Mauro CherubinoLa questione tra i valori laici e quelli religiosi, contestualizzati nella influenza che essi hanno all’interno della organizzazione dello Stato, è alterco assai antico. L’uomo, artefice nella Storia di differenti orientamenti che hanno influenzato la 'querelle', il più delle volte si è posto – e si pone - in contrapposizione tra un atteggiamento filosofico del suo interiore profondo con le eterne questioni dell’umano e del divino, e la negazione del tutto in nome di una ragione scientifica che solleva il tema stesso nei meri termini del 'qui ed ora'. Portiamo dentro di noi l’eredità di un giorno che mai sarebbe dovuto venire, l’alba della Vandea e quel desiderio di rivolta contro il mondo moderno, uno scontro che guarda al passato ed è incapace di tradurre l’esperienza umana in un concetto alto di convivenza. La nostra società, in particolare la società italiana, per il proprio forte radicamento storico e culturale cattolico, sembra incapace di affrontare la problematica ponendo le radici dinnanzi e non nel passato, per affrontare la propria identità culturale di concerto con il cammino percorso nella Storia. La diatriba è affrontata con disonestà intellettuale allorquando si pone la Chiesa cattolica a nemico assoluto, quando cioè una cultura erede della cosiddetta rivoluzione scientifica pone gli aggettivi in termini di ritorno all’oscurantismo medievale e reazionario sugli orientamenti del clero. Ma la stessa disonestà intellettuale diviene espressione di coloro che, in una difesa assoluta dei valori della tradizione, rifiutano il 'confronto' con quel mondo moderno espressione del divenire delle esperienze e del progresso degli uomini. In questa assenza di dialogo dovrebbe porsi la saggezza del confronto e del 'convivio' delle idee.
Tornado alle radici della rivoluzione illuminata, Robespierre, uomo di grande concretezza politica, pose l’accento sulla necessità di garantire e difendere la libertà religiosa guardando che ciò non costituisse strumento per creare opposizione ai Decreti della Convenzione. Ma egli non guardò alla concessione della separazione dei poteri, in quanto il proprio intendimento era quello di consentire allo Stato l’intromissione negli 'affari' religiosi, fino alla negazione di fatto dei dogmi. Oggi, qualche 'philosophe' illuminato vorrebbe andare oltre, imponendo il culto della ragione come religione di Stato. Dinnanzi a siffatti propositi ideologici di radicale critica alla religione cattolica che vorrebbe imporre il concetto assoluto della scienza e della ragione come modello, si colloca quel disegno di uguaglianza delle religioni che conduce al depauperamento di ogni religione e delle specificità culturali dei popoli e dei valori della propria tradizione. L’atteggiamento elitario secondo il quale “la religione è per il popolo la filosofia per gli intellettuali” conduce inevitabilmente alla concessione di spazi e consensi nel mondo cattolico alle posizioni più integraliste, fino a diminuire ogni spazio di dialogo ai 'progressisti' della cultura religiosa, lasciando alrtesì ampi spazi di conquista ai nuovi 'templari' in rivolta contro il mondo moderno, ed al loro concetto nietzchiano della scienza "che procede verso la morte nel perseguire la conoscenza”... La questione riproposta nel dibattito politico, vede la negazione del pensiero e della ragionevolezza, che debbono essere guida nel cammino della nostra comunità umana. E’ dal riconoscimento delle “due culture” che dovremmo essere guidati, nella “comunione” tra uomo interiore e uomo esteriore. Il potere religioso ed il potere civile hanno entrambi un valore e debbono coesistere nella propria autonomia. Lo Stato deve essere laico, ma non deve intraprendere l’avventura del laicismo. Condivido, pertanto, nella espressione di questo concetto, l’autorevole pensiero del Presidente Casini, che in occasione della presentazione del rapporto dell’anno 2005 sulle libertà religiosa nel mondo ha trattato con altissimo senso di responsabilità la questione della laicità dello Stato e l’insidia culturale di uno Stato senza religione e senza Dio. Il riconoscimento delle entrambi alte valenze, culturali che di concerto muovono la crescita della nostra comunità nella propria autonomia e nel rispetto della convivenza rappresenta il pensiero di un autorevole cattolico che si pone nel dialogo, un dialogo che da laici dobbiamo culturalmente alimentare. Ricondurre all’incontro le due culture: questo il cammino da intraprendere nel riconoscimento reciproco dei valori tradizionali dell’uomo e delle radici della nostra comunità, nel riconoscimento del progresso e della ragione che rende l’uomo libero, artefice delle proprie scelte e difensore dei suoi diritti. Un dialogo che veda come interpreti coloro che divengono artefici - nella tolleranza e nel rispetto delle differenze culturali - del progresso sociale che è comunione e rispetto delle autonomie e delle differenze. Politicamente, è dunque nostro dovere porsi dinanzi alle responsabilità non con il concetto del 'qui ed ora', ma con il 'pensiero lungo' della costruzione della società e dello Stato, per le generazioni future. Una costruzione possibile solo ponendosi come guida e non 'storicizzando' le nostre radici ed il cammino della Storia ed i suoi insegnamenti. La ragionevolezza sia insomma alternativa al radicalismo, sia quello cosiddetto illuminato, sia quello della tradizione, i quali hanno prodotto, nella Storia – come ricorda il filosofo Bernard Henri Levi- barbarie dal volto umano.


Direttore Politico del sito web di informazione e cultura "Lettera 22"
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