sta ad un ruolo cinematografico: solo successo senza merito. Ancor più emblematica del vuoto della politica è la questione della candidatura di Beppe Grillo. E non tanto (anche se basterebbe) per il fatto che molti trovano legittimo e normale che si possa candidare a segretario di un partito chi di quel partito non fa parte. E nemmeno che, addirittura,  possa farlo chi di questo partito è pubblico e dichiarato avversario. Ciò che dovrebbe (in un Paese normale) far specie è che gli spettacoli comici e i comizi politici di Beppe Grillo hanno gli stessi testi. Non c’è differenza tra quello che dice come comico e quello che dice come politico. Di più: non c’è differenza tra comico e politico. Ecco perché la politica in Italia non ha più il rispetto che merita, perché è diventata una buffonata, anzi, una tragicommedia. Oggi la politica ha una funzione ‘ancillare’ verso ogni potere: verso quello economico - finanziario, da cui subisce il comando e il fascino corruttivo; verso quello giudiziario, da cui subisce l’intimidazione e l’interdizione;  e verso quello mediatico da cui subisce l’imposizione del virtuale. Nei momenti più difficili della cristianità si osservava: “la Chiesa è povera e i frati sono ricchi”. Oggi possiamo dire che all’ottimo stipendio e alla buona pensione di ciascun parlamentare corrisponde una sostanziale inutilità politica. Ma la ricchezza della politica non tornerà se non si metterà mano alla costituzionalità dei partiti quali strumento dell’aggregazione e della produzione politica. Con i conseguenti doveri di democraticità interna e i conseguenti diritti degli iscritti e dei militanti a non essere pretermessi. Finchè nel Pd – e non nell’universo ‘berlusconiano’ che si dice sia fatto di ‘silicone e majorettes’ - la politica è uguale a uno spettacolo comico e si diventa parlamentari per meriti acquisiti via broadcasting, Franceschini, Bersani, Marino o chiunque altro saranno solo sbiaditi personaggi di un noioso reality. E allora viva la Serracchiani, che è più giovane e fresca. E viva Grillo, che fa ridere di più.


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Giorgio Lanaro - Carrè / Vicenza - Mail - domenica 2 agosto 2009 16.17
Sono perfettamente d'accordo. Tempo fa ho esposto ad un militante del pd queste idee che Lei ora scrive e la reazione è stata quasi talebana. Non si vuol riconoscere che, se il pd non cambia e comincia veramente a fare una seria opposizione politica quindi a preparare le basi per il futuro, chi è al governo durerà molto con i suoi pregi e difetti. Ormai è passato tempo dalle elezioni ma sembra che il pd con le sue beghe interne faccia di tutto avvalorare quanto sopra. Sembra che i dirigenti del pd vivano in un altro mondo e finchè non si riappropriano della realtà Berlusconi continuerà imperterrito perchè avrà sempre la fiducia degli Italiani
giuseppe cipriano - siena - Mail - venerdi 31 luglio 2009 18.43
Caro Alessandro, leggo e condivido spesso i tuoi articoli. D'altronde siamo paladini di un'italia liberale che deve ridefinirsi nell'attualità. Poichè avrei diverse cose da dire, ti chiedo se posso collaborare con Voi con qualche articolo personale. Spero a presto. Giuseppe


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