Silvia Mattina"Sono stati i terroristi a buttare la bomba sporca". Le parole di Mark tuonano come una terribile sentenza nell'angusto spazio del rifugio antiatomico. E fanno trasalire il pubblico per lo scenario di crudele attualità. A distanza di undici anni dagli attentati terroristici a Londra, il testo del drammaturgo inglese, Dennis Kelly, sembra essere scritto esattamente in questo preciso e particolare momento storico, dilaniato da continue criminose rappresaglie e pressanti minacce nucleari. Più che a una 'pungente black commedy', il pubblico ha assistito a uno di quei thriller psicologici assai classici nella cinematografia americana. 'After the end', andato in scena al Teatroinscatola di Roma (Lungotevere degli Artigiani, 12) dal 30 marzo al 15 aprile, è frutto di una riuscita collaborazione di due compagnie teatrali molto attive nel circuito 'off' della capitale: la Bracci-Schneider e la Freaky Lab. Tommaso Arnaldi e Claudia Genolini vestono i panni di Mark e Louise, due ragazzi scampati da un attacco nucleare e trinceratisi in un bunker, che diviene teatro di emozioni forti e di comportamenti agli estremi dell'umana sopportazione. La radicalità della situazione è efficacemente rappresentata da una messa in scena limitata a pochi oggetti simbolici: una brandina, un baule, due sedie e una tavola, una radio e una scala. Le scene iniziali sono scandite da litigi, dalla scarsezza e dalla razionalizzazione dei viveri, fino ai ricatti morali, ricordando attraverso dei funzionali flashback, rievocazione dal sapore cinematografico, i momenti significativi della loro conoscenza. Lo 'psicodramma da camera' è contestualizzato attraverso le pareti nere, che sembrano racchiudere gli ingranaggi di una mente dalla personalità disturbata, come quella progressivamente mostrata del protagonista maschile. Mark è la vera memoria storica della ragazza. Quest'ultima ha un ricordo e una coscienza 'a tratti' degli avvenimenti legati a quella sera 'scanzonata' al pub. Il giovane inizia a raccontare il salvataggio della ragazza e fa una descrizione quasi lirica della nube atomica. Il tono e le parole usate lasciano intendere che egli voglia essere identificato quale eroe contemporaneo agli occhi di Louise. L'ambiguità e la mistificazione di Mark sono il motore di una tragicità esasperata. Essa trova particolare riflesso nel sapiente utilizzo della musica e in alcune eccellenti composizioni, dai toni sacri iniziali dell'Agnus Dei di Samuel Barber alle citazioni bibliche del 'Perfect day' di Lou Reed del finale. Louise è l'àncora emotiva della narrazione: il suo carattere deciso e ribelle prova a misurarsi con le problematicità di una convivenza forzata, alla quale decide coraggiosamente di non piegarsi anche a costo della vita stessa. I due personaggi sono opposti in ogni cosa e non fanno a meno di esprimere tutti gli aspetti della propria frustrazione nei confronti della società, del mondo e del proprio 'Io'. Il linguaggio della ragazza è costellato di parole forti e di continue offese verbali, talvolta più taglienti di una lama, agli indirizzi di un uomo rinchiuso nel ruolo di 'sfigato' e paranoico. Mark prova a entrare in contatto con Louise, ma ogni tentativo provoca un deciso allontanamento tra i due. La protagonista non riesce a smettere di mostrare le proprie preoccupazioni per le sorti dei suoi cari, così lontani da lei. Il turbamento della ragazza si traduce in una considerazione più ampia nei confronti della brutalità degli esseri umani, capaci ormai di qualsiasi cosa, mentre Mark si preoccupa solo di sputare sentenze contro i colpevoli dell'attacco, quei tanti stranieri che minacciano costantemente la pace del Paese. La terribile domanda di Louise: "Diventeremo tutti dei bastardi?", non riguarda solo le sorti dell'umanità in balìa di forze come quelle del capitalismo senza scrupoli e delle dittature spietate, ma è soprattutto un'agghiacciante premonizione della sconvolgente piega che assume, nel corso dello spettacolo, il rapporto tra le due individualità, in lotta tra possesso e libertà. Da qui, la narrazione cambia registro e si concentra sull'ossessione dei bisogni contrastanti dei due protagonisti. Gli oggetti in scena assumono un ruolo preminente e non sono altro che la testimonianza dello stato di emergenza e dell'assurdo gioco di potere di Mark. La spavalderia di Louise si affievolisce sempre più. E all'impossibilità di poter ricevere notizie dall'esterno (la radio non funziona) si aggiunge lo stato di digiuno imposto dall'aguzzino, dal quale dipende l'accesso ai viveri, necessari per il sostentamento. A questo punto della storia, il carnefice e la vittima si alternano e si confondono, perché in fondo, come già postulato da Nietzsche, "la società è tutta malata" e non si può fuggire dagli istinti, indipendentemente dal modo in cui vengono vissuti. La gabbia fisica diventa prigione morale, che riflette una società contemporanea fondata sull'omologazione delle masse e sulla censura degli istinti vitali. Questi ultimi sono ormai liberati dai due protagonisti e in particolare Mark, un portentoso Arnaldi, manifesta tutte le sfaccettature della sua 'lucida follia'. Il ragazzo incatena Loiuse al letto: un legame indissolubile tra i due che va oltre il presente e il futuro, ma che si alimenta solo del passato e di una dolcezza in contrasto della tragica drammaticità del gesto. Nel momento in cui sembra chiaro il disagio del giovane, il possesso del coltello rappresenta la presa del potere nei confronti della ragazza, che ai suoi occhi significa il raggiungimento dello status sociale accettato dal conformismo dominante. Per Mark, il fine giustifica i mezzi. E la creazione di un piccolo regime dispotico e totalitaristico costituisce l'unica conditio sine qua non per affermare la propria voce nella società. Nelle 'pseudo-democrazie' odierne, il pluralismo dei punti vista viene annullato in favore di un'unica visione d'insieme funzionale alla metamorfosi dei sistemi repressivi e di controllo già preannunciata da Foucault: il corpo delle donne; la vendita delle armi a Paesi non democratici; la libertà del corpo e degli orientamenti sessuali. Il riscatto dell'emarginato passa necessariamente attraverso l'ostentazione della virilità, dapprima con la pratica della masturbazione, per poi completarsi con il macabro abuso nei confronti di Louise, immagine preconfezionata che solo un mondo dedito all'effimero può eleggere a modello assoluto. Il regista Enzo Masci rimane aderente al linguaggio presente nel testo di Kelly, anche se tale rilettura appare legata a una messa in scena a mezza strada tra cinema e teatro, riflettendo su temi di sesso e potere. Il 'taglio' di prospettiva si concentra dunque sulla problematica tra uomini e donne e le manipolazioni psicologiche continue dei rapporti umani. Insomma, la conoscenza dell'ambiente artistico statunitense ha offerto al regista l'occasione per unire svariate suggestioni visive di stampo cinematografico, grazie anche a un utilizzo delle luci che, al contempo, riempe e delimita la scena, con la sua personale ricerca de codici comunicativi del teatro tradizionale italiano. Il testo 'kelliano' è un thriller claustrofobico e conturbante, privo dei riscontri fantascientifici del cinema alla 'Lost' o alla '10 Cloverfield Lane', ma ha il potere di tenere incollati gli spettatori per due intere ore facendo leva sul concetto di resistenza e sull'effetto suspence, che confonde il pubblico fino a spiazzarlo sull'impressionante finale. L'intensità palpitante della performance dialoga perfettamente con una sceneggiatura che, densa di carica drammatica e di lirismo struggente, descrive minuziosamente la condizione dell'uomo moderno, schiavo del sesso, della violenza e della solitudine. Nel finale, non c'è spazio per il conforto in una relazione affettiva così torbida e malata, in cui si può giocare un ruolo solo se si è in grado di erigere i processi di costruzione dell'altra persona. Il senso dell'esistenza non va ricercato nella sopravvivenza, ma deve partire dalla negazione 'beckettiana' e, quindi, dal senso autentico dell'esistenza, perché solo così "raccoglierai ciò che hai seminato", come ripete Lou Reed nel verso finale della sua 'giornata perfetta'.


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