Daniela StancoNel X anniversario della morte di Bettino Craxi, “Periodico Italiano” del 15 gennaio ha dedicato uno ‘speciale’ al leader socialista e, negli stessi giorni, ‘Sangel Edizioni’ ha pubblicato una raccolta di scritti a cura di Vittorio Lussana, titolata semplicemente “Grazie, Bettino” (78 pagine, euro 7, www.sangeledizioni.com).

Vittorio Lussana, nell’incipit del suo libro si legge una citazione dalla canzone “Try walking in my shoes” del gruppo pop inglese ‘Depeche Mode’ datata 1993: ha deciso di raccogliere queste pagine seguendo l’eco musicale di quel brano così bello? Soprattutto quando dice “provate a camminare nelle mie scarpe: inciamperete nelle mie impronte…”?
“Le difficoltà di comprendere le posizioni e le decisioni di Bettino Craxi derivano, a mio parere, da una mentalità piuttosto ipocrita dell’italiano – medio, che oggi è pronto a esaltare chi, già all’indomani, è disposto a gettare nella polvere. E quel brano dei DM, che tra l’altro è perfettamente contemporaneo al periodo storico dell’inchiesta di ‘Mani Pulite’, si riferisce al marchio di abominio che generalmente viene affibbiato dalle masse con estrema facilità: sei non sei un ‘ladro’, sei un ‘puttaniere’ o un ‘faccendiere’, uno che vive di espedienti, quando non un ‘frocio’, un ‘traditore’, uno che ‘sputa nel piatto dove mangia’ e così via. Tutti clichè assurdi, gretti e volgari. L’ipocrisia fa parte delle connotazioni culturali di fondo degli italiani, del loro cattolicesimo egoistico, opportunistico, a intermittenza. Ma nel caso di Craxi siamo di fronte a una vera e propria sovrapposizione di ambiguità, poiché assieme a un’ipocrisia umana, alla fin fine superabile tramite un qualsiasi dato di fatto, è stata volutamente sommata un’ipocrisia politica, poiché non si vogliono ammettere i due punti basilari di tale questione, fondamentali se si vuole comprendere la verità: a) il contesto storico ‘di provenienza’ del sistema politico italiano della prima Repubblica, che era quello di un Paese il quale, senza i Partiti, non poteva nemmeno ‘respirare’. Nella prima Repubblica, i Partiti non erano semplici ‘collettori’ di consenso o mere sedi di elaborazione programmatica, bensì si occupavano anche di fornire sostegno concreto alla propria comunità. In pratica, i comunisti trovavano un impiego grazie a un compagno che li ‘segnalava’ alla direzione del Partito, i socialisti erano costretti a sostenere le campagne elettorali di molti candidati provinciali e comunali non sempre in grado di reggere finanziariamente tali competizioni, i democristiani possedevano un sottobosco di incarichi e sottoincarichi di governo, nazionali e locali, che garantivano notabili e quadri intermedi, consentendole di ammortizzare i notevoli ‘costi sociali’ che garantivano la sua stessa esistenza. I Partiti della prima Repubblica, insomma, facevano questo genere di cose: soccorrevano famiglie in difficoltà, trovavano posti di lavoro stabili, assicuravano a un proprio simpatizzante di crearsi una famiglia e così via; b) in secondo luogo, il capitalismo italiano si è sempre imperniato attorno a due grandi ‘classi’ aziendali: una borghesia industriale assai ristretta e conservatrice, spesso in grave debito nei confronti dello Stato e delle scelte politiche di numerosi governi, e un ceto produttivo medio – piccolo abituato a cavarsela da solo rimboccandosi le maniche, assorbendo persino le cicliche crisi occupazionali e i vari esuberi delle imprese maggiori. Questo capitalismo sano, che io definisco ‘interstiziale’, poiché capace di creare occupazione e benessere anche in piccolissimi ‘interstizi’ dei nostri mercati interni o di quelli internazionali, in Italia trova sempre di fronte a sé delle vere e proprie ‘barriere d’entrata’, tese a impedire nuove forme di concorrenza effettiva, bloccando nuove espansioni soprattutto nei comparti produttivi interni. Tant’è che la tendenza di numerose imprese a delocalizzare la propria produzione all’estero, da molti ingiustamente criticata, non rappresenta nient’altro che una logica ‘valvola di sfogo’, un’esigenza causata dalla presenza di una ‘oligarchia’ - che non comprende solo banche e aziende private, si badi bene, ma interi ‘pezzi’ dello Stato – che ha sempre fatto e disfatto quel che le è parso e piaciuto, che ha finanziato i Partiti e la politica per poi liberarsene al primo ‘stormir di fronde’, scagliando accuse miste a giustificazioni a destra e a manca. Mi dispiace, ma questo è un ‘quadro complessivo’ che si continua a far finta di non vedere: la Dc risultava inamovibile grazie al proprio cinquantennio di gestione del potere, godendo, oltre a ciò, di finanziamenti di provenienza americana (così come il Pri e il Pli); il Pci aveva l’appoggio finanziario dell’Urss attraverso una serie di fondi che, non appena vennero a mancare, costrinsero il Partito ad abbandonare al proprio destino una testata giornalistica ‘gloriosa’ come ‘Paese Sera’ e a indebitarsi pesantemente; il Psi, invece, aveva poco o niente di tutto questo, se non una ‘domanda’ proveniente da alcuni ceti emergenti del nord’Italia affinché venissero rilanciati e sostenuti quei ‘quarantenni’ tenuti sotto ‘scacco’ dai ‘poteri forti’: dai ‘vecchi’, si direbbe oggi. Questa è l’analisi che andrebbe sviluppata se si intende veramente comprendere il ‘cortocircuito’ in cui sono finiti, nei primi anni ’90 del secolo scorso, Bettino Craxi e i socialisti. Un’analisi che non si vuol fare per non dover ammettere che il nostro vero capitalismo, in realtà, viene mantenuto ‘sott’acqua’ da una ‘borghesia’ priva di scrupoli, per dirla alla Pasolini, che ieri foraggiava i Partiti in cambio di aiuti e ‘aiutini’ e che oggi, dopo aver letteralmente distrutto la politica, propone un sistema basato su ‘relazioni personali’, bacini sulla fronte, ‘pacche’ sulle spalle, ‘cordate’ di imprenditori che ‘saltabeccano’ da questo a quel politico, da questo a quel partito, da questa a quella coalizione. Insomma, si è fatto saltare un sistema senza che questo venisse sostituito da uno nuovo, realisticamente alternativo. E si continua a far credere che i problemi siano stati causati da quei leader e da quei Partiti, senza rendersi conto che il modello sostanzialmente ‘feudale’ della nostra democrazia rappresentativa è rimasto perfettamente ‘in piedi’, se non addirittura sotto forme degenerative. Craxi gestiva un potere vero, concreto. E sapeva anche farlo funzionare. Fatti saltare quei meccanismi è venuta a mancare ogni genere di assistenza nei confronti del Paese reale. E proprio la sinistra italiana sta vivendo una crisi paradossale, perché stenta ancora a comprendere che, in Italia, è stata assassinata ogni forma di politica sociale da parte di un giustizialismo astratto, a lungo sostenuto da tutti i media e delle varie forme di populismo becero e arrogante insinuatesi nel ‘circuito’. Ha vinto il motto ‘ognuno per sé’, una logica che, per definizione, tende a favorire chi ha più mezzi, chi è più forte, chi è in grado di sostenere un’eterna guerra per ‘bande’ o una campagna elettorale perenne: per fortuna che erano Craxi e i socialisti a volere il ‘Far West’, ad essere descritti come dei gangster! Insomma, con il marchio di infamia del ‘Craxi - ladro’ non ci si rende conto che non facciamo altro che insultare noi stessi, poiché continuiamo a inciampare contro le ‘enormi impronte’ che questo leader ha lasciato sul terreno politico, le sole in grado di farci tornare tutti a una politica diversa, capace di delineare un più moderno ideale di società”.

Il titolo della raccolta, lo stesso ‘strillato’ dalla copertina di “Periodico Italiano”, sottintende un rapporto personale tra lei e il leader socialista?
“No: in un’intervista del 1996, Bettino disse che si aspettava che qualcuno gli dicesse un “grazie” per quanto aveva fatto e per i ruoli di alta responsabilità che egli aveva ricoperto, nel corso della sua carriera politica, al fine di rappresentare al meglio il nostro Paese. Dato che nessuno lo aveva ancora fatto, ho allora deciso di dirglielo io quel “grazie”, prendendomi il ‘lusso’ di andare controcorrente rispetto al pensiero comune del mio popolo e del mio Paese”.

Tra ‘successi e sconfitte’ dell’uomo politico, sia in politica interna che estera, per lei la bilancia pesa senz’altro più dalla parte dei primi?
“Assolutamente sì. Bettino è stato l’ultimo vero leader della sinistra italiana e un ottimo presidente del Consiglio. I comunisti avrebbero dovuto capire allora quel che non hanno mai voluto comprendere: Craxi era un uomo in gamba, con una cultura profondissima, che ha preso decisioni che, talvolta, persino nel suo stesso Partito non venivano comprese immediatamente. E’ stato ‘atlantista’ quando era necessario essere tali. Ed è stato antiamericano allorquando gli Stati Uniti hanno provato a trattarci come una provincia dell’Impero. Il dettato della sua politica estera è ancora tutto ‘in piedi’: l’Italia ha un proprio destino di media – potenza del Mediterraneo. E un nuovo socialismo - laico può svolgere una funzione di contenimento, di dialogo, addirittura di secolarizzazione nei confronti del mondo islamico, senza costringerci a pericolosi arretramenti tradizionalisti, senza dover ricorrere a vetuste ‘contaminazioni formali’, ad oscurantismi che ci avvicinano pericolosamente verso un nuovo scontro di civiltà. Chi oggi propone Antonio Di Pietro come leader della sinistra italiana, di fronte a questo genere di problemi e a tematiche così complesse mi fa solo venire da ridere: avete ancora presente quell’antica ‘risata di sinistra’ che seppellisce?”.

Cito dall’Introduzione: “Per pura sbadataggine ha stretto relazioni ‘pericolose’ e protetto personaggi inqualificabili”. Non le sembra qui di attribuire a Bettino Craxi un’ingenuità poco credibile?
“Non si tratta di ingenuità: le parole devono corrispondere a gesti reali e a fatti concreti. Chi conosce i Craxi come ‘ceppo familiare’ sa di che ‘pasta’ son fatti. Tutti loro, debbo dire. Essi sono dei lombardi un po’ timidi perché umanamente molto buoni, nel senso effettivamente morale di questo giudizio. Lo stesso decisionismo di Bettino era un superamento psicologico, uno scavalcamento di queste sue forme interiori di timidezza, di sensibilità. Da tale riflessione, io ho solo fatto discendere, secondo un’equazione logica che può anche essere considerata soggettiva, per carità, quelli che ritengo i suoi errori: una certa sbadataggine, di carattere umano, nel fidarsi di soggetti inqualificabili; l’aver fatto entrare nel Partito ‘la qualunque’ pur di far levitare il dato elettorale del Psi, senza sorvegliare il pericolo dell’arrivo, a mio parere verificatosi, di faccendieri e arrampicatori di ogni genere e tipo; infine, ha scambiato il ‘rampantismo’, ovvero l’ambizione disgiunta rispetto ai meriti, come un risvolto fisiologico della modernità. Questi sono stati gli sbagli più autentici di Bettino Craxi dovuti, tuttavia, a sue caratteristiche interiori di profonda umanità, ad una bontà personale poco conosciuta dall’opinione pubblica. Lui avrebbe aiutato tutti, se avesse potuto: comunisti, liberali, radicali, missini, palestinesi, ebrei. Queste sono cose che non si conoscono di Bettino, che sembrano quasi stonare con la sua immagine di abile ‘manovratore’, con le sue lunghe allocuzioni tutte ‘pause e sentenze’. Era un uomo incapace di mentire, di una cultura umanistica profonda: l’ultimo vero ‘cuore’ del Risorgimento italiano. Forse, la via è ancora lunga per comprendere storicamente questo leader. Tuttavia, la Storia non ha solamente i suoi tempi, purtroppo assai lenti, ma anche le sue verità. E sarà la Storia a dar ragione a Bettino Craxi, con buona pace di tanti italiani qualunquisti, ignoranti e cafoni”.

Nel n. 2 di “Periodico Italiano”, quindicinale ora in edicola, Bobo Craxi, rispondendo alla domanda “esiste un filo conduttore tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi per quanto riguarda i rapporti con la magistratura?” ha dichiarato di non vedere alcun nesso: lei è d’accordo?
“Sì, sono d’accordo: Bettino era un politico puro, che avrebbe cercato di risolvere politicamente i problemi con la magistratura. Berlusconi, quanto meno il Berlusconi di oggi, è invece un misto tra esperienza imprenditoriale e qualche elemento di moderatismo, sopraggiunto in seguito alla crescita della propria esperienza politica. Craxi avrebbe sollevato il punto di una legge sul finanziamento pubblico ai Partiti sostanzialmente aggirata da tutti per almeno un ventennio e, improvvisamente, divenuta un reato gravissimo. Oppure, avrebbe chiesto un dibattito di ampio respiro dottrinario, giuridico e culturale in grado di portare la magistratura a confrontarsi con se stessa, affinché comprendesse la distanza tra un’idea di legalità intesa letteralmente, se non ideologicamente e una reale applicazione interpretativa di una norma rispetto ai fatti. Al contrario, Berlusconi adotta, da buon imprenditore, una tattica difensiva, ritenendo necessario proteggere, con un certo grado di comprensibilità, tutto il proprio percorso imprenditoriale e politico. Insomma, Craxi era un ‘totus politicus’, Berlusconi, invece, no”.




(intervista tratta dal quotidiano 'Avanti!' del 24 gennaio 2010)
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random - ravenna - Mail Web Site - martedi 2 febbraio 2010 21.45
Da tempo sostengo e a tutt'ora continuo a sostenere che la società si trovi in una confusione terribile non solo di identità politica ma anche sociale culturale che sembra partire dal '68 con un disegno legittimo di richiesta di innovazione rispetto alla mentalità "provinciale" del ventennio. Chi si è forgiato di "progressista" in realtà si ritiene non responsabile di qst stilicidio di tradizioni e del "buon senso" a favore di un demagogico "futurismo" che non ha nulla a che fare con l'innovazione. Si, perchè innovazione tiene conto di un chiaro background che faccia da apripista e che sostituisca dignitosamente ciò che si è ritenuto "distruggere". Parlo dell'idea di istituzione, della famiglia, la scuola, il lavoro...l'onestà, il senso civico.. In definitiva ci siamo trovati in ql "buio medioevale" dove i valori e la cultura del bel costruire rinascimentale si è sostituito ai torrioni di pietra spessi 2 metri per difendersi dall'ignoranza di chi poi li ha costruiti. Insomma il contributo di premi nobel come Dario Fò e la sua "valletta Franca Rame", Beppe Grillo, Benigni e tanti altri progressisti hanno distrutto e deriso e "giustiziato" ogni forma di ql buonsenso che era parte integrante del senso civico. "Noi" perchè non abbiamo mai condiviso qst demagogia del "non fare" , che non abbiamo mai voluto appartenere alla sx, siamo stati sempre chiamati "fascisti"..come è stato per Bettino..oggi Berlusconi!!..per troppo lungo tempo abbiamo dovuto sostenere un bavaglio per non essere linciati e condannati eversivi alla Repubblica per sostenere l'ingiusta condanna a Craxi .. Insomma non vogliamo mai esprimerci chiaramente che si è dato spazio all'ignoranza "comunista populista", giustizialista arrogante e cafona, che ha pensato solo a prendere poltrone e difendere interessi di categoria come ql sindacale per poter controllare la classe operaia allora più numerosa..quella che oggi non sa che dire sempre no!!. Siamo ancora qui a pensare che esista una idea laica di sx?? quella costruzione della polis ideale marxista leninista che possa salvarci dalla civitas capitalista??? Vogliamo iniziare con fermezza a tirare in fronte quelle grosse monete di commemorazione coniate nella prima Repubblica, a chi le ha tirate a Craxi??


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