Vittorio Craxi“Quest’anno, San valentino ha un gusto più amaro per chi non si è dimenticato dei martiri tunisini che hanno sacrificato la loro vita e per le generazioni di domani che vivono il tempo della libertà e della dignità.” E’ l’incipit solenne del giornale più venduto, “La Presse”, ieri gazzetta di regime e oggi sintomo della libertà di espressione della nuova Tunisia. E’ passato solo un mese e agli occhi di chi conosce bene Tunisi e i suoi cittadini si ha l’impressione di un vero cambiamento. La capitale restituisce a colori le immagini in bianco e nero che avevano certi film del neorealismo italiano: i carri armati, il filo spinato, le donne velate con i bambini in braccio, gli studenti con i cartelli che rivendicano “la dignità” rivoluzionaria e predicano che l’economia e la ripresa ha bisogno del loro “sforzo” (in arabo: jihad). Il traffico è impazzito ma, al tempo stesso, educato, disciplinato: è l’autogestione di un popolo che ha perso l’asfissiante tutela dei corpi di sicurezza dello Stato e che, oggi, vive l’ebbrezza della libertà che si è trasformata in una felice e spensierata anarchia. Incomincio la mia passeggiata sull’avenue Bourghiba dalla Cattedrale cattolica a me famigliare (lì si sono celebrati battesimo e funerale dei ‘Benedetto’ di casa) e mi accorgo di essere praticamente l’unico straniero che fende la folla brulicante, i capannelli fitti di persone che sproloquiano di nazionalismo e Costituzione, di bambini che offrono, come nella rivoluzione portoghese, fiori ai militari. Sulle scale del teatro municipale, quello epoca liberty voluto fortemente dalla comunità italiana perché si potesse avere un luogo dove ascoltare le arie operistiche, gli studenti festeggiano a modo loro il San Valentino: bandiere al vento, inno nazionale, stanche e blande richieste di dimissioni del Governo, solidarietà ai martiri e ai lavoratori. I poliziotti, praticamente assenti o sporadici, scherniti: “Ora che avete ottenuto l’aumento, andate a fare il vostro lavoro”! Ai lati del marciapiede, gli ambulanti abusivi friggono le loro “merguez” e l’odore impregna i vestiti esposti nella grande boutique di Zara. Già qualche giornale comincia a scrivere, non senza ironia, che l’arteria simbolo della Rivoluzione e della Tunisia di sempre assomiglia sempre più alla “caverna di Ali babà. La libertà? Sì, è bella, ma si deve fermare quando incomincia quella altrui…”. Il Paese vive in una sorta di “trance”: da un lato l’uccisione del secondo padre responsabilizza il popolo alla necessità di fabbricare e costruire la nuova era, dall’altro, viene messo di fronte a tutte le incognite che gravano sull’onda lunga che sta cambiano regimi nord africani e forse mediorientali. Le ingenti perdite finanziarie, la valuta che scarseggia, il Governo che non governa, unita ai primi esodi sulle spiagge incustodite del centro e del sud, sono i primi segnali evidenti che il futuro che si prepara è tutt’altro che roseo. La Francia, vecchia ‘zia’ temuta, ha dato in queste settimane il peggio di sé, con il suo “né aderire, né sabotare”. L’Italia, che è la vera ‘meta eldorado’ di molti giovani, ha mostrato il suo volto più stupido, quello che promette polizia sulle coste anziché nuovi turisti e nuovi investimenti. I Tunisini si sentono, come sempre, un po’ lontani: spenti i riflettori che si sono subitamente accesi sulla più strategica crisi egiziana, essi si ritrovano improvvisamente soli. Il Comitato “per la difesa dei valori della rivoluzione”, che si riunisce a casa di un italiano di Prato improvvisatosi reporter via Facebook, Giacomo Fiaschi, fende il coprifuoco e tira fino alle quattro di mattina, tra un bicchiere e l’altro, per immaginare come potrà essere la nuova democrazia parlamentare e la nuova Costituzione. I vecchi dignitari di regime si leccano le ferite e cercano un modo per tornare ‘a galla’ indossando nuove maschere. Gli islamici lavorano ora neanche tanto di nascosto: nell’esercito, nelle strade, nelle moschee. E mentre il sole ride facendo capolino dietro la Sinagoga di Tunisi, i giovani salafiti, usciti dopo anni allo scoperto, vanno all’assalto gridando: “Non c’è che un solo Dio e Maometto è il suo profeta”. E’ passato solo un mese, ma in Tunisia sembra sia trascorso più di un secolo.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio