Vittorio LussanaDa circa dodici anni, la politica italiana vive una drammatica fase di sbandamento. La gente si chiede se le cose andavano meglio nella prima o nella seconda Repubblica, prima o dopo il cataclisma giudiziario di Tangentopoli, prima o dopo la campagna referendaria in favore di un sistema elettorale maggioritario. Ma la considerazione che viene espressa dai cittadini è, innanzitutto, questa: un tempo, le cosiddette ‘raccomandazioni’, che servivano ad ottenere un impiego qualsiasi, derivavano da segnalazioni di natura politica che potevano tener presente, contemporaneamente alla militanza di un cittadino ad un determinato partito, anche considerazioni riguardanti le sue doti, le sue potenzialità produttive, le sue capacità e competenze. Oggi, invece, questo tipo di selezione a molti sembra non esistere più e si ha la forte impressione che riescano a trovare un impiego solo gli amici o gli amici degli amici. Dalla raccomandazione di qualità, si sarebbe dunque passati alla raccomandazione ‘secca’, senza più controllo sulle competenze effettive, dal malcostume all’ingiustizia vera e propria.
Questa risposta, richiesta a tempo perso dal sottoscritto nel corso di un piacevole pomeriggio balneare ad un campione ristrettissimo di persone, una trentina in tutto, mi è stata fornita ben diciassette volte. Inoltre, secondo alcuni cittadini, nel nostro Paese mancano, ormai del tutto, chiare politiche di riferimento nell’interesse collettivo degli italiani.
Ciò non si intende, però, come una richiesta di ritorno nostalgico a vecchie tradizioni di contrapposizione ideologica, bensì rappresenta una domanda, un po’ disincantata, di nuove politiche, anche generiche, di indirizzo, in grado di fornire aspettative e prospettive credibili almeno nel medio termine.
Per quanto sommaria e sbrigativa possa apparire, questa mia piccola inchiesta mi è apparsa nitida nel suo responso: gli italiani sono politicamente in confusione, in una fase di malessere dettata dal fatto che non sembrano giungere segnali confortanti dal mondo stesso della politica.
L’operazione Prodi, ad esempio, viene vista come una tendenza conservatrice della politica italiana, la quale indulgerebbe al riciclaggio di formule già sperimentate. E non si tratta di mera antipatia per il rubicondo professore bolognese: di lui, gli italiani, anche quelli ideologicamente poco predisposti nei suoi confronti, percepiscono una buona capacità di influenza sul mondo capitalistico e finanziario di casa nostra, in grado sì di fornire un distinto segnale di fiducia, ma non certo di entusiasmo: il ‘solito democristiano’, per intenderci, cui delegare l’esercizio di una buona amministrazione, sobria e moderata. Ciò non rappresenta affatto un buon segnale per il centrosinistra poiché, al di là di radicali logiche di appartenenza o di vicinanza a schieramenti precostituiti, gli italiani non vedono in Romano Prodi il portatore di azioni riformatrici di lunga lena.
Viceversa, dell’attuale coalizione di centrodestra viene percepito un pragmatismo esecutivo strettamente funzionale al mantenimento della posizione di governo ottenuta con la vittoria alle elezioni politiche del 2001. Dalla Casa delle Libertà, i cittadini si attendevano qualcosa di più, soprattutto da un punto di vista legislativo, non hanno convinto pienamente le riforme varate e non si comprendono frangenti e passaggi parlamentari viziati da vistose contraddizioni.
Le obiezioni raccolte più frequentemente sono le seguenti: perché il presidente Berlusconi ha scritto una lettera a Giuliano Ferrara nella quale diceva di voler approvare un provvedimento di grazia per Adriano Sofri e poi tutto è finito come è finito? Perché si è predisposta una norma sulla fecondazione assistita che vieta la diagnosi preimpianto? Che c’è di male nel voler accelerare i tempi del divorzio accorciando quelli della separazione consensuale, dato che questa rappresenterebbe, già di per sé, il frutto di un accordo tra le parti? Domande semplici, insomma, che tuttavia necessiterebbero risposte complicate, troppo complicate. Ma sono questi i motivi per cui, secondo gli italiani, la politica dovrebbe cominciare a cercare una strada totalmente nuova.
Si vorrebbe, nella sostanza, uno sforzo maggiore da parte del nostro ceto politico. E la trentina di pareri da me raccolti nel corso di un piacevole pomeriggio di luglio, trascorso sotto il sole del litorale laziale, possono anche bastare a ricordarci che il popolo italiano è composto di persone semplici, ma non disattente a quanto accade in Parlamento.
Ecco dunque degli ottimi motivi che giustificherebbero la nascita di una terza forza, nel panorama politico italiano, quella che in questi due ultimi numeri di www.laici.it abbiamo definito ‘Casa dei Laici’.
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