Michele Di MuroIl Partito socialista italiano è a un bivio: o dimostra di avere in sé quella forza morale e quell'orgoglio in grado di farlo resistere ai continui tentativi di annessione e svuotamento operati dal Partito democratico, oppure paleserà pubblicamente di esser stato, in questi ultimi decenni, solamente un 'mezzo' per garantire alcuni posti di potere a un gruppo dirigente assai più interessato alle proprie sorti politiche personali, piuttosto che ad applicare la grande lezione laica e riformista ai problemi concreti dei cittadini. Chi tra i socialisti ha sempre dimostrato coerenza politica e correttezza morale per riuscire a costruire un centrosinistra vincente e plurale è Bobo Craxi, il sottosegretario di Stato agli Affari Esteri del Governo Prodi che più di tutti si adoperò per ottenere quell'Expo di Milano 2015 del cui successo in molti, oggi, si riempiono ipocritamente la bocca. Craxi, recentemente, ha infatti fondato una propria componente interna al Psi, chiamata 'Area socialista', finalizzata a serrare le fila di una forza politica che sta vivendo una fase molto delicata della propria Storia.

Onorevole Craxi, innanzitutto può spiegarci a cosa può servire questa nuova 'cosa' chiamata 'Area socialista'? Di che si tratta? Di una componente o di una 'fronda' interna al Psi?
"Area socialista si pone l'obiettivo di riqualificare il dibattito interno al Psi e, al tempo stesso, di rilanciare un'iniziativa politica che cerchi di contenere gli esodi dal Partito che vanno moltiplicandosi, verso destra e verso sinistra. Al contempo, Area socialista intende porre la questione dell'autonomia politica del Partito e della sua necessaria presenza alle future 'tenzoni' elettorali. Non credo sia corretto 'bollare' come 'fronda' tutto ciò che si differenzia dal conformismo. Ci rendiamo conto che, su un corpo fragile, la divisione e la lotta politica rischi di indebolire quello che c'é. Ma noi consideriamo inefficace la condotta tenuta in questi due anni di legislatura, difficile il rapporto con il Partito democratico, con il quale, non più tardi di due anni fa, il segretario aveva stretto un 'Patto federativo'. E' lo stesso Pd che ha appena sottratto metà del nostro Gruppo parlamentare e che svolge la stessa azione offensiva sul terreno locale. Ora, l'esistenza politica di un soggetto socialista è messa in discussione: è necessario modificare questo stato di cose e discuterne tra noi. Individuare le ricette per evitare il peggio non può essere considerato un tabù, purché vi siano modi, tempi e regole per poterlo fare. Io ho già dichiarato la necessità di tenere un Congresso "aperto", anche mutuando il sistema così criticato delle primarie: abbiamo bisogno di partecipazione democratica e di suscitare fra i socialisti e i cittadini nuovo interesse. La domanda non manca: gli eventi interni e internazionali necessitano di un 'di più' di partecipazione civile. I Partiti restano l'esperienza migliore che la democrazia moderna possa, allo stato, offrire. Un rinnovato slancio e un'equilibrata apertura verso una più vasta platea di naturali referenti del socialismo italiano possono creare una reale base di rilancio. Non sono affatto pessimista, perché credo nell'impegno delle nuove generazioni, verso la politica e verso i nostri valori ideali, che sono un patrimonio nazionale ed europeo".

Se 'Area socialista' dovesse presentare, in futuro, una propria lista elettorale, con chi si alleerebbe e per fare cosa?
"Noi non abbiamo alcun interesse a svolgere la nostra azione al di là del perimetro del nostro Partito. Questo non significa escludere il dialogo con altri e, a partire dall'adattamento alle nuove regole elettorali, ad allearci in un campo progressista, ma mi sembra oggi prematuro parlare di alleanze e tatticismi vari".

Siamo certi che non si tratti della solita 'scissione dell'atomo'?
"Nessuno ne ha mai parlato e nessuno di noi nutre questa nefasta ambizione. Al contrario, 'Area socialista' è nata proprio per evitare che la sfiducia, il dissenso e la stanchezza finiscano per incentivare gli abbandoni dal Partito. La nostra fragilità non può essere l'alibi per un appiattimento su posizioni altrui: la politica dell'obbedienza a Renzi sta schiantando i suoi alleati più grandi ed è inevitabile che la stessa cosa stia capitando anche a noi".

La subalternità al Pd, di cui lei accusa l'attuale segretario del Partito, Riccardo Nencini, non è una problematica creatasi oggettivamente dopo la fine della vecchia politica delle 'appartenenze separate'?
"E' il frutto di tante cose: molti cambiamenti sono intervenuti nella nostra vita pubblica e sarebbe 'miope' non vederli e comportarsi di conseguenza. C'è un fatto, però: è stata la progressione della nuova leadership democratica a portare il Pd sulle nostre posizioni, senza tuttavia maturare alcun riconoscimento alla grande tradizione del socialismo democratico e riformista italiano. A volte, si è addirittura avuta la sensazione che il Pd abbia 'scavalcato' verso il centro una naturale dimensione riformista e progressista del socialismo italiano. Ecco perché ritengo che noi non ci si debba spostare di un millimetro dalla nostra tradizione migliore e che non si debba assecondare né disegni egemonici sul grade campo della sinistra, né tantomeno cercare di svolgere un'azione totalizzante sull'intero sistema democratico, che deve continuare a vivere forte del suo pluralismo delle diverse tendenze politiche e culturali. Le riforme istituzionali che si sono approvate puntano all'efficienza del sistema, ma si dimenticano della naturale ricchezza culturale e politica del nostro Paese, che solo lo scellerato ventennio che abbiamo attraversato poteva mandare in 'soffitta', con il danno che abbiamo tutti toccato con mano: la disaffezione dei cittadini alla politica con la conseguente diserzione dalle urne e un abbassamento complessivo dell'offerta politica stessa, che ha aperto la strada a ogni sorta di qualunquismo populista e, a causa dei problemi di natura esterna, persino il riaffiorare di posizioni chiaramente anti-sistema, che lambiscono la 'xenofobia radicale'. Il segretario del Partito non ha né interesse, né è in condizione di aprire una questione con il Pd. Non lo farà, ma se prevarrà la nostra posizione, ce ne incaricheremo noi".

Poniamo l'ipotesi che il Psi sia contrario a una grande opera qualsiasi decisa dal Governo: il fatto che il suo segretario nazionale, Riccardo Nencini, sia anche Viceministro alle Infrastrutture non crea un evidente conflitto d'interesse?
"C'è un'oggettiva difficoltà di manovra, non un problema d'interesse personale. Il problema non sono le grandi o piccole opere: ormai è chiaro che, per Renzi e il suo Pd, gli alleati non esistono, o sono un 'impiccio', oppure ancora una terra di conquista. Con noi socialisti questo non può avvenire e, se in futuro saremo più grandi, ciò non avverrà più".

In sostanza, lei ci crede alla conversione del Pd a una moderna versione della socialdemocrazia?
"Per niente: credo a una rivoluzione copernicana nell'ambito dell'impostazione 'ulivista', che prevedeva al centro gli eredi del Pci assieme all'area sociale della Dc. Oggi, si sono rovesciati i rapporti di forza e la leadership di Renzi interpreta nel modo migliore l'abbandono del terreno ideologico, o ideale che dir si voglia, in funzione di un pragmatismo dai valori variabili. Il campo progressista e socialista è l'unico sul quale far 'atterrare' il Partito democratico. E con il socialismo europeo in evidente affanno è evidente che anche l'esperienza del Pd sia apparsa, per un certo periodo, d'interesse per tutta l'area socialista. Oggi, però, con l'avanzare delle crisi, delle destre conservatrici e del liberismo dilagante, le esperienze del socialismo europeo, a partire dalla Spagna, dal Portogallo e dalla stessa Inghilterra, si stanno 'rimodulando' secondo uno schema più 'classico' proprio perché minacciati nella loro stessa esistenza. Il Pd si affida alla 'stella' Renzi e alla sua esperienza di Governo, ma sul piano ideale e programmatico è in evidente affanno, con un deficit evidente di proposta riformista. Accettare questa sfida, questa impostazione, significa anche aiutarli ad assumere coerentemente quest'ispirazione di fondo. Il riformismo non è il 'cambismo', né la 'rottamazione'. Ecco perché credo ancora nella funzione positiva di un Partito socialista e riformista che abbia accettato l'impostazione liberale - e non liberista - della società, che sia interclassista e che ritenga il conflitto moderno come contrasto a questa sorta di 'capitalismo leninista' che vedo avanzare, in particolare quello finanziario, che è il più pericoloso, poiché ha già tracciato larghi solchi nelle società, rendendole sempre più inique, sempre più ingiuste".

Passiamo alla politica estera: dopo i terribili fatti di Parigi, come si può contrastare efficacemente e senza eccessivi rischi il terrorismo fondamentalista islamico, secondo lei?
"A distanza di due settimane, mi lasci dire che la risposta popolare è stata straordinaria, che la Francia ha, in ogni caso, impartito a noi tutti una grande lezione di democrazia e di tolleranza, che le stesse comunità musulmane hanno reagito a questo stato di cose, poiché la stragrande maggioranza di loro rifiutano una condotta 'nihilista' rivolta non contro l'occidente inteso genericamente, ma contro le sue generazioni più giovani, che sono state le vere vittime di questa tragedia. Da tempo, ritengo che la questione che ha investito il Medio Oriente e il Nord Africa possa e debba avere una soluzione attraverso un approccio politico: è giusto che vadano messe in campo tutte le azioni di contrasto necessarie, ma è altrettanto ragionevole spingere affinché le grandi potenze abbiano sul dossier siriano e sul futuro della Libia un accordo di fondo. Le potenze internazionali (Usa e Russia), quelle medie dell'area (Arabia Saudita, Iran e Turchia) e quelle europee. Non giudico la 'gradazione' dell'intervento italiano, avendo optato per una scelta chiara, che è quella di 'stroncare' un sorgente Stato islamico che usa metodi efferati. Io penso che la scelta di cautela militare, allo stato possa essere condivisa. In futuro, però, sono convinto che la presenza italiana, in particolare nel Mediterraneo e in Libia, sarà indispensabile. Su questo fronte registro anche la necessità di incrementare i sostegni possibili alla vicina e amica Tunisia, anch'essa colpita dalla stessa mano fanatica. È un esempio ben riuscito di  moderno equilibrio politico e sociale fra le diverse tendenze del mondo arabo. E questa è la ragione per la quale si vuole stroncare sul nascere questo riuscito tentativo".

E' giusto, secondo lei, rinunciare, anche solo temporaneamente, ad alcune libertà, come per esempio quella di circolazione all'interno dell'Ue?
"Credo che tutto ciò che vada in direzione di una maggior sicurezza pubblica vada adottato: non saranno mai i nostri valori di libertà e di tolleranza a venir meno, neanche in questi frangenti".

Quali rischi corre l'Italia e in particolare Roma per il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco?
"Premesso che quello che viene definito 'rischio' dev'essere proporzionato alla offesa che si reca al mondo islamico nel suo complesso e, nonostante gli eccessi verbali scellerati di qualche politico o giornalista, in generale l'Italia, sin dal 2001, ha mantenuto un atteggiamento di dialogo aperto e costante verso quelle comunità. Io ritengo che la scelta del Giubileo straordinario già aveva sottoposto il nostro Paese a dover far fronte a una scelta alla quale lo Stato laico non aveva partecipato. Preso atto che questo è stato indetto e che non si possa tornare indietro, è evidente che ciò che sta rappresentando l'azione incalzante di Papa Francesco può apparire non una reale e condivisa apertura di dialogo, ma una sorta di offensiva di persuasione, sebbene schermata dal valore della misericordia. Si moltiplicheranno i falsi allarmi e i proclami, ma ritengo che la nostra capacità di contenimento e di prevenzione al rischio sia molto alta e credo nella grande solidarietà che in questo momento sta attraversando la 'maggioranza silenziosa' dei popoli del Mediterraneo, i quali vogliono vivere e progredire nella pace, nello sviluppo e nella concordia. Penso, infine, che questa sfida contro il terrore riusciremo nuovamente a vincerla".


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Roberto - Roma - Mail - domenica 29 novembre 2015 15.30
C'è un grosso problema nel rapporto tra politica e cittadini. Non si riesce a farli stare coi piedi per terra a questi. Anche Craxi non ha compreso, ad esempio, la domanda su Nencini che il giornalista non interpretava sotto il profilo dell'interesse personale, ma sul piano della coerenza programmatica di un leader di partito. Il problema è proprio l'inconsapevolezza di questi signori che pensano di aver diritto anche a essere incoerenti, a seconda delle opportunità che gli capitano. Non bastano le buone intenzioni, serve concretezza. E questo non è solo una domanda qualunquista e populista, ma un esigenza reale dei cittadini. Anche Renzi è all'ultima spiaggia ormai. Fatevene una ragione.
Pino Rotta - Reggio Calabria - Mail Web Site - domenica 29 novembre 2015 15.8
riorganizzare la partecipazione partendo dai territori, anche con pochi numeri, ma creando momenti veri di confronti a livello nazionale.
Spero di non vedere più calare dall'alto decisioni e nomine (per lo più ininfluenti!).
Essere socialista è per me un sentimento ed un impegno quotidiano, essere "tesserato" per fare numero.... mai fatto! e mai mischiato il mio nome con pseudosocialisti dalla dubbia moralità!


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