Fabrizio FedericiAll’Aula Volpi del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre al Castro Pretorio, la direttrice, prof.ssa Paola Perucchini, ha aperto ultimamente  la giornata di studi su 'Albert Camus alla ricerca di un nuovo umanesimo', a 110 anni dalla nascita (1913) dell’autore de 'Lo straniero', portando anche i saluti del Rettore, Massimiliano Fiorucci. Si tratta di un’iniziativa ideata, già nel 2019, da Luigi Fenizi, ex consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, scrittore e ricercatore storico. Rimasta poi bloccata dalla pandemia da Covid e, infine, realizzata col tenace impegno dei docenti di Roma Tre, Marina Geat e Marco Giosi, il convegno è dedicato anche alla memoria di quattro coraggiosi intellettuali: Luciano Pellicani, Giuseppe Averardi, Luigi Covatta e Arturo Diaconale. In apertura, Marco Giosi, docente ordinario di Pedagogia generale e Filosofia dell’Educazione, ha sottolineato la costante attualità delle questioni poste da Camus. "Al centro della sua visione", ha spiegato il professore, "ci fu sempre la difesa della vita: da qui, le sue battaglie contro la pena di morte e la sua ferma condanna - unico tra gli intellettuali europei, escludendo Albert Einstein - subito dopo Hiroshima e Nagasaki, delle armi atomiche. Poi, la ricerca di un nuovo umanesimo, all’indomani della devastante seconda guerra mondiale. Infine, la particolare concezione che lo scrittore franco-algerino, di formazione illuminista, ha avuto della dialettica natura e Storia". Infatti, la Storia, per Camus, non è mai stata, come per l’idealismo hegeliano-marxista, la nuova divinità, cui tutto va sacrificato. Anche per Camus (come già, per esempio, per Nietzsche e Joyce), la Storia spesso si riduce a un incubo sanguinario e, in ultimo, senza senso. Quindi, per l’essere umano ecco tornare, in primo piano, la natura: gli ambienti etnico-culturali, le caratteristiche di ogni individuo, "mentre non dimentichiamo che  Camus, nella sua ricerca filosofica ed esistenziale, a ben vedere recupera molti importanti concetti di pensatori a sfondo religioso, da Plotino a S.Agostino, da Pascal, specialmente, a Kierkegaard e Dostojewskij”, ha concluso il docente. Marina Geat, professore associato di Lingua e letteratura francese, ha poi focalizzato la "tormentata maturazione del giovane Albert, che non conobbe mai il padre, Lucien, caduto nella prima battaglia della Marna del 1914, quando lui aveva solo tre mesi, mentre con la madre, Catherine Hélène Sintès, figlia di genitori originari delle isole Baleari e analfabeta, ha un rapporto ben poco comunicativo. Nel suo ultimo romanzo, 'Il primo uomo', incompiuto e pubblicato postumo solo nel 1994 dall'editore Gallimard, per volere della figlia Catherine - il manoscritto era stato trovato tra i rottami dell'auto il 4 gennaio 1960, giorno dell'incidente fatale per lo scrittore e il suo editore, Michel Gallimard - il protagonista, Jacques Cormery, alter ego dello stesso Camus, da adulto torna in Algeria, alla ricerca quasi 'proustiana', della “memoria perduta” del padre. E l’Algeria, oltre a essere un preciso luogo geografico, assurge anche a microcosmo simbolico di una possibile, futura riconciliazione tra algerini e francesi" (morendo nel 1960, purtroppo Camus non vedrà, nel 1962, gli accordi di Evian-les Bains, che chiuderanno il conflitto franco-algerino). Anna Aluffi Pentini, professore associato di Pedagogia sociale e Teorie e metodi della consulenza pedagogica, ha riferito sull’esperimento di “seminario a distanza, condotto nel 2020, nel periodo piu’ nero del lockdown, con la partecipazione specialmente di studentesse. Un seminario centrato sulla lettura de 'La peste', il romanzo di Camus del 1947 a lungo risultato - nel 2020, anno del Covid - il suo libro piu’ venduto in Francia, alla ricerca di spunti utili per la formulazione, oggi, di nuove politiche sanitarie e terapeutiche, all’insegna della solidarietà". Gilberto Scaramuzzo, docente di Teorie moderne dell’educazione e pedagogia dell’espressione, si è invece soffermato sull’importanza "dei silenzi e delle pause nel teatro di Camus". Tommaso Visone, docente associato di Storia del pensiero politico alla Link Campus di Roma, si è chiesto "quale Europa detesta Camus: quella dei nazionalismi esasperati, sfociati nei due grandi incendi mondiali del ‘900 e risorgente, sotto mentite spoglie, negli stessi nazionalismi del Terzo Mondo; ma anche – monito profetico per l’oggi -  l’Europa bottegaia e ultraliberista. E quale, invece, appoggia: l’Europa del federalismo sovranazionale, pensata da Altiero Spinelli e gli altri “eretici di Ventotene”, George Orwell e altri grandi intellettuali. Una formula", ha sottolineato il professor Visone, "che per lui avrebbe potuto estendersi anche ad Algeria e Francia, unite in un possibile futuro da una 'Federazione transmediterranea', con Algeri come capitale. A noi piace pensare", ha concluso lo studioso, "che il presidente francese, Nicolas Sarkozy, lanciando nel 2007 il progetto di un’Unione Mediterranea sul modello della Ue, destinata soprattutto ad avvicinare Europa e Africa (progetto poi rimasto, purtroppo, soprattutto sulla carta), abbia tenuto presente anche quest’idea di Camus".

Le relazioni del pomeriggio
A introdurre le relazioni del pomeriggio è stato Roberto Cipriani, professore emerito di Sociologia generale a Roma Tre, presidente dell’Icsor (International Center for the Sociology of Religion, ndr), che criticando un certo laicismo esasperato, molto diffuso anche nell’ambiente universitario, il quale insorge anche solo a leggere la parola “religione” in documenti ufficiali, ha ricordato "la forte diversità delle concezioni di Camus: uomo certo non religioso in senso tradizionale, ma sempre alieno dal laicismo integralista, così come dal “politically correct”. Di seguito, nella sua relazione, Luigi Fenizi, studioso specializzato di Camus, ha invece inquadrato la figura dello scrittore franco-algerino tra i grandi "intellettuali inorganici - e perciò scomodi - del Novecento, da Orwell a Simone Weil, da Gaetano Salvemini a Ignazio Silone. Come quest’ultimo - e come Spinelli - Camus da giovane aveva aderito al Partito comunista, ma l’idillio, diversamente che per i due italiani, fu di assai breve durata (1935- 37). E in un secolo come il ‘900", ha proseguito Fenizi, "che oltre che crudele, è stato anche paradossale, vedendo comparire, sul bando degli imputati, il piu’ delle volte non gli oppressori, ma gli oppressi. Camus, guardando la tragica involuzione della Rivoluzione russa fu tra i pochi a capire che, dopo una rivoluzione, non si può più essere rivoluzionari, ma si è condannati a diventare oppressori, oppure eretici”. Per parte sua, Claudio Tognonato, docente specializzato in Sociologia economica e dello sviluppo, “sia Camus che Sartre, i due grandi amici-nemici, che ruppero fortemente i loro rapporti nel 1952, quando il primo pubblicò 'L’uomo in rivolta', si definiscono atei, ma il tutto, ovviamente, va contestualizzato: per entrambi, essere ateo significava soprattutto che l’essere umano non ha un destino, che la sua vita è priva di senso. E, proprio per questo - ecco appunto l’esistenzialismo sia di Camus, sia di Sartre - è dovere dell’uomo cercarlo, questo senso, per trovare il proprio destino”. Albert Camus e Ignazio Silone, maestri irregolari del Novecento, anche loro profeti spesso inascoltati. Questo il tema affrontato da Alessandro Bresolin, studioso veneto autore del saggio: 'Camus: l’unione delle diversità' (Edizioni Spartaco, 2013) e di varie altre raccolte dei suoi interventi pubblici, ”dal 1945 in poi, lo scrittore franco-algerino vede il suo maestro, senz’altro, nel Silone di “Fontamara” e degli altri romanzi, nonché della piece teatrale 'Ed egli si nascose', tratta a sua volta da 'Vino e pane'. E scartabellando negli archivi, ho trovato 2 recensioni su testate uscite in Algeria, rispettivamente di 'Fontamara' (1935) e di 'Pane e vino' (1939), quasi sicuramente opera di Camus”. Emanuele Santi, anch’egli attento studioso dell’autore de 'L’etranger' con all’attivo il saggio 'Il portiere e lo straniero' (L'Asino d'oro, 2013), incentrato sull'infanzia e l'adolescenza algerina di Camus, ha ripercorso dettagliatamente gli anni del suo impegno civile e politico, tra Algeria e Francia occupate dai nazisti: “Dopo la guerra, nel 1957, lo scrittore riceve a Stoccolma il Nobel per la Letteratura e si pronuncia chiaramente per l’indipendenza algerina. Ma altrettanto chiaramente, dice 'No' al terrorismo sanguinario e indiscriminato del Fln, diffidando inoltre del suo filosovietismo”. In ultimo, Ernesto Marzano, economista e dirigente emerito delle Partecipazioni statali, con esperienze di lavoro anche al Club Mediterranée del Madagascar, ha parlato della sua personale conoscenza, peraltro raccontata nel libro autobiografico 'L’uomo senza platea' (Croce Edizioni, 2014), di Albert Camus, a Parigi negli anni ’50 “in occasione di una serata dedicata all’autore di 'Fontamara', all’epoca assai poco conosciuto in Francia e organizzata dallo stesso Camus, della cui casa parigina fui ospite, conoscendo tutto il suo vasto giro di amici intellettuali”. Toccante infine, partendo sempre dal tema dei rapporti Camus–Silone, l’intervento di Romolo Tranquilli, dipendente Rai emerito e originario di Pescina (Aq), nonché nipote dello scrittore abruzzese, di cui era cugino il padre, Pomponio, il quale ha ricordato il visibile imbarazzo di Silone, specie negli ultimi anni della sua vita, nel parlare del fratello minore, anch’egli militante comunista, arrestato nel 1928 con l’accusa di aver partecipato all’attentato dell’aprile di quell’anno contro Vittorio Emanuele III, a Milano (14 morti piu’ altri 6 nei giorni successivi, per le bombe esplose durante l’inaugurazione della Fiera Campionaria, ndr). Prosciolto in tribunale dall’accusa di partecipazione alla strage, Tranquilli fu però condannato al carcere per la sua militanza comunista. Quattro anni dopo, il 27 ottobre 1932, all'età di 28 anni, proprio un giorno prima dell'amnistia per il decennale fascista, Romolo Tranquilli si spegneva, per l'aggravarsi della malattia, dovuta alla pesantissima condizione carceraria. Per Silone fu un durissimo colpo, che s'innestò nel vivo della sua crisi col Partito, da cui era stato espulso, in quanto dissidente, l’anno prima. Quella per Romolo fu una pena che lo tormentò tutta la vita, e che lo spinse sempre a sorvolare sui fatti tragici di cui era stato protagonista il fratello: “Anch’io", ha ammesso, con grande onestà, Romolo Tranquilli Jr. "a volte mi sono sentito in colpa per non esser riuscito a fare aprire Silone su questi ricordi, così penosi. Ringrazio, allora, le autorità accademiche di questo dipartimento di Roma 3, per avermi invitato a questo convegno: dove, partendo dall’amicizia tra Camus e mio zio, ho avuto l’opportunità di liberarmi, almeno in parte, di questo peso”.





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