Francesca BuffoRiccardo Nencini è l’attuale Segretario nazionale del Partito socialista italiano, la forza politica più antica d’Italia che, proprio in questi giorni, ha compiuto 120 anni. Nencini è anche assessore al Bilancio della Regione Toscana. Dunque, in occasione dell’ormai imminente festività del 1° maggio, abbiamo voluto analizzare insieme a lui quei temi relativi alle grandi difficoltà occupazionali, in particolar modo dei giovani, del nostro Paese.

Riccardo Nencini, a 120 anni dalla nascita del Psi, avvenuta a Genova nel 1892, si torna a parlare di socialismo come una delle tradizioni politiche fondamentali per riuscire a far emergere la politica italiana dal ‘tunnel’ in cui sembra essersi ‘cacciata’: com'è stato possibile tutto questo?
“La Storia non fa mai dei ‘salti’: la vicenda italiana non si differenzia dalle altre. In Italia son sempre esistite ‘le sinistre’: una sinistra ‘formalista’ che faceva capo al Partito comunista italiano e una sinistra riformista che è sempre stata minoritaria e che faceva capo alle forze laiche e socialiste. Entrate in crisi queste ultime, la sinistra ‘formalista’ non aveva le caratteristiche per ereditare la storia della sinistra riformista. Tutto questo spiega l'apertura del ciclo ‘berlusconiano’, successivo al 1994. E, in un certo senso, spiega perché questo ciclo, oggi, si sia esaurito".

In questi giorni si festeggia anche la festa del lavoro: lei non crede che le difficoltà occupazionali del nostro Paese derivino da una questione di immobilismo sociale, soprattutto nel campo delle professioni, in cui solo i figli degli avvocati riescono a fare gli avvocati, solo i figli dei giornalisti possono fare i giornalisti e così via?
"In effetti, posso citarvi, come dato, uno studio di qualche anno fa della ‘Normale’ di Pisa – l'università considerata, a livello internazionale, uno dei migliori atenei del nostro Paese – il quale afferma che circa due terzi dei nostri neolaureati con orientamento alle grandi professioni, dai notai agli ingegneri, dagli architetti ai medici, seguono le orme professionali di padri e nonni. Questo evidenzia un problema di gerarchie sociali quasi immutabili, soprattutto per l'ultima generazione, poiché si va interrompendo quel che è successo dal dopoguerra fino al decennio scorso, ovvero la possibilità, per i ‘figli’, di avere più possibilità di carriera dei ‘padri’. Per l'ultima generazione non è detto che sarà così…”.

Noi parleremmo piuttosto di 'queste ultime generazioni', non prenderemmo in esame solo l'ultimissima, dato che il problema lavoro riguarda anche una buona percentuale di quarantenni che vivono, ormai da decenni, continui ‘alti’ e ‘bassi’…
"Sì, ma non sono condizioni paragonabili a quelle che può incontrare mia figlia, per esempio, che oggi di anni ne ha 25, è laureanda in medicina e vede le sue colleghe con enormi difficoltà di inserimento lavorativo, rispetto a quelle che ha incontrato la mia generazione che, appena ottenuta la laurea, entrava con facilità nel mercato del lavoro e, soprattutto, andava a lavorare nel settore per il quale aveva studiato. Oggi, anche se ti laurei in architettura non è detto che tu vada a fare l'architetto…”.

Incentivare l'imprenditoria giovanile è una strada percorribile e compatibile con i problemi di bilancio delle Regioni italiane?
"Assolutamente sì: a livello di Regione Toscana, già da qualche anno abbiamo adottato alcune linee di finanza ‘etica’ e di microcredito tese a finanziare anche esperienze di natura professionale. Non tutti si nasce in famiglie che hanno una tradizione di studi professionali bene avviati, mi riferisco ad avvocati, notai, architetti o ingegneri. Quindi, aiutiamo chi entra nella professione e ha merito, in qualche modo, per riuscire a emergere”.

Su queste tematiche, il Partito socialista italiano non riesce a sospingere tutte le altre forze progressiste a rimettersi a dire ‘qualcosa di sinistra’?
"Io penso che il ‘merito’ sia una parola di sinistra, ma è una di quelle parole che la sinistra ha sempre declinato poco e male. La sinistra ha declinato male, fra l'altro, anche il termine 'uguaglianza', spesso trasformato in 'egualitarismo', mentre invece sono due concetti diversi: uguaglianza significa avere condizioni di partenza dignitose per tutti, dopo di che è il merito che può portare ‘Tizio’ più lontano di ‘Caio’, perché, appunto, più meritevole. Non a caso l'aggettivo 'meritevole' è stato inserito nella Costituzione italiana là dove fa esplicito riferimento, appunto, ai più ‘capaci e meritevoli’. Bisogna dunque ritornare lì dove è arrivato il costituente fra il 1947 e il 1948, per sostenere chi ha idee, chi ha qualità, chi si impegna, chi ha spirito di intraprendenza. Questi sono i soggetti che vanno aiutati, perché lì sta la creatività e la fortuna di una grande nazione come l'Italia”.

Non c'è un grosso errore culturale alle ‘spalle’, laddove si è impostata una politica basata sul debito e sul diritto allo studio? Non pensa che abbiamo abituato i nostri figli ad avere tutto, 'tirando su' una generazione di ‘viziati’?
"Condivido la sua analisi: soprattutto è stato un errore che non possiamo assegnare in primis alla scuola, perché è un errore che hanno fatto le famiglie. La prima educazione dei figli appartiene al padre e alla madre. I genitori devono prendersi le proprie responsabilità. Molti insegnanti denunciano il disinteresse dei genitori sull'andamento scolastico dei figli. Si tratta di un errore che i figli 'sentono' e che non è tollerabile. Di fronte a questo atteggiamento non ci si può poi lamentare sul destino 'presente' dei propri figli. Quindi, se c'è una cosa da fare è recuperare innanzitutto il senso civico della famiglia".

Anche mutarne, però, la sua evoluzione culturale: non le sembra che vi sia una visione un po' troppo statica, apologetica, della famiglia, nel nostro Paese?
"Personalmente ho una visione della famiglia non come luogo ‘negativo’: le famiglie sono un luogo positivo seppur declinate nelle maniere più diverse. Diventano un luogo negativo se i genitori non si assumono le proprie responsabilità rispetto ai figli. I genitori non sono i fratelli o le sorelle dei figli: sono padri e sono madri. L'educazione implica assumersi delle responsabilità e, spesso, ciò significa avere il coraggio di dire delle cose che non ci piacciono, che possono creare una ferita nel figlio, che tuttavia bisogna saperle dire, perché fanno parte di un'educazione consapevole”.

Proprio la sinistra è sempre stata per antonomasia il luogo della cultura, della cosiddetta ‘intellighentia’ più all'avanguardia nel Paese: riuscirà a tornare a investire sulla cultura e a mettere in campo delle idee e dei progetti?

"Se fossi al Governo, personalmente, come prima cosa rivedrei la normativa sull'università, in particolare quella che ha diviso i corsi e ha introdotto la laurea ‘breve’, che non serve a niente. Personalmente, ritengo sia il caso di ritornare a una laurea ‘piena’, da 4-5 anni, com'era nella prima Repubblica”.

Quindi, paradossalmente, dovremmo tornare a un concetto 'gentilizio' dell'istruzione, quasi d'élite, nel senso qualitativo del termine?
"È un sistema che funziona anche nel resto dell'Europa e che non è assolutamente d'élite: lo definirei, piuttosto, più compatibile con quella che è l'economia italiana di oggi. Per lo meno, non penalizzerebbe i ragazzi portandoli a scegliere un percorso triennale che non ha concretamente sbocchi di mercato, o a ottenere una laurea 'completa' in un numero di mesi e di anni molto, troppo, alto. I nostri ragazzi entrano nel mondo del lavoro con due anni di ritardo rispetto ai coetanei degli altri Paesi europei".

E quali sono le politiche che si potrebbero adottare per 'sbloccare' la situazione?

"Le politiche dovrebbero riguardare innanzitutto l'informazione e la formazione, quindi la scuola, l'università e tutto quello che ruota intorno favorendo il merito e consentendo a chi è nella condizione di merito, ma anche nella condizione di bisogno, di essere aiutato a crescere socialmente. Penso, per esempio, ai programmi Erasmus, che dovrebbero essere estesi, dall'Università, anche alla scuola. Per un ragazzo che proviene da una famiglia socialmente più debole, ma che ha voglia di 'fare' e che ha coraggio, la possibilità di conoscere il mondo è un'opportunità enorme”.

Ma, al di là dell'università, non c’è anche una questione legata a dei mestieri, soprattutto artigianali, che nessuno vuol svolgere più?
"Noi abbiamo un'economia che per il 93% si fonda sulla piccola e media impresa. Spesso, la piccola impresa è a carattere familiare, dunque microscopica: il laureato, in questo ambiente non ha 'diritto di cittadinanza'. Poi, è vero: ci sono dei mestieri che abbiamo completamente 'appaltato' agli extracomunitari. Sono essenzialmente tre ‘filoni’: l'assistenza agli anziani, l'agricoltura e l'edilizia. Sono occupazioni che i nostri figli non vogliono fare più, ma nell'economia di un grande Paese che pretende di stare sulla scena della globalizzazione mondiale, una scelta ormai irreversibile, non certo una tendenza, o ci si dota di una generazione di laureati che conoscono più lingue straniere e che sono in grado di essere competitivi in Europa, oppure ci ritroveremo con ingegneri pakistani, cinesi e indiani senza poter mandare i nostri figli da nessun’altra parte. Avendo tutta questa ‘selva’ di lauree brevi, non siamo concorrenziali con le università di prima e di seconda fascia, che stanno divorando il sapere italiano. Noi non abbiamo atenei classificati tra le prime 150 università del mondo. Quindi, proprio sul fronte della formazione e della qualità culturale, il livello del Paese in questi ultimi decenni si è notevolmente abbassato".


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