Vittorio LussanaIl progetto di legge approvato di recente al Senato e in questi giorni in discussione alla Camera, nel suo sforzo di razionalizzazione delle procedure normative e di snellimento burocratico, mostra, a mio parere, ancora qualche limite.
L'opposizione di centrosinistra tende a dare stoltamente enfasi all'eventualità d'impiego di navi da guerra per contrastare le grandi organizzazioni criminali dedite al traffico dei clandestini, senza però comprendere che non è affatto questo il versante ancor lacunoso del disegno governativo.
Il problema immigrazione appare, infatti, affrontato solo parzialmente: l'impianto normativo della "Turco-Napolitano" è indubbiamente debole sul fronte del contrasto agli sbarchi lungo le nostre coste e rimane, oltremodo, "miopemente tollerante" nel concedere un anno intero di tempo a chi è riuscito ad entrare nel nostro Paese per cercarsi un lavoro.
Questo periodo temporale rappresenta un'incertezza da parte dello Stato, una cervellotica "zona grigia" che finisce col creare ambigui presupposti.
Ma, proprio ragionando intorno a questi difetti congeniti del Testo Unico del '98 attualmente in vigore, ciò che mi lascia perplesso nei riguardi del progetto "Bossi-Fini", stando almeno all'attuale articolato, non è tanto la precisa volontà delle forze politiche di maggioranza nel loro voler controllare alla fonte i flussi migratori, quanto una certa difficoltà di comprensione dei possibili effetti più intrinsecamente econometrici, cioè di effettiva misurazione economica del nostro mercato del lavoro, in rapporto alla questione immigrazione in sé.
Unificare il contratto professionale e il permesso di soggiorno, o per lo meno porli in stretta connessione, non affronta l'altra faccia della medaglia: quella dell'integrazione possibile, regolamentabile, ordinata e persino auspicabile sotto il profilo di una quasi certa crisi demografica nazionale.
Non è, questo, il tipico "snobismo laico" di chi vuol dire la propria a tutti i costi. Né si sta cercando di fare i "primi della classe" per "strizzare l'occhiolino" a qualcuno.
Qui s'intende solo porre in evidenza il fatto, già da tempo in via di concretizzazione empirica, che l'Istat ci segnala, per i lustri a venire, un sicuro calo demografico della popolazione italiana, una sensibile riduzione numerica del nucleo familiare medio, vera pietra angolare di misurazione - anche sociologica e non soltanto economica o statistica - di una società, in breve un'indubbia evoluzione secolarizzante della nostra cultura complessiva, anche di quella più tradizionale.
In buona sostanza, nel ddl licenziato dal Senato non si capisce dove il governo voglia "andare a parare" con i lavoratori stranieri stabilitisi già da tempo nel nostro Paese, ancora privi di un regolare contratto di lavoro e totalmente immersi nel sottobosco del precariato.
E non si vede, altresì, almeno sino a questo momento, una più corposa pars costruens che individui un percorso legale di effettiva regolarizzazione dei lavoratori stranieri sfruttati, spesso anche brutalmente, nel sommerso.
Naturalmente, ritengo che tutta la sostanza di questi aspetti non si possa ridurre alla regolarizzazione delle colf o di qualche baby-sitter.
Dunque, una certa banalizzazione del problema, attraverso una, a prima vista, erronea equiparazione tra chi è già entrato in Italia e chi vorrebbe farlo in futuro seguendo metodi poco ortodossi, non rappresenta la migliore delle metodologie applicabili.
L'immigrazione è questione strettamente connessa ma decisamente diversa da una possibile, se non doverosa, integrazione.
E certamente, quest'ultima non mi appare distinzione marginale o di poco conto.

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