Raffaello MorelliIl cinquantenario della Legge n. 898 del 1° dicembre 1970 sullo scioglimento del matrimonio non può essere un rito della memoria e basta: fu un cambiamento epocale dei rapporti tra i sessi che è vivo ancora oggi. Ma perché e come ci si arrivò? Il perché fu il voler introdurre i caratteri di civiltà del nuovo istituto. I nemici furono l'arretratezza di ampie fasce della società e le fantasiose paure secondo le quali il divorzio avrebbe disgregato la famiglia. Si trattò di convincere i cittadini che non si può stabilire 'a tavolino' come va la vita: un matrimonio fallito non si aggiusta stabilendo per legge che non si può correggere l'errore. Non sciogliere un rapporto malato crea una società con chiaroscuri medioevali, dove vige il conformismo deteriore delle apparenze. La civiltà laica, invece, si basa su rapporti trasparenti tra individui diversi. Si arrivò, così, alla Legge n. 898/1970 costruendo un 'divorzio serio', con garanzie atte a evitarne ogni abuso e porre un rimedio dopo le decisioni coniugali. Fu un farmaco salutare per impedire il protrarsi dell'ipocrisia, del ricorrere ai meschini sotterfugi. Del resto, anche per i figli, il penoso spettacolo degli inganni reciproci non era un ambiente adatto a una formazione equilibrata. Un 'divorzio serio' era  sicuramente preferibile all'ipocrisia del 'divorzio all'italiana', fatto di violenza e doppiezze. E non avrebbe creato, come non creò, divisioni di natura religiosa. Il percorso della legge fu accidentato. Oltre alle iniziative di Fortuna e Baslini, per oltre un anno solo il Pli scelse la linea divorzista: il Psi non appoggiava Fortuna (lo farà solo dall'autunno del 1968 in poi...); il Pci esibiva una fredda ostilità; la Dc e l'Msi erano contrari (e con una compattezza superiore a quella ecclesiale). Poi, con un'azione capillare seguita dalla stampa - con l'aiuto dei settimanali 'Abc' e 'l'Espresso' - e con la spinta di alcuni gruppi della società, come la Lega italiana per il divorzio e una selva di associazioni locali di cittadini socialisti, liberali e radicali, il progetto di legge unificato 'Fortuna-Baslini' conquistò la maggioranza in parlamento. In tutto il percorso, fu seguita la linea delle idee riferite alla vita di tutti i giorni e dei principi politici da adottare per realizzarle. Ebbe successo prima in parlamento e, tre anni e mezzo dopo, al referendum, contro le previsioni non solo della Chiesa e della Dc, ma persino del Pci: le prime due erano convinte, mentre il terzo temeva che il parlamento non rappresentasse davvero la volontà dei cittadini. Invece, la maggioranza nelle urne fu perfino più ampia di quella parlamentare. In seguito, gli aggiustamenti alla legge ne hanno irrobustito l'impianto. E oggi, persino gli avversari di allora riconoscono l'importanza di averla introdotta. L'insegnamento da trarne è che la forza della linea civile laica è il suo rimanere sempre focalizzata sulla realtà del vivere individuale e sul fare leggi capaci di formare rapporti aperti di libertà. Mai la linea civile laica può voler stabilire per i cittadini un 'dover essere' ideologico. E' il punto essenziale. Purtroppo, è anche un punto trascurato, in specie dai mezzi di comunicazione: stampa, tv e social. Si omettono i fatti reali in nome della frenesia di 'notizie-bomba', del ridurre la vita a spettacolo. Una pessima tendenza che iniziò nel decennio successivo a quel 1° dicembre 1970, quando i mezzi di comunicazione instillarono la convinzione, falsa, che divorzio e aborto fossero opera dei radicali, i quali, all'epoca, non erano in parlamento e, quanto all'aborto, non furono mai favorevoli alla Legge n. 194/78, contro la quale votarono 'No' in parlamento e 'Sì' per abrogarla al referendum del 1981. Da qui è iniziata a diffondersi l'idea che non conti il parlamento, ma ciò che si presume vogliano le 'piazze' e i mass media.




Presidente della Federazione dei Liberali itaiiani

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