Tommaso Crudeli

E’ veramente invidiabile la puntuale chiarezza e la schematica sinteticità di cui è stato capace Gianni Barbacetto nell’illustrare, indirettamente, tutti i principi cari ai forcaioli di ogni epoca. Basterà dire che nell’intervista, tutta incentrata su giustizia e intrusione nel regolare svolgimento della vita privata dei cittadini, non vengono mai citati, neanche per sbaglio, termini quali: presunzione di innocenza, diritti individuali, privacy, tutela della dignità. Per quelli come Barbacetto esistono solo i colpevoli, oltre ovviamente ai “santi” inquisitori e i loro araldi. Nonostante i Barbacetto, che sono sempre esistiti, i moderni Stati liberali sono nati, con le costituzioni prima e con i codici poi, proprio per tutelare il cittadino dal potere e dagli abusi che lo Stato esercitava nei sui confronti attraverso i propri procuratori. Certo, l’antagonismo tra assolutismo e libertà, che ancor oggi viviamo, ha avuto alterne fortune. Si pensi al codice del liberale Zanardelli: quando fu promulgato erano previste sanzioni a carico del magistrato per il ritardo di sole 48 ore nell’interrogatorio dell’imputato detenuto. Quelle norme furono poi abrogate nel 1913, dinanzi al progressivo affermarsi del mito della sicurezza sociale, cui vennero sacrificate così facilmente le garanzie e le esigenze di libertà. Oppure a Maria Teresa d’Austria, che nel 1766 pensava di abolire la pena di morte e la tortura a Milano: dovette rinunciare per l’opposizione del presidente del Senato dei Giudici, Gabriele Verri (padre di Pietro Verri, autore di osservazioni sulle torture) il quale sosteneva che ciò avrebbe procurato danno enorme alla sicurezza pubblica. Le stesse motivazioni che  Barbacetto, e quelli come lui, oggi utilizzano per le intercettazioni, moderna tortura mediatica. Ma la questione delle intercettazioni, anzi della loro pubblicazione, merita un più specifico approfondimento. L’azione giudiziaria si compone di due parti chiaramente divise e diverse l’una dall’altra: l’indagine ed il  processo. L’indagine è riservata, riguarda la polizia e il pubblico ministero, il cittadino può persino ignorare che su di lui si sta procedendo. Se l’inquirente, nella sua discrezionalità, ritiene che vi sia colpevolezza procede con il rinvio a giudizio ed inizia il processo. Che è pubblico. Anche questo è frutto della cultura delle  garanzie contro lo Stato assoluto. La pubblicità del processo e della sentenza, sono lo  strumento del controllo popolare che sia garantita la possibilità di difesa e la parità fra accusa e difesa, per un cittadino, ricordiamolo, presunto innocente fino a sentenza definitiva. Battersi per la possibilità di divulgare, come ora avviene, le intercettazioni, prima della fase pubblica, cioè del processo, equivale ad annullare la pari possibilità di difesa. Vuol dire esporre il cittadino alla gogna mediatica, agli istinti peggiori della natura umana. Probabilmente Barbacetto non ha mai letto Emile Zola che, parlando di un caso giudiziario (Dreyfus) passato alla Storia, scriveva: “Non bisogna far appello alla folla in nessuna circostanza. Disapprovo energicamente la ferocia delle folle aizzate contro un uomo solo, fosse pure cento volte colpevole”. Diciamolo chiaramente: è spregevole indurre alla distruzione della personalità di un cittadino, presunto innocente, della sua  vita relazionale in un momento in cui è inconsapevole, impotente, muto. Equivale a picchiare violentemente una persona legata, non in grado di difendersi.  Chi giustifica la pubblicazione delle intercettazioni con la libertà di stampa e di informazione trucca le carte. Quella libertà, che è un diritto collettivo, esiste solo quando non viola il diritto alla riservatezza, che è un diritto individuale. Esiste cioè solo quando un interesse pubblico prevale su quello privato. Il che avviene appunto con la necessità di celebrare un processo. Quindi sì alla pubblicazione delle intercettazioni, ma solo quelle di prevalente interesse pubblico, cioè quelle relative agli imputati, che il magistrato ha ritenuto di far confluire nel fascicolo processuale. Il resto è solo veleno propalato da chi ha trasformato la cronaca giudiziaria in un infame quanto redditizio mestiere di ‘untori’. Non ci sarebbe altro da aggiungere se non vi fosse da commentare la truce affermazione di Barbacetto che definisce le microspie le ultime sentinelle della democrazia. Niente valgono le libere elezioni degli organi elettivi, che vanno dalle circoscrizioni all’Europa, passando per il Parlamento, il presidente della repubblica, la corte costituzionale. Per questo signore le sentinelle della democrazia italiana sono le microspie. C’è del metodo in questa assurdità. Se si teorizza lo Stato assoluto, lo strumento più adatto alla sua difesa non può che essere l’attività di controllo esercitato dalla polizia. Che come tutti sanno è sempre stata la migliore sentinella di ogni regime totalitario.


 




 

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