Vittorio CraxiNoi socialisti abbiamo vissuto mesi importanti, difficili, ma al tempo stesso esaltanti per la portata delle decisioni che abbiamo saputo assumere in piena libertà ed in perfetta sintonia con la nostra storia politica e la nostra identità. Io penso ancora di più, in questo momento, che la presenza dei socialisti, riformisti e liberali sia fondamentale per la sinistra del nostro Paese. Lo è per la straordinaria esperienza che affonda le sue radici nella storia di tutto il novecento. Lo è per la ragione pratica che impone ad un socialista riformista moderno di saper osservare il proprio presente sapendo scrutare l’orizzonte e riqualificare le ragioni di un impegno politico che, oggi, in questo momento, in questa Italia, impone un’assunzione di responsabilità per scongiurare, negli anni a venire, un declino che sembra toccarsi con mano, per rilanciare la prospettiva di una sinistra capace di guidare i poderosi cambiamenti nazionali ed internazionali senza mai venire meno e senza far cadere la propria fede ed i propri ideali nel riscatto di chi sta peggio, nella capacità di mantenere vivo il desiderio di promuovere maggiore giustizia sociale, equità, solidarietà di fronte ad una società profondamente egoista, iniqua, che ha reso tanti più insicuri e meno pronti ad affrontare le sfide del futuro. Noi abbiamo voluto fare un percorso limpido, chiaro ed onesto. Abbiamo separato i nostri destini dal blocco moderato sapendo benissimo che avremmo affrontato una navigazione difficile e non scontata. Quando gli obiettivi e gli approdi sono chiari, i socialisti non si sono mai sottratti dal pericolo della navigazione.
Io non credo che avessimo bisogno di una carta bollata per stabilire l’esito e le ragioni di una divisione congressuale. Noi abbiamo scelto la libertà, il progresso, il futuro. Altri hanno scelto la conservazione, la stagnazione e la prigionia nella ‘Casa del Grande Fratello’. Presto o tardi verranno eliminati anche loro. Qui sta il Partito dei socialisti, con gli uomini ed i simboli che rappresentano una tradizione ed una lunga stagione di impegno, di lavoro e di responsabilità istituzionale. Qui vi è un ‘corpo vivo’, che non ha mai sentito il bisogno di costruire sul rancore una posizione politica, ma una visione chiara che, nell’avvenire, quello più ravvicinato e quello più lontano, o riacquistano peso, valore e funzione politica le antiche ma non sopite tradizioni democratiche del nostro Paese, o ci ritroveremmo in un sistema democratico più povero di idee, di valori, di tradizioni, in particolare quelle tradizioni che hanno garantito a questo Paese sviluppo, benessere, democrazia nella fase più drammatica della vita politica repubblicana. Quali impegni di fronte a noi, quali le responsabilità politiche che intendiamo assumere, quali le ragioni e le riflessioni generali che dobbiamo fare preparandoci ad affrontare una campagna elettorale che si registra incerta ed intensa per tante ragioni? L’impegno principale è sintetizzato nel breviario del perfetto riformista: fare ancora quello che non c’è e cambiare quello che non va. Più che fare il bilancio dell’azione di un governo, diviene lecito domandarsi e domandare se quadrano i bilanci delle famiglie italiane, se l’ansia di affrontare il futuro è colma di entusiasmo o di preoccupazione, se le ragioni che oggi vengono difese da qualcuno con iattanza e non senza spregiudicatezza corrispondono a verità o sono un esercizio rinnovato di un illusionismo che ben conosciamo e che non ci porta e non porterà l’attuale capo del governo da nessuna parte. La crisi di panico non viene a Romano Prodi, ma agli italiani, se si pensa di continuare senza alcun rispetto e riguardo politico ed istituzionale a snocciolare dati inesistenti per ricreare nel Paese un rinnovato appello alla barricata ed allo ‘spartiacque quarantottesco’, ad affrontare senza senso della realtà un giudizio popolare che ha già condannato la Casa della Libertà più volte nel corso della legislatura, un giudizio che non è stato capace di imprimere al corso delle cose un cambiamento radicale o strutturale del modo di agire e di governare il Paese. Io non voglio parlare con la voce dell’ingratitudine, ma con l’animo di chi ha compreso, nel corso degli anni, che una gravidanza isterica che produceva leggi su leggi, alcune inutile, alcune dannose, ha fatto in modo che venisse scambiato per riformismo ciò che è sempre apparso un confuso e farraginoso ‘tran-tran governativo’, che oggi si ritiene possa essere coperto da una poderosa iniziativa mediatica che non fa altro che confermare il grave stato di anomalia democratica in cui versa il Paese e la paradossale situazione di un ‘bipolarismo all’italiana’ che ha moltiplicato, con il maggioritario, i partiti e il loro potere di interdizione e che oggi ci consegna un sistema elettorale che si raccomanda per la sua incomprensibilità. Il maggioritario ha accentuato il peso delle grandi formazioni politiche: la sua idea di fondo era quella di promuovere un cambiamento sostanziale, nella vita politica del Paese, fondata su blocchi politici differenti che, tuttavia, si intendeva facessero riferimento alle grandi famiglie politiche del continente europeo. Diciamo che se quelle erano le giuste e le buone intenzioni, oggi, nella sua applicazione, si deve rivelare che l’anomalia del principale partito di governo rischia di evidenziare una similitudine con il maggior partito dell’opposizione, ma con una differenza che appare sostanziale: il partito guidato da Silvio Berlusconi non ha saputo recidere la propria ‘cinghia di trasmissione’ dal ‘padrone’, da un’idea monocratica e plutocratica della politica, che ha prodotto più paradossi e contraddizioni che reali cambiamenti e novità nel Paese. Quando, anziché valorizzare le forze alleate ed il pluralismo di una coalizione, si tende a ‘cannibalizzare’ le altre formazioni, ci si ritrova di fronte ad una vera e propria ‘mostruosità’ politica: quella che pretende di tenere assieme gli eredi del ‘ventennio’ e gli eredi della repubblica sociale, i monarchici e i repubblicani, accanto a pseudo-socialisti e ‘democristiani di complemento’. Per non parlare del peso spropositato e decisivo che ha esercitato, nell’azione di governo, quella che poteva all’inizio apparire come una salutare ventata di autonomismo politico e di svecchiamento della società oggi trasformatasi in un’armata di potere ‘brancaleonica e pasticciona’, impigliata in un bieco affarismo che ricorda tanto i metodi e le pratiche che per un decennio erano stati contestati proprio ai partiti della ‘prima Repubblica’. Di fronte ad una crisi dei partiti tradizionali - che non riguarda di certo le loro dottrine e delle loro idee, le quali possono essere aggiornate riqualificate e rilanciate nella lotta politica e nella pratica quotidiana - io penso sia giusto salutare il successo di partecipazione democratica e popolare delle primarie in Italia come un fatto di grande novità. Questa novità, io penso si debba intendere come un successo politico personale di Romano Prodi. Il buon esito di questo metodo di legittimazione popolare è stato così significativo che essa andrebbe costituzionalizzata, dato che, per la prima volta, dopo anni, persino nella vicina Francia si è parlato di una necessità di dare vita a elezioni “à l’italienne”. Noi non siamo stati alleati di Romano Prodi negli anni novanta, quelli del cosiddetto cambiamento, del rinnovamento e della ‘falsa rivoluzione’ italiana. Ma socialisti più anziani di me sono stati suoi alleati nel corsi di tutti gli anni ‘80, in quel fecondo periodo che chiamavamo: la ‘collaborazione – competizione’ con la Dc. Ne abbiamo, da avversari, apprezzato il suo equilibrio, il suo senso dello Stato e l’indiscutibile coraggio con cui ha deciso di indossare i panni del leader politico dopo una lunga consuetudine di impegno istituzionale. Tanto più coraggioso se si pensa che egli proveniva da una tradizione politica e culturale differente, che ha dovuto calarsi nei panni di un federatore di tradizioni diverse, che lungamente si erano combattute e confrontate e che spesso erano rimaste intrappolate entro ‘armature ideologiche’ ormai troppo spesse e pesanti per poter affrontare, con spirito nuovo e mutato, i bisogni di una società profondamente cambiata. Se la cifra politica di un’alleanza è anche, in una prospettiva più a lungo termine, quella di un autentico riformismo, io penso che non vi sia nessuna - e dico nessuna - ragione perché i socialisti italiani non debbano ritenere di sentirsi a proprio agio, anzi di sentirsi a casa propria, nella casa di quel riformismo che è proprio della tradizione socialista e che, nella storia della sinistra italiana, è stato aspramente combattuto, contrastato, isolato. E che se ne faccia oggi abbondante riferimento, non può che compiacere, rallegrare e soddisfare tutti coloro che nel riformismo dei padri, e cito per tutti l’avvocato milanese Filippo Turati, comprendono come vi sia un implicito riconoscimento alle proprie speranze, alle proprie battaglie, al proprio metodo di lotta e di lavoro, di impegno amministrativo e sindacale, politico e sociale. “Il riformismo non è un punto geometrico a metà strada fra destra e sinistra: chi crede in esso, ha la consapevolezza che la storia sia una sfida e che a questa sfida si deve corrispondere sapendo che il riformismo è lo strumento per realizzare ciò che un tempo si chiamava il perseguimento della felicità”. Sono le parole di Romano Prodi in una lettera di impegno e di impegni al quotidiano ‘Il Riformista’. Ad esse il Presidente ha voluto aggiungere anche l’aggettivazione ‘radicale’, inteso come la capacità, la forza e la determinazione con la quale s’intendono raggiungere obiettivi di cambiamento e di modificazione effettiva della realtà. Per sua natura, il riformismo è graduale e conosciamo quanto quest’elemento di gradualità abbia diviso e possa ancora dividere, oggi, la sinistra italiana. Ma appare altresì coerente e corretto sostenere che il concorso di forze politiche per la formazione di un nuovo governo deve e può avvenire fra diverse culture e tradizioni che convergono in una forte alleanza riformatrice che deve poggiare sulla necessità di un vasto programma di rinnovamento e di ripresa del nostro Paese in grado di affrontare questioni politiche, economiche e sociali di prima grandezza. C’è, infatti, una questione sociale. E la sua immagine risiede nella paura e nell’insicurezza del futuro per le giovani generazioni, per l’arretratezza di tanti settori della nostra società, per la scarsa innovazione e competitività delle nostre imprese che si riflette negativamente su dati occupazionali che faticano a diventare definitivi e per tutti. Una questione sociale che attraversa il nostro sistema scolastico, iniquo ed arretrato. Una grande questione sociale rappresentata dal nostro Mezzogiorno. C’è una questione nazionale che investe sia la competenza del futuro governo, sia la responsabilità dei cittadini, che in blocco dovranno respingere un progetto di nuova Costituzione che divide ad allarga solchi egoistici nel nostro Paese e che non è in sintonia né con l’innovazione, né con la tradizione. C’è poi una questione morale, che riguarda la necessità di accrescere la capacità di regolamentare la democrazia economica, di respingere sia la criminalizzazione dei partiti e dei settori economici legati alla cooperazione, ma anche l’ipocrisia e la disinvoltura con cui si è trattata questa materia negli anni ‘90, ritenendo criminale un intero sistema senza riuscire a separare qualche indubbia degenerazione rispetto alla assai più complessa questione che investiva l’intero sistema politico il quale, per sua natura, non poteva eludere la necessità di finanziarsi, al fine di evitare processi oligarchici e plutocratici che rappresentano l’esatto contrario della democrazia. C’è inoltre una nuova questione che investe la necessità di promuovere diritti civili difendendo le prerogative della laicità dello Stato. Io credo debbano essere contrastati gli eccessi di chi vuol calpestare questa prerogativa, ma anche quelli di chi, nel volerla difendere, s’ispira ad un vetusto anticlericalismo proprio di minoranze arrabbiate, che non si addice ad una maggioranza politica che vuole rappresentare la maggioranza degli italiani. Noi siamo il partito che vuole far rispettare i patti Concordatari. A maggior ragione quando questi s’intendono violati su punti riguardanti i suoi meccanismi di reciprocità. Ma non siamo il partito dell’abrogazione. Se Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica ha inteso sottolineare che il ruolo della Chiesa non è quello di sostituirsi allo Stato, ciò significa che vi è una piena consapevolezza che, in un mondo di crescenti fondemantalismi religiosi, la Chiesa di Roma vuole perseguire i propri obiettivi di fede risvegliando forze spirituali e non contrastare l’autonomia di realtà temporali che, per loro natura, sono laiche e pluraliste. La società occidentale non corre il rischio dell’affermarsi di una teocrazia di stampo cattolico. Ma tanto più è fragile un senso di comunità civile, di libertà nella responsabilità, tanto più la Chiesa tende a sostituire il ruolo di forze politiche che devono essere maggiormente in grado di mantenere alto lo spirito e il valore della laicità dello Stato difendendo il pluralismo delle fedi, degli orientamenti e dei convincimenti etici. La vittoria dei fondamentalisti islamici in Palestina è la sconfitta di tutti coloro che hanno pervicacemente indebolito il ruolo politico dell’Autorità palestinese in questi anni. La pace si fa più difficile. E il nostro impegno dovrà essere assoluto e prioritario. Con il senno di poi, non possiamo non vedere che tanti errori sono stati commessi sul cammino della pace, e che la stessa dottrina dell’esportazione della democrazia in condizioni di immaturità e di precarietà del tessuto civile, espone le società arabe a rischi incontrollabili. Ci auguriamo che prevalga la ragione, il dialogo, la pace. Recentemente, si è celebrato il giorno della memoria della comunità ebraica. E tutti noi avremmo voluto parteciparvi con tutto il nostro animo, come facciamo in ogni caso quest’oggi sapendo che nel mondo qualcuno dichiara di voler annientare lo stato di Israele e distruggere gli ebrei. Questo è inaccettabile! L’Italia, grande nazione del Mediterraneo, riprenda il proprio ruolo centrale nella comunità europea di essenziale ponte fra l’Europa e il Mediterraneo. Vogliamo partecipare alla vittoria del centro-sinistra del nostro Paese e ci siamo mossi per unire i socialisti. Saremo tanto più lieti se ciò potrà avvenire attraverso un accordo politico convincente e chiaro con i compagni dai quali siamo stati divisi in questi dieci anni, purché naturalmente avvenga nella chiarezza dei propositi, dei programmi, del rispetto che si deve ad una forza politica come la nostra. L’orizzonte ideale e politico nel quale noi ci muoviamo resta ancorato alla grande tradizione del socialismo italiano che fa riferimento al Partito socialista europeo, di cui siamo fondatori, e dell’Internazionale socialista. E’ giusto cambiare, innovare, sintonizzare le proprie lancette con l’orologio dell’attualità e non del passato nella grande dottrina del socialismo democratico internazionale. Si riconoscono, oggi, tante esperienze che restano nostri saldi punti di riferimento. In particolare, quando esse hanno saputo aggiornare ed ammodernare le proprie dottrine, il proprio bagaglio di idee, di metodi e di pratiche. Socialismo liberale e socialismo mediterraneo, nell’esperienza di leader prestigiosi come Tony Blair o il giovane leader spagnolo Zapatero, possono e devono trovare una traduzione ed una declinazione italiana. Dobbiamo certamente aggiornare, innovare, contaminare ma non cancellare, assorbire e distruggere le esperienze del socialismo italiano, alle quali sono legati tanti concittadini che intendono mantenere questo saldo punto di riferimento politico. Noi, in ogni caso, siamo pronti per condurre una battaglia politica alta, chiara, limpida. Nulla abbiamo da chiedere: siamo una forza autonoma di uomini e di donne che hanno saputo, nel tempo, ricostruire una propria posizione nella società politica e nella società civile. Battuti, dispersi, a volte derisi, i socialisti, oggi, sono di nuovo qui: i socialisti sono questi. Non ci presentiamo con il ‘cappello in mano’, ma con un garofano rosso all’occhiello, con il simbolo del mondo del lavoro e della tradizione socialista. L’Unione apra le sue porte: on s’engage et puis on verra. Impegniamoci e i risultati non tarderanno a venire. Questo è il nostro passato, questa la nostra Storia di cui possiamo andare orgogliosi. E’ la storia di ieri: oggi guardiamo avanti, poiché abbiamo di fronte un nuovo futuro per tutti i socialisti di questo Paese.


Segretario Nazionale del Nuovo PSI
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