Vittorio LussanaA partire dagli anni ’90 del secolo scorso, si possono scorgere alcuni 'momenti-soglia' che il nostro Paese è riuscito a superare, seppur disordinatamente. L’entrata dell’Italia nell’Unione europea ha reso più difficile, per un Paese 'zavorrato' da una subcultura cattolica, resistere ad alcune precise forme di modernizzazione socioeconomica. E l’ingresso nell’area dell’Euro ha liberalizzato la circolazione di merci, cittadini e capitali all’interno di un orizzonte più vasto, rendendo impossibile rifugiarsi in forme di svalutazione della moneta come unico metodo per abbassare i prezzi e rendere più convenienti gli investimenti, finendo con l’alimentare la nostra condizione debitoria. In seguito, sono arrivati l’Expo di Milano del 2015, che ha cambiato profondamente il volto della metropoli meneghina, generando uno sviluppo dell’hinterland milanese in una logica di equilibrio tra città e campagna. Dopodiché, sono arrivate le Unioni civili e i social network, che hanno costretto interi ambienti, tradizionalmente corporativi, per non dire feudali, ad aprirsi alla società che ci circonda e alla cultura mittle-europea. Infine, è giunta, dopo quasi un secolo, la pandemia che, bene o male, è stata gestita assai coraggiosamente dagli ambienti politici e intellettuali progressisti, i quali hanno evidenziato la nostra scarsa cultura scientifica e le manchevolezze del nostro sistema sanitario. Alla luce di tutte queste 'svolte', affrontate con decisione pur rimanendo all’interno di un alveo giuridico costituzionale, è emersa una destra che altro non è che il luogo del disimpegno e delle dissimulazioni, dei giudizi astratti e delle fake news. Una destra profondamente illiberale, convinta che la politica sia solamente propaganda o la capacità di usare ogni malizia possibile contro l’avversario politico, testimoniando come sia stato proprio il centrosinistra a difendere e a garantire tutte le culture 'aperte', compreso il liberalismo. Va da sé, che chi si professa liberale non dovrebbe stare nel campo del conservatorismo statico, che non getta via niente, nemmeno il razzismo. Ma tant’è: ognuno è libero d’impiccarsi alla 'corda' che vuole... Sia come sia, adesso saremmo di fronte a un nuovo 'momento-soglia': completare la costruzione degli Stati Uniti d’Europa in quanto obiettivo politico, per frenare l’ascesa delle destre nazionaliste alle prossime elezioni europee. Un appuntamento cruciale per la politica continentale e mondiale di quest’anno. Sarebbe cioè necessario un vero 'salto di qualità' nell’integrazione politica dell’Europa: un argomento che non può essere relegato a mera questione tecnica, anche a costo di apparire impopolari o controcorrente. Se veramente si vuole un’Europa che esprima una propria politica diplomatica e di difesa, bisogna mettersi nelle condizioni di produrre una politica estera, costruendo una nuova architettura federale che si dimostri, al contempo, più rapida e incisiva nelle sue decisioni, da assumere a maggioranza e senza veti da parte di un qualsiasi Stato-membro. In merito a questo punto, ci sarebbe anche il tema della critica ai nazionalismi, che in parte non condividiamo: il problema del secolo scorso, infatti, fu quello dei fascismi e dei totalitarismi, i quali fagocitarono i nazionalismi, militarizzandoli. Ma la diffusione di alcuni rigenerati valori di patriottismo non è un’idea da rigettare, bensì da reinterpretare, anche al fine di togliere benzina al serbatoio delle subculture demagogiche e 'populiste'. E’ vero: l’attuale sistema europeo, in realtà, risulta dominato dagli Stati. E senza il superamento del diritto di veto, non si andrà da nessuna parte. Ma il rispetto effettivo dello Stato di diritto e, volendo, un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, potrebbero rappresentare dei passaggi significativi, in grado di rendere più incisiva la politica estera della futura entità federale.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata su www.gaiaitalia.com)

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