Nicola CarigliaSi è svolta a Firenze, sabato 17 giugno, l’assemblea promossa da sessanta associazioni e circoli per dare vita ad un soggetto nuovo che promuova l’unità nel campo laico, liberale e socialista. Nel campo del centrosinistra si discute della formazione di un Partito Democratico e nel centrodestra del Partito unico dei moderati. E’ fondato ritenere che l’uno e/o l’altro soggetto possano essere in grado di rappresentare istanze e soluzioni ai problemi della società italiana coerenti con la cultura laica, liberale e riformista? O è più realistico un dubbio: che il partito democratico, da una parte, sia lo strumento per perpetuare il potere degli eredi del comunismo e dell’integralismo cattolico, e il partito unico dei moderati il mezzo con il quale Berlusconi neutralizza le spinte centrifughe di An e Udc senza però recuperare i valori di partito liberale di massa, strangolato nella culla dalle pulsioni clericali e reazionarie di alcuni alleati? Dalla diaspora del dopo Tangentopoli ad oggi, laici, liberali e socialisti si sono svenati a combattere guerre per conto terzi: per il centrodestra o per il centrosinistra. Lo hanno fatto con un impegno degno di miglior causa.
Erano ininfluenti e si davano addosso con cattiveria, come se le sorti del Paese dipendessero dal numero di ex compagni del fronte opposto che riuscivano ad ’accoppare’ politicamente. L’assemblea di Firenze, promossa da una sessantina di associazioni e circoli, è stata prima di tutto una occasione per gridare alto e forte che laici, liberali e socialisti devono parlare ad una sola voce e riconquistare la propria autonomia. L’illusione di lucrare rendite sulle vecchie e gloriose sigle deve essere abbandonata nel nome di un nuovo soggetto che tragga dai vari filoni riconducibili alla cultura laica e liberalsocialista le proposte per la società di oggi. Naturalmente non abbiamo preteso che questo soggetto nascesse già a Firenze. Ci siamo accontentati di creare una rete di circoli, club, associazioni che operi in tutte le regioni, possibilmente in ogni provincia, che abbia questo obiettivo. E che, per raggiungerlo stimoli già a livello locale occasioni di dibattiti, incontri e iniziative politiche, comprese quelle elettorali. Certo, coinvolgendo innanzitutto i tanti soggetti che si richiamano, tanto nel centrosinistra quanto nel centrodestra, alla cultura laica e liberalsocialsta. Ma non soltanto. Perché una cosa la sappiamo per certa: non possiamo esaurire la nostra azione nella rincorsa di quel 20-25% di elettori che votavano i partiti laico-socialisti fino al 1992. Nel frattempo c’è stata una mutazione genetica che impedisce a molti di tornare sui propri passi. Meglio, dunque, avventurarsi in territori nuovi e sconosciuti a portare il nostro “verbo”. E non dovremo continuare nell’assillo di dare risposte che nessuno ci chiede sulla nostra collocazione. I due schieramenti hanno molti più punti in comune di quanto non sembri, soprattutto in negativo: classe dirigente inadeguata, verticismo, scarsa attenzione per i principi elementari della democrazia rappresentativa (vedi abolizione del voto di preferenza), rinuncia alla responsabilità della politica per delegare la soluzione dei problemi alla Chiesa e altre Istituzioni che hanno occupato il vuoto della politica (sindacati, magistratura, poteri economici). Per questo dovremo pensare innanzitutto a recuperare un ruolo, possibile a tre condizioni: autonomia, unità e coraggio. Poi, soltanto poi, decideremo se e a quali condizioni allearci con uno degli altri due schieramenti. Quello che ci offrirà maggiori garanzie di non dover snaturare la nostra identità.


Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà'
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