Vittorio CraxiQuando i Partiti avevano una loro vita democratica interna, che esprimeva un orientamento politico di fondo e una linea da seguire e da affinare, appuntamenti politici come quelli di oggi potevano aiutare a chiarire e approfondire, a tracciare degli obiettivi comuni, impegnativi per tutti o per molti. Sappiamo che la vita democratica, nel suo complesso, ha finito mano a mano per isterilirisi, per vivere alla giornata, per comporsi o ricomporsi solo in vista, o in virtù, delle campagne elettorali, smarrendo ogni senso di appartenenza e quel principio di adesione a un ideale, o più semplicemente a un indirizzo coerente ai propri principi e valori. Dovremmo, in fondo, essere soddisfatti che i socialisti abbiano sostenuto una coalizione politica che oggi, in parte, si trova alla guida del Paese e che, successivamente, assieme al Partito dominus della sinistra, aveva per giunta sottoscritto un patto di azione federativa, suggellato dall'ingresso del Pd nel Partito del socialismo europeo (dopo che vi era a più riprese, a seconda delle fasi, uscito e rientrato). Se ci troviamo e segnaliamo come prioritarie alcune emergenze democratiche e sociali del Paese, significa che noi riteniamo sia così. Alle questioni che abbiamo segnalato non possiamo non premettere che esista, per noi come per il resto del socialismo europeo, una fase di arretramento, che il socialismo italiano non sia riuscito, in vent'anni, a venire a capo della sua crisi e che sia, purtroppo, alla vigilia di una sua scomparsa politica. Ciò non sarebbe mai avvenuto se avessimo opposto, ben prima degli impegni di natura programmatica, le questioni che riguardano il Partito: la sua natura, il suo spazio naturale, la sua struttura e le sue attività, che sembrano definitivamente consegnate agli umori politici ed elettorali di quello che non è affatto un 'gigante buono', ma che si presenta, nella sinistra e nella politica italiana, come l'unico riferimento esistente e che fa dire a molti, evidentemente non a noi, che nulla possa essere nuovamente considerato rappresentativo di culture, forze sociali e produttive di ispirazione laica, socialista, riformista e di sinistra al di fuori del Pd o, peggio, al di fuori del riconoscimento dell'infallibilità del suo giovane leader. Ci sono socialisti ed ex socialisti che si beano di questa situazione: il compagno Di Lello si agita, dopo aver ritirato per nostro conto il premio di uno scranno parlamentare, immaginando di poter cambiare la natura del Pd, ovvero la fusione di Margherita e Ds, oggi trasformitasi nel Partito personale di Renzi, in una forza di ispirazione socialista: auguri. Poi ci sono quelli che, con o senza garofano all'occhiello, hanno circumnavigato il periplo delle forze politiche nazionali e si soffermano adoranti innanzi a Matteo Renzi. Come per esempio Cicchitto, il quale ha affermato che "Renzi ha distrutto il comunismo italiano come non era riuscito né a noi, né a Berlusconi". Renzi, però, non sta cancellando il comunismo: a quello ci aveva gia pensato Gorbacev. Egli, invece, sta rimodellando a sua immagine un'idea di 'Partito-guida' della nazione che rimuove i connotati ideologici destra/sinistra e si spinge su un crinale fra pragmatismo popolare 'fanfaniano' e populismo nazionale, rinunciando all'eredità della sinistra democratica. Ne ridisegna i confini e i perimetri e, non a caso, si ispira all'azione 'blairiana', che a furia di innovazioni e fughe in avanti, in Inghilterra ha riconsegnato alla destra conservatrice il potere, resuscitando la sinistra laburista più tradizionale, divenuta, in tal modo, l'ultimo avamposto possibile prima di finire 'in braccio', anche nel Regno Unito, a movimenti populisti, come è accaduto in Spagna, in parte in Grecia e, sicuramente, in Italia. Tanto più ci si sposta dal proprio baricentro naturale, tanto più si aprono i varchi per soluzioni o demagogiche e autoritarie. Considero, infatti, una svolta demagogica e autoritaria una 'finta riforma' delle istituzioni che altro non è che l'ennesima riduzione di spazio democratico, in un Paese che ha già dovuto subire un ridotto spazio di sovranità a causa dei vincoli internazionali imposti dalla nostra adesione, senza 'se' e senza 'ma', alle disposizioni europee. E' una questione democratica di prima grandezza quella che ci spinge ad affermare che siamo in presenza di una 'torsione autoritaria', finalizzata alla creazione di Partiti che predispongono il sistema a una forma di 'democrazia guidata', come non avevamo conosciuto dai tempi dell'approvazione della legge Acerbo, nel 1924. Per questa e altre ragioni, senza indugio alcuno, ritengo si debbano predisporre tutte le azioni che puntino alla creazione di Comitati democratici per il 'NO' alla riforma del Senato, votata in modi e forme scellerate da un'assemblea posta in una condizione di palese ricatto. Dire 'No' a questa riforma non significa essere conservatori, ma contestare in radice l'affermazione che si stia facendo del riformismo quando, invece, non si è nient'altro che in presenza di un generico cambiamento frettoloso, vistosamente dettato da rigurgiti di 'antipolitica', per di più fondato sulla consapevolezza che nel futuro, in capo all'esecutivo e a lui soltanto, staranno le scelte fondamentali, mettendo a rischio i naturali pesi e contrappesi democratici e determinando un evidente squilibrio tra i poteri dello Stato. Squilibri che lo stesso presidente Napolitano ha sottolineato tardivamente, invocando una correzione di rotta per la futura approvazione della nuova legge elettorale. Il punto è che la politica odierna, in Italia come altrove indebolita dalle ondate di disaffezione e in ritardo nei suoi cambiamenti e ammodernamenti, allontanandosi dai legami di ordine ideologico che ne determinavano la base essenziale di riferimento culturale, appare sconfitta e incapace di porre un argine convincente alla progressiva perdita dei valori di uguaglianza e pluralismo. Se pensiamo al movimento socialista nel suo complesso, non possiamo non vedere che le sue conquiste, quali quelle del parlamentarismo, del sindacalismo libero, l'estensione del voto a tutti i cittadini compresi i più giovani e gli aventi diritto per residenza, la tassazione progressiva, l'ingresso del diritto nel mondo del lavoro, l'istruzione libera e gratuita per tutti, cosi come il diritto alla salute, allo stato sociale nel suo insieme e anche alla possibilità di mettere dei vincoli alle attività speculative della finanza, hanno ceduto il passo definitivamente. E gli spiriti animali del liberismo e del capitalismo hanno aperto il loro varco sin dall'inizio degli anni novanta, cavalcando l'onda di sfiducia generata dallo strapotere giudiziario e dall'uso politico che si è fatto delle inchieste, sino a raggiungere definitivamente, in Italia come nel resto d'Europa, la capacità di controllare e di esercitare un'influenza straordinaria, formidabile nella distorsione della realtà. Se qualcuno osa contraddire il pensiero dominante e sottolinea le conseguenze che l'aumento della diseguaglianza e dell'iniquità hanno prodotto in campo sociale, politico, morale, civile e intellettuale, viene letteralmente denigrato. Si insiste con l'idea che l'arricchimento dell'area più forte coincida con una redistribuzione verso il basso della ricchezza. Lo si è visto in termini macroeconomici, con gli Stati occidentali più 'voraci' che hanno determinato una crescente ribellione nei Paesi del sud del mondo e, in particolare, in un Mediterraneo scosso da instabilità che hanno antiche ragioni, ma per le quali insiste un'incapacità delle nazioni più ricche nel riuscire a prevedere come, a lungo termine, lo sfruttamento delle risorse altrui e della mano d'opera a basso costo, insieme all'egemonia del 'pensiero unico', avrebbero potuto determinare quel 'rovescio' i cui esiti, tutt'ora, sono imprevedibili. La sinistra, nell'esercizio del Governo, si è piegata: è difficile affermare il contrario rispetto al 'pensiero unico'. E non saranno le doverose battaglie sull'affermazione, anche in Italia, di diritti ormai riconosciuti nel resto d'Europa che cancelleranno alcuni errori macroscopici che anche il Governo a guida progressista ha commesso, non senza effetti tragicomici. L'anno scorso i disoccupati erano oltre 3 milioni, la disoccupazione giovanile sfiorava il 45%, la base produttiva perdeva un quarto del suo potenziale, il Pil ha perso i 10/11 rispetto all'ultimo anno prima della crisi. E il Governo ha pensato bene di introdurre nella legislazione sul lavoro norme che hanno facilitato i licenziamenti e, nella riemersione del lavoro nero o sottopagato di molti giovani o molti precari, hanno stabilizzato la certezza che le future generazioni non potranno più contare su un salario che abbia un effettivo potere d'acquisto, neanche lontanamente paragonabile a quello di cui hanno goduto i proprio genitori. Una questione democratica che si incrocia con una questione sociale, quindi: ecco la necessità che si riapra una questione socialista. Non siamo qui per disunire ciò che resta del Partito del socialismo italiano. E non siamo qui per dare al Partito una degna sepoltura. Non vogliamo scissioni: già troppe ve ne sono state. E non vogliamo confluenze, anche se troppi sono i sospetti che qualcuno lavori perché ciò accada in modo silenzioso. Noi vogliamo dire che così non va, che troppi sono stati gli abbandoni, che troppo incerto è il nostro futuro, che dobbiamo prendere atto che l'esistenza stessa di ciò che resta del movimento socialista in Italia è in pericolo e che la presenza parlamentare e governativa non garantisce ai tanti che nel nostro Paese si professano ancora di fede o di orientamento socialista e democratico, la capacità di essere rappresentati degnamente. Tante volte ci siamo divisi e altrettante volte ci siamo uniti: ognuno ha commesso i propri errori e non sempre le circostanze politiche generali ci hanno aiutato. Ma abbandonare il terreno della riorganizzazione autonoma del Partito socialista, allargando il suo perimetro ai tanti che, nella sinistra italiana, provano smarrimento, o che non si accontentano della sola offerta in campo, ovvero quella del Partito democratico contenitore di tutto e del suo contrario, può e dev'essere una possibilità. Diversamente, s'intende vivacchiare in attesa della riapertura del dispositivo elettorale, che privilegia un voto alla coalizione che apparirà come una concessione, più che una strategia politica del Pd, il quale andando avanti verrà preso dal panico per il rischio di essersi 'impiccato' con la stessa corda che si è costruito. Si chiarisca il punto politico al più presto, evitando scelte dell'ultim'ora dettate dall'orrore del 'vuoto', come avvenuto nel gennaio del 2013, quando anziché sfidare l'affronto del Pd, che intendeva negare un doveroso apparentamento, ci si è acconciati a un'umiliante accettazione di un pugno di seggi. Una scena che si è ripetuta anche in occasione delle elezioni europee. I socialisti italiani non devono rinunciare alla prospettiva di rappresentare una Storia rispettata, bnesì devono innalzare le proprie insegne. E penso che una lista socialista sia, per noi, un dovere morale e politico. Ne avrà tutto l'interesse Renzi, perché non può non essere spaventato da un eventuale ballottaggio rischioso: o in Italia si ricostruisce una forma bene ordinata di democrazia, fondata su un pluralismo di forze che si contengono in alternanza la guida del Paese secondo un criterio largamente maggioritario nel resto delle democrazie occidentali, oppure il rischio è quello di consegnare in modo permanente la democrazia ai poteri esterni, alle lobby e ai gruppi di interesse finanziario prevalenti. Chi pensa di ricostruire delle forze politiche tradizionali, seppur rinnovate e adattate ai nostri tempi, viene rimproverato di essere preda della nostalgia, che a detta di qualcuno sarebbe "un pessimo sentimento". Io, al contrario, ritengo che la nostalgia sia un sentimento nobile, seppur con essa da sola non si produca una politica. Ma se adattarsi al nuovo significa accettare la confusione, l'incertezza, lo sbandamento e il rischio di una 'torsione autoritaria', preferisco di gran lunga rasserenarmi sapendo di avere alle spalle una Stori con la 'S' maiuscola che possa illuminare il nostro cammino. Fra le pagine che riemergono, mi piace ricordarne una che è stata oggetto, recentemente, di una rievocazione che ha suscitato orgoglio nelle vecchie generazioni e curiosità nelle nuove. Si tratta di quella "concezione indipendentista dello Stato propria del 'sovranismo' democratico", come l'ha definita Franco, che ha trovato nell'episodio di Sigonella quella concreta applicazione di cui possiamo andar fieri come italiani e come socialisti, poiché ha reso, come figlio di quel protagonista, meno dubbiosa la ricerca sulle qualità di un uomo così bistrattato dalla Storia e dal Paese che ha servito. Come dicono le parole di una bella canzone: "Qualcuno dice che l'amore di patria è l'ultimo rifugio che c'è". Non si tratta di rinverdire improbabili nazionalismi, ma di restare ancorati ai principi e ai valori scolpiti nella nostra Costituzione. E fra questi vi è il ruolo essenziale dei Partiti, per il funzionamento della democrazia. Ricostruire e ridare all'Italia un rinnovato Partito del socialismo italiano è, insieme, un atto patriottico e un contributo essenziale, perché siano rappresentati, oggi come sempre, gli interessi generali del mondo del lavoro, delle donne e degli uomini liberi di questo Paese, nel periodo delle incertezze più grandi, vissute non soltanto dall'Italia e dall'Europa, ma dall'intera comunità internazionale. Penso che possiamo e dobbiamo dare, ciascuno di noi, in ogni campo della nostra attività, un contributo importante, rinnovando il nostro impegno e la nostra azione.




Responsabile politica estera del Partito socialista italiano
(intervento all'Assemblea socialista 'aperta' tenutasi presso la sala anfitrione dell'Hotel Aran Mantegna in Roma il 24 ottobre 2015)


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